Attualità

Salvare la vita al Führer

Poco prima degli accordi di Monaco il premier inglese Chamberlain, ospite nella residenza di Hitler, vi trovò un quadro fuori posto. Possibile che testimoniasse la grazia ricevuta dal dittatore nazista durante la Prima Guerra Mondiale?

di Cesare Alemanni

Sul finire del settembre 1938 l’allora primo ministro inglese Neville Chamberlain salì su un aereo diretto in Baviera. Doveva partecipare a una conferenza internazionale per decidere del destino dei Sudeti, territori cecoslovacchi a maggioranza linguistica tedesca che i nazisti intendevano occupare con le buone o con le cattive. L’incontro – a cui partecipavano Hitler, Mussolini e il primo ministro francese Daladier – si concluse con gli accordi di Monaco che sancivano l’annessione dei Sudeti al Reich e la mutua promessa di risolvere in modo pacifico ogni futuro contenzioso tra l’Asse e le potenze sulla Manica. La guerra sembrava scongiurata al punto che, appena rientrato a Londra, Chamberlain poté affermare l’ormai famigerato «I believe it is peace for our time». Convinto che l’appetito nazista non fosse da incoraggiare, Winston Churchill era però di parere diverso e pochi giorni dopo, in un celeberrimo intervento alla Camera dei Comuni, consegnò queste parole all’immortalità: «Francia e Gran Bretagna dovevano scegliere tra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra».

Questa è Storia, quella con la maiuscola. Meno noto, praticamente inverificabile, se non addirittura ai confini con la leggenda ma non per questo meno affascinante, è un altro avvenimento che forse ebbe luogo o forse no nella cornice di quel summit. E ovvero quando Chamberlain fu ospite di Hitler nella residenza alpina di Berchtesgaden per alcuni colloqui propedeutici all’incontro di Monaco, e, con sua sorpresa, si trovò ad ammirare un dipinto che mai si sarebbe aspettato di trovare in una residenza del Führer. Il dipinto, opera di Fortunino Matania, un pittore napoletano specialista in vedute della Prima Guerra Mondiale, rappresentava infatti un gruppo di soldati inglesi in azione a Menen, una cittadina nei pressi di Ypres (Belgio). Proprio il teatro in cui, sul fronte opposto agli inglesi, Hitler aveva combattuto e nell’ottobre 1918 aveva persino rischiato la cecità permanente per avvelenamento da iprite (o gas mostarda). Una circostanza che rendeva quantomeno curiosa la presenza, proprio lì, di quel quadro che evidentemente celebrava l’eroismo del nemico.

Il dipinto, opera di Fortunino Matania, un pittore napoletano specialista in vedute della Prima Guerra Mondiale, rappresentava un gruppo di soldati inglesi in azione a Menen, una cittadina nei pressi di Ypres.

Hitler, e questo è un fatto storicamente accertato, aveva chiesto e ottenuto una copia del dipinto già nel 1937, un anno prima della visita di Chamberlain. Lo conferma la lettera, indirizzata al museo militare inglese che possedeva l’originale, con cui il Capitano Fritz Wiedemann, assistente personale di Hitler, ringrazia per la copia ricevuta, comunicando che: «Ovviamente il Führer è estremamente interessato a cimeli connessi con la sua esperienza di guerra e si è molto commosso quando gli ho mostrato l’opera».

Tuttavia, forse, le ragioni per cui il dittatore rimase così colpito dal dipinto di Matania non si esaurivano con la sola nostalgia, come – secondo una cronaca che da qui in poi sfuma nell’inaccertabile – avrebbe scoperto appunto Neville Chamberlaine nel 1938 a Berchtesgaden, quando, di fronte a quel quadro così fuori posto, chiese a Hitler cosa lo legasse a quell’immagine. A quella domanda il dittatore indicò la figura in primo piano, quella che trasporta il compagno moribondo, e disse: «Quell’uomo mi si è avvicinato così tanto per uccidermi che ho pensato che non avrei mai più rivisto la Germania».

A questo punto è indispensabile aprire una parentesi sulla genesi del quadro che non è frutto né della fantasia di Matania e neppure, come pure accadeva spesso all’epoca, è un disegno realizzato per illustrare una cronaca di guerra (Matania infatti collaborava con diversi giornali inglesi come illustratore). Bensì è la riproduzione pittorica di una fotografia, commissionata nel 1923 dal corpo di soldati a cui appartenevano i soggetti immortalati. Una circostanza che aveva permesso al pittore di ottenere una certa verosimiglianza nei ritratti. In particolare, ovviamente, quello del giovane soldato in primo piano. Il cui nome era Henry Tandey, nientemeno che il soldato inglese che aveva ricevuto più decorazioni nel corso dell’intera Prima Guerra Mondiale. Un eroe nazionale dunque, con, a questo punto, un solo incolpevole torto: avere avuto pietà di un soldato tedesco ferito e disarmato di nome Adolf Hitler.

Hitler, che conosceva la storia di Tandey – forse per l’eco delle sue onorificenze giunto fin sui giornali tedeschi  o forse per aver chiesto ai suoi assistenti meticolosi accertamenti sulle manovre inglesi nei luoghi in cui aveva combattuto – pregò Chamberlain di porgere i suoi più sentiti ringraziamenti a quell’uomo per l’atto di clemenza con cui gli aveva risparmiato la vita. Cosa che, secondo questa versione della storia, Chamberlain fece, addirittura telefonando personalmente a casa di Tandey, a Birmingham.

È però questa una ricostruzione dei fatti di quei giorni del 1938 che – pur se lungamente creduta e ripresa in vari contesti (in Italia anche da Ettore Mo, nel 1997 sul Corriere) – è stata altrettanto lungamente dibattuta dagli storici e quasi interamente screditata da una biografia di Tandey del 2009, il cui autore, tra le altre cose, appura che all’epoca, a casa di Tandey, non era ancora neppure stato installato il telefono. Un fatto su cui non esiste il minimo dubbio però, è che Tandey venne in qualche modo a sapere di avere forse risparmiato la vita a uno dei peggiori casi di essere umano della storia e che, almeno per un certo lasso di tempo nel corso della Seconda Guerra Mondiale, avvertì tutto il peso di questa consapevolezza. Lo conferma lui stesso in un’intervista rilasciata nel dicembre del 1940 a un quotidiano inglese, mentre le bombe tedesche si abbattevano incessanti sul suo Paese. «Se solo avessi saputo chi sarebbe diventato. Quando vedo tutte le donne e i bambini che sta uccidendo penso solo che mi dispiace di averlo lasciato andare».

Tuttavia, per quanto stampata nero su bianco, anche l’attendibilità di questa dichiarazione è oggetto di scetticismo da parte degli storici, che la ritengono  frutto più dell’emotività del momento che di una credibile ricostruzione dei fatti. Per tutta la sua vita infatti, nelle conversazioni con amici e conoscenti, Tandey non si era mai dimostrato certo dell’accaduto e ripeteva spesso con orgoglio di aver risparmiato la vita a numerosi soldati tedeschi – feriti, disarmati o in fuga – e che non c’era modo per lui di sapere con certezza se tra loro ci fosse anche il giovane Adolf Hitler. Se a questo si aggiunge che, secondo più approfonditi accertamenti storici, le compagnie a cui appartenevano Tandey e Hitler non erano mai state abbastanza vicine in battaglia da dare supporto alla versione dei fatti del Führer, si capisce come sia effettivamente molto improbabile che fosse proprio Henry Tandey l’uomo a non aver sparato a Hitler.

«Se solo avessi saputo chi sarebbe diventato. Quando vedo tutte le donne e i bambini che sta uccidendo penso solo che mi dispiace di averlo lasciato andare».

E allora cosa? Chi? A questo punto si aprono tre possibili scenari. Il primo e il più probabile è che l’intero aneddoto fosse un’invenzione di Hitler per alimentare il culto della sua personalità. Avere visto la morte a un palmo di naso ed essere stato graziato dal nemico: quale modo migliore per dimostrare che la sua ascesa era frutto di predestinazione, di una volontà superiore? E chi meglio del soldato nemico più decorato per dispensare la grazia? In questa ipotesi, l’acquisizione e l’esposizione in bella vista del quadro di Matania potrebbero essere stati l’ultimo atto di una lunga e premeditata macchinazione, architettata per far giungere, a tempo debito, la storia all’orecchio di Chamberlain e di lì al pubblico.

La seconda possibilità, abbastanza probabile dato che si trattava pur sempre di una guerra, è che effettivamente, nel corso di una battaglia della Prima Guerra Mondiale, un soldato inglese abbia risparmiato la vita a un Adolf Hitler inerme e che Hitler abbia scelto, per vanagloria o per semplice confusione dei ricordi, di dargli il volto di Tandey. In questo caso, esiste almeno un essere umano, destinato a rimanere a noi per sempre ignoto, ad avere effettivamente lasciato vivere Adolf Hitler avendo l’opportunità di fare altrimenti, ad avere fatto effettivamente una cosa terribilmente sbagliata tentando di farne una giusta e onorevole.

L’ultima e meno probabile delle possibilità è che, nonostante le evidenze contrarie, i ricordi di Hitler fossero in effetti corretti: un fatto attribuibile al terrore del momento tale da imprimere a fuoco nella sua memoria il volto di chi gli fece clemenza. In questo scenario quindi, sarebbe esistita almeno una persona al mondo, e noi ne conosciamo le generalità, a conoscere la propria risposta alla domanda: “e tu cosa avresti fatto se avessi potuto uccidere Adolf Hitler prima che diventasse Adolf Hitler?”. E quella persona, anche se lei per prima non conservava un ricordo nitido dell’accaduto, si chiamava Henry Tandey.
 

Nell’immagine in evidenza: un particolare dell’illustrazione di Fortunino Matania.