Attualità

Chi è Rembrandt Bugatti?

La strana vita dello scultore milanese amante degli animali divenuto celebre nella Parigi degli anni Dieci, e oggi dimenticato.

di Edgardo Franzosini


Rembrandt Bugatti fu uno scultore milanese trapiantato a Parigi e Anversa, oggi dimenticato, ma che negli anni Dieci del Novecento godette di una grande popolarità per i suoi bronzi di animali. Fratello minore di Ettore Bugatti, il fondatore della omonima casa automobilistica, visse in una sorta di struggente empatia con i suoi “modelli” – babbuini, elefanti, gazzelle, pantere e leoni – fino ad essere colpito da una dura depressione quando, con lo scoppiare della Grande Guerra, lo zoo di Anversa decise di abbattere alcuni degli esemplari da lui tanto amati.

A Rembrandt Bugatti (l’inusuale nome di battesimo fu suggerito dal padrino, lo scultore Ercole Rosa) ha dedicato un romanzo biografico lo scrittore Edgardo Franzosini, che uscirà il 17 settembre per i tipi di Adelphi, con il titolo Questa vita tuttavia mi pesa molto. Ve ne proponiamo un estratto.

'Rembrandt Bugatti' Exhibition Preview

Ormai Bugatti può ritenersi soddisfatto della propria carriera artistica. È uno scultore piuttosto noto in Francia, in Italia, in Belgio. Ma ha dovuto superare non poche incomprensioni, non poca diffidenza.
Il primo ostacolo era stata la volontà del padre, che per lui immaginava una carriera da ingegnere. Da ingegnere ferroviario, per la precisione. Di artisti in casa ce n’erano già troppi. Cambiò idea solo il giorno in cui scoprì nel suo studio, sotto un panno umido, un gruppo di terracotta – un pastore che guidava tre mucche – che Rembrandt, all’epoca nemmeno quindicenne, aveva plasmato con le sue mani.
E poi lo scarso entusiasmo dimostrato da Adrien-Aurelién Hébrard, il proprietario della galleria d’arte di rue Royale 8 e della fonderia nella quale Bugatti fa fondere, a cera persa, gli animali che modella nella plastilina. Secondo Hébrard, era il nome stesso di quel ragazzo a intimidirlo, perché evocava troppa gloria, troppa arte.

FranzosiniComunque sia, i giornalisti e i critici hanno cominciato, anno dopo anno, ad accorgersi di lui, a considerare prima con riguardo e poi con ammirazione le opere che realizza. Soprattutto qualcuno ha intuito l’eccezionalità del rapporto fra Rembrandt e i suoi modelli.
Ciò che distingue il talento di Monsieur Bugatti, scrivono, è la conoscenza esatta delle abitudini e dei comportamenti degli animali: sembra che abbia vissuto con loro, che possa comprenderne ogni movenza e ogni espressione. Altri rimarcano senza timore che Rembrandt Bugatti non solo ama gli animali in quanto artista, ma li ama anche come uomo, di un amore che si spinge sino alla tenerezza.
È quindi l’uomo che aiuta lo scultore a cogliere tutti i sentimenti che gli animali sono in grado di manifestare e a distinguere un sentimento dall’altro – la collera, l’affetto, l’amore materno – quasi che si trattasse di esseri umani. Se si parla così tanto di lui, scrivono, è perché gli animali di questo scultore non assomigliano per nulla a quelli che gli altri artisti ci hanno fatto vedere sino adesso. E se un critico mette in evidenza come ci sia in Bugatti uno studio più coscienzioso della loro carne, una percezione più netta del loro pelo, del loro piumaggio, un altro sottolinea come sia proprio grazie al suo coraggio, alla sua volontà e anche alla sua pazienza che il risultato ottenuto è quello che tutti hanno sotto gli occhi.

