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Rocco Casalino, buono, brutto o cattivo?

Abbiamo letto la sua autobiografia, Il portavoce, in libreria da oggi, in cui racconta la sua vita e la sua carriera, dal Grande Fratello al Movimento 5 Stelle.

di Arnaldo Greco

Rocco Casalino ascolta Luigi Di Maio durante un incontro con la stampa estera, il 13 marzo 2018 a Roma (foto di Tiziana FABI / AFP tramite Getty Images)

Chissà se la vera condanna di Rocco Casalino non sia la “lettera scarlatta” della partecipazione al Grande Fratello – come la definisce nella sua autobiografia, Il portavoce (Piemme) – ma consista invece nell’aver convinto tutti che qualunque cosa faccia, dica o scriva, in realtà dietro nasconda un doppio gioco, un tranello, un tentativo di manipolazione. E quindi, anche di fronte a un libro che prova a presentarsi come una confessione sincera, nessuno riesca a leggere senza pensare: perché ora, perfino perché con quell’editore, perché in quello stile – visto che, come noto, è capace di usare registri diversi, più alti e più bassi – perché ha tralasciato quell’episodio, perché più citazioni di quel politico piuttosto che di quell’altro.

Casalino si descrive come il protagonista di una success story, per la precisione Melanie Griffith in Una donna in carriera, (anche se, sul finale, ammette che l’unica cosa che gli manca della vita è una grande storia d’amore e, lì, il pendolo oscilla più verso Julia Roberts di Notting Hill, enorme successo e solitudine). Singolare anche che il ruolo di prestigio a cui ambire, in questa versione italiana, sia poi una carriera a cui non era mai stata attribuita particolare coolness – il portavoce, per l’appunto – e chissà se la difficoltà dello spettacolo italiano a raccontare certe storie non stia proprio nell’impossibilità di presentare la scalata al successo quando l’obiettivo è diventare deputati (mica manager o finanzieri) e, perciò, possiamo permetterci, nella vita come nella finzione, solo Stanis La Rochelle che vuole interpretare a tutti i costi Fini o Sordi che fa cascare in piscina il suo affarista di riferimento in Una vita difficile. È ovvio che perfino la perfetta sincerità non potrebbe che offrire solo uno spicchio di verità e, dunque, non vale minimamente interrogarsi su quest’aspetto, allo stesso tempo il libro lascia il continuo sospetto che «loro sono cattivi nella vita e buoni sotto i riflettori. Allora io, che sono buono nella vita reale, farò il cattivo sotto i riflettori», le due righe che andrebbero messe sulle fascette e ripetute nelle pubblicità, contengano non solo qualcosa di efficace, ma pure qualcosa di credibile.

E un’altra cosa diventa con la lettura più che un sospetto: Casalino ce l’avrebbe fatta anche a prescindere dal Grande Fratello, e ce l’ha fatta nonostante il GF. Personalmente ne ero convinto, forse prima ancora di leggere un libro, al punto che quando, poi, verso le ultime pagine, si scopre che se lo dice da solo, si resta un po’ delusi perché quella cosa che credevi di aver capito autonomamente, forse ti è stata suggerita, sei stato influenzato, sei caduto nella trappola. Ancora una volta, manipolato da Casalino. La sua fama da Keyser Söze che lo precede. Una fama su cui a lui piace molto giocare, ma che s’è costruita e difende ostinatamente (e in parte una fama perfino immeritata, perché poi ha affrontato anche qualche incidente di percorso. E qui tutti gli archeologi delle polemiche possono ricordare la propria preferita anche se, per fortuna – e neanche solo sua – qui in Italia ci conosciamo e ci perdoniamo sempre tutti).

Su un punto, soprattutto, sembra avere ragione, anche a prescindere dalla sua biografia: ciò che non gli viene perdonato è l’essere arrivato davvero dal nulla, nel caso specifico da una famiglia emigrata in Germania. (Curiosamente l’unica parola italiana che l’emigrato in Germania più noto, Verdone/Pasquale Amitrano, riesce a pronunciare quando torna in Italia per votare è proprio “Vaffanculo”. Grillino ante litteram anche lui). Ma al di là di quest’annotazione, resta il fatto che, in un Paese unico al mondo, dove buona parte dei giornalisti quando guarda Una poltrona per due preferisce i fratelli Duke a Murphy e Aykroyd, aver scalato un partito invece di aver spiegato agli altri sui social come si scala un partito, senza però provarci, è davvero inammissibile.

C’è un particolare dell’Odissea che un critico una volta ha fatto notare e mi ha sempre colpito. Durante le sue peripezie, Ulisse arriva di continuo in nuovi luoghi. A volte accolto bene, altre male, da mostri, da ninfe, da nobili e da povera gente. Ogni volta che gli chiedono cosa gli sia successo e perché sia arrivato fin lì, lui racconta una storia diversa. Mai la stessa, sempre una nuova. L’Odissea è esattamente la versione che lui raccontò ai Feaci, la più estesa, certo, ma non è mica detto che non fosse una balla anche quella. Mi pare che abbia qualcosa a che fare anche con questa storia.