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Nella vittoria di Mamdani un ruolo importante lo hanno avuto anche i font e i colori della sua campagna elettorale Dal giallo taxi alle locandine alla Bollywood, il neo sindaco di New York ha fatto un uso del design diverso da quello che se ne fa di solito in politica.
Il nuovo album di Rosalía non è ancora uscito ma le recensioni dicono che è già un classico Anticipato dal singolo e dal video di "Berghain", Lux uscirà il 7 novembre. Per la critica è il disco che trasforma Rosalia da popstar in artista d’avanguardia.
La nuova serie di Ryan Murphy con Kim Kardashian che fa l’avvocata è stata demolita da tutta la critica All’s Fair centra lo 0 per cento su Rotten Tomatoes, in tutte le recensioni si usano parole come terribile e catastrofe.
Un giornalista italiano è stato licenziato per una domanda su Israele fatta alla Commissione europea Gabriele Nunziati ha chiesto se Israele dovesse pagare la ricostruzione di Gaza come la Russia quella dell'Ucraina. L'agenzia Nova lo ha licenziato.
Lo Studio Ghibli ha intimato a OpenAI di smetterla di usare l’intelligenza artificiale per creare brutte copie dei suoi film Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.
Nel suo discorso dopo la vittoria alle elezioni, il neosindaco di New York Zohran Mamdani ha sfidato Donald Trump Nelle prime dichiarazioni pubbliche e social, il neosindaco ha anche ribadito la promessa di ridisegnare NY a misura di migranti e lavoratori.
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms Shanghai, la prima serie tv di Wong Kar-wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.

Salvini ha dimostrato quanto è facile infrangere le regole

Il vero precedente, quello più pericoloso, sta proprio qui.

12 Giugno 2018

Tocca dare ragione a Salvini, su due cose. Ha detto che «alzare garbatamente la voce paga» e, stendiamo un velo pietoso su quel «garbatamente», ha pagato: ha vinto lui, voleva che quei seicento disperati a bordo dell’Aquarius andassero da un’altra parte, e da un’altra parte stanno andando, perché i bulli, a forza di fare i bulli, la spuntano. Ha detto che «quello spagnolo è un precedente», e anche questo rischia di dimostrarsi vero. Forse sarà un «precedente» nel senso in cui l’intende il governo, perché da oggi potrebbe essere più facile dirottare verso altri Paesi le navi con a bordo i migranti salvati in mare, anche se questo significa costringerle a giorni in più di viaggio: se l’abbiamo fatto una volta, possiamo farlo di nuovo. Certamente è un «precedente» per un’altra ragione, ancora più preoccupante, un aspetto di questo governo populista che in molti, anche tra i suoi critici, hanno preso sottogamba: Salvini ha dimostrato quanto è facile infrangere le regole. E farla franca.

Al di là dell’aspetto umanitario della faccenda, che è agghiacciante, quello che l’esecutivo giallo-verde ha fatto è dimostrare quanto sia facile infischiarsene dei patti, del diritto del mare, del buon senso e della diplomazia. Basta mettere tutti davanti al fatto compiuto, tanto chi avrà il coraggio di sanzionare l’Italia, con l’aria che tira. È, si diceva, un aspetto del populismo che molti liberali e progressisti hanno commesso l’errore di minimizzare, perché siamo cresciuti nella convinzione, o nella pia illusione, che infrangere le regole fosse più difficile di quanto non sia. Ci sono le leggi internazionali!, ci siamo detti. C’è la costituzione! Ci sono gli alleati, l’Europa, c’è il potere giudiziario! Insomma, ci siamo convinti che certe cose semplicemente non si potevano fare. E invece.

Questo malinteso, va detto, non è del tutto colpa nostra. Berlusconi ci aveva abituati all’idea che certe cose si dicono ma poi tanto non si fanno, che a certi leader cialtron-populisti piaceva spararla grossa, tanto poi sapevano che non sarebbe andata in porto, ma l’effetto mediatico intanto era assicurato. “Can che abbaia non morde” è stata la lezione, per sommi capi, che avevamo portato a casa dal ventennio berlusconiano. Peccato che quella lezione, che un po’ faceva Terra dei cachi e un po’ ci rassicurava, oggi non vale più. Alla base di questo malinteso, poi, c’è anche una tendenza eccessiva al rimettersi alle istituzioni. Quando i leader eletti danno di matto, questo il ragionamento, per fortuna ci sono il potere giudiziario, le costituzioni, i trattati europei, tutto quel sistema di check and balance che serve a impedire ai governanti di fare quello che vogliono soltanto perché hanno un mandato popolare. In realtà però le istituzioni sono un argine, non una diga, e le leggi internazionali valgono fino a quando qualcuno riesce a farle rispettare. C’è un limite, insomma, a quanto le regole possano proteggerci dalla politica.

Se c’è una cosa che la bruttura di queste ore ha dimostrato, è che dovremmo toglierci il vizio di dare certe cose per scontate, perché le cose cambiano, talvolta anche molto in fretta. Ci sono dei confini che tutti considerano invalicabili finché qualcuno non dimostra che possono essere attraversati. Esistono regole che tutti davano per scontato andassero rispettate, finché qualcuno non dimostra che possono essere infrante senza grosse conseguenze, perché nessuno ha la possibilità o la volontà di farle rispettare.

In queste ore, specie sui social network, in molti hanno provato a paragonare l’Aquarius alla St. Louis, il transatlantico con a bordo novecento ebrei in fuga dalla Germania nazista che fu scandalosamente respinto da Cuba e Stati Uniti. Il paragone sembra francamente un po’ esagerato, e lo dico con tutta l’empatia per quei seicento disperati, incluse sette donne gravide e quindici ustionati gravi, e con tutto il disgusto per come si sono comportati Salvini e il suo governo. Però c’è una lezione da quegli anni che possiamo applicare ai giorni nostri senza timore di lanciarci in paragoni storici fuori luogo. Quando descrisse l’ascesa dei totalitarismi di destra, nei loro primissimi anni di vita, lo scrittore austriaco Stefan Zweig notò una strategia micidiale: «Una pillola alla volta, poi si prendevano il tempo per osservare gli effetti e capire se la coscienza del mondo li avrebbe digeriti». Gli smantellatori dell’ordine democratico introducevano le misure più estreme gradualmente, in modo di soppesare bene eventuali reazioni, capire se la facevano franca e se dunque se si poteva andare avanti. Non sarebbe giusto, né utile, paragonare i populismi del 2018 al nazi-fascismo. Quello che è giusto e utile è capire che il momento cruciale, quello più pericoloso, non è quello in cui un politico eletto infrange le regole. È quello in cui capisce che può romperle senza subire conseguenze.

Migranti a bordo dell’Aquarius in un viaggio del 12 maggio 2018 (LOUISA GOULIAMAKI/AFP/Getty Images)
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