(…)

Nel suo appartamento di rue Joseph-Bara Rembrandt non tiene con sé neppure una bestiola. Né un cane, né un gatto, e neanche un uccellino. Forse non sopporta più la vista di esseri umani e animali che mischiano così strettamente la loro vita. Anni prima, quando era appena arrivato a Parigi da Milano, viveva con il padre e la madre in rue Jeanne-d’Arc e aveva lo studio a pochi passi, in rue Duméril, gli è capitato più di una volta di incontrare, rientrando a casa, un ometto che passeggiava seguito da una frotta di cani di tutte le taglie e di tutte le razze.
È Maurice Boissard, lo ha informato un giorno qualcuno. Fa il critico teatrale al «Mercure de France» e abita al passage Stanislas, in una casa piena di animali. Ogni sera l’ometto esce con in testa un cappello sformato e un soprabito lercio. Porta fuori i suoi cani a fare pipì. E spesso ci parla anche. Una sera Bugatti ha anche assistito a una lite tra Boissard e un passante. Uno dei cani di Boissard doveva aver morso il polpaccio del passante. Questi aveva preso a urlare, imprecando e lamentandosi per il dolore. Il critico del «Mercure de France», quando Bugatti si è avvicinato, ha iniziato anche lui a gridare e a inveire con una vocetta strozzata: «Lei, signore, è un villano e un maleducato!». Cercando poi, con gli occhi, l’approvazione di Rembrandt.
Le sole bestie che hanno condiviso per qualche mese con Rembrandt lo studio di rue Duméril sono state due piccole antilopi del Senegal, un maschio e una femmina. Gliele ha inviate un giorno Michel L’Hoëst, il direttore dello zoo di Anversa, affidandole alle sue cure. Al Jardin des Plantes non è che manchino le antilopi, ma Rembrandt desidera lavorare proprio su quei due animali che ha conosciuto ad Anversa e la cui vita dietro le sbarre ha osservato a lungo.

«Però hanno un odore che fa vomitare» dice. E aggiunge: «Comunque, contento tu»

«Resteranno un poco con me,» dice alla madre «sono appena più grandi di un cane ». Madame Bugatti si piega, con il naso che quasi tocca il pelo sul dorso di una delle antilopi. «Però hanno un odore che fa vomitare» dice. E aggiunge: « Comunque, contento tu ». Con qualche leggero colpo sul collo, Rembrandt spinge i due animali su per le scale. La sera stessa comincia a lavorare sulle antilopi. Niente schizzi preparatori, niente abbozzi sulla carta. Come al solito. Rembrandt le osserva, le riosserva, le osserva ancora. Ma questa volta non ci sono gabbie, non ci sono sbarre.
Le guarda aggirarsi per lo studio, annusare gli angoli, leccare i pochi mobili, mordere l’imbottitura di un vecchio divano, battere con gli zoccoli sul pavimento. Le contempla mentre masticano le foglie di insalata e le piccole mele verdi, il granturco, le carote con cui riempie la vasca da bagno, divenuta la loro mangiatoia. Rembrandt ha anche sistemato un po’ di paglia in un angolo dello studio. Ci dormiranno sopra, aveva pensato. Una delle due però, «la piccola» come la chiama per distinguerla dal maschio, di taglia leggermente più grande (Rembrandt non vuole dar loro un nome, la considera una di quelle cose che, nel rapporto tra uomo e animale, ha l’inutile scopo di umanizzare le bestie), la piccola, dunque, si accovaccia davanti alla porta d’ingresso e, da allora, ogni notte prenderà sonno in quel punto. Le due antilopi del Senegal rimarranno da giugno a settembre in rue Duméril, per poi tornare alla loro gabbia di Anversa.
Il 27 settembre Rembrandt scrive a Michel L’Hoëst: «Caro signore, ho ricevuto questa mattina il telegramma con il quale mi informa che le due care bestiole sono felicemente arrivate. Sono certo che mi scuserà di aver fatto tutto così in fretta: ma ho dovuto approfittare di un quarto d’ora di energia per decidermi a separarmi da loro. Dopo tanti mesi di vita in comune, erano diventate vere compagne della mia esistenza e del mio lavoro». Poi, con la premura di un genitore o con la delicatezza di un amante, aggiunge: «Si sarà certamente accorto che il maschio è ingrassato e che il suo pelo è diventato più scuro. È un animale superbo … Mi auguro che il viaggio non