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L’assurdo scandalo delle ammissioni nei college americani

“Operation Varsity Blues” ha coinvolto allenatori universitari e celebrity, accusati di aver raggirato i test d'ingresso.

di Studio

La Georgetown University è una delle università coinvolte nello scandalo (Foto di Win McNamee / Getty Images)

È iniziata che era già un meme: foto di ragazzini photoshoppati su corpi di atleti nel tentativo di spacciarli come giovani promesse dello sport e garantire così loro l’accesso in alcuni college del circuito Ivy League, che riunisce le migliori istituzioni universitarie americane. Fa anche un po’ ridere il nome che l’FBI ha dato all’intera operazione, di cui martedì sono stati rivelati i primi dettagli, e cioè “Operation Varsity Blues”, in riferimento alle giacche delle divise studentesche ma anche, lasciateci immaginare, alla ben più seria Operazione Varsity condotta nel 1945 sul Reno, in Germania, dall’esercito americano e britannico contro i nazisti. Riferimenti storici a parte, di questo sordido affare si parla perché ci sono dei genitori decisamente famosi – Felicity Huffman di Desperate Housewives e Lori Loughlin di Full House – accusati di aver pagato delle tangenti per far accettare i figli (che erano all’oscuro di tutto, dice Buzzfeed) in alcuni dei più rinomati college statunitensi. Tra gli atenei coinvolti ci sono infatti Yale, Stanford, UCLA, Georgetown, University of San Diego, Wake Forest, University of Texas e University of Southern California.

Ma andiamo con ordine. Operation Varsity Blues, per ora, ha coinvolto almeno 50 persone tra cui, oltre alle celebrity che non sono neanche l’aspetto più divertente e surreale dell’intera faccenda, anche diversi allenatori universitari, intermediari di un complesso sistema di ricatti e mazzette messo in piedi da William “Rick” Singer e la Key Worldwide Foundation, fantomatica società che formalmente si occupava di preparare gli studenti agli esami di ammissione. Singer, che è stato accusato di racket, riciclaggio di denaro sporco e ostruzione della giustizia, si è dichiarato colpevole martedì pomeriggio con una frase degna di un cattivo da fumetto: «Mi assumo io la responsabilità di tutto. Ho architettato tutto io, ho messo io tutte le persone al loro posto e ho effettuato io tutti i pagamenti». Secondo l’accusa, tra il 2011 e il 2019 Singer avrebbe incassato all’incirca 25 milioni di dollari dai genitori benestanti che lo avrebbero pagato per fare, praticamente, di tutto. Superati infatti i metodi di corruzione più convenzionali e antichi (come le donazioni), nuovi e vecchi ricchi avrebbero corrisposto a Singer sostanziose tariffe, che si aggiravano tra i 200.000 e i 6 milioni di dollari, pur di catapultare i figli nel college desiderato.

I servizi offerti dalla Key Worldwide erano diversi: intanto la possibilità di usufruire di un “supervisore” che potesse fare i test al posto della progenie, o che almeno potesse correggerne le risposte sbagliate una volta finito l’esame di ammissione, quindi la creazione ad hoc di profili da piccoli fenomeni sportivi che potessero gabbare i selezionatori (tutte le università americane, come i telefilm insegnano, hanno una quota dedicata alle borse di studio per le attività sportive). Ed è qui che entrano in gioco i lavori di Photoshop su ignari adolescenti e le fantasiose revisioni del curriculum. Scrive The Cut che Huffman (che è stata addirittura arrestata e rilasciata su cauzione per 250.000 dollari) ha pagato 15.000 dollari per avere uno dei supervisori della compagnia di Singer nella sala d’esame mentre sua figlia teneva il test SAT, un test attitudinale molto diffuso per l’ammissione ai college degli Stati Uniti. Loughlin e suo marito Mossimo Giannulli, invece, avrebbero pagato 500.000 dollari perché le figlie fossero reclutate nella squadra di canottaggio della University of Southern California: ovviamente nessuna delle due ragazze aveva mai tenuto in mano un remo in vita sua. Manco a dirlo, i social e i giornali si sono scatenati – “Rich people are Photoshopping their disappointing kids” titola The Outline – mentre Tyler Cowen su Bloomberg non ha potuto fare a meno di notare come, ormai, certe università “di prestigio” non ci provino nemmeno ad applicare i principi di egalitarismo di cui si fanno portavoci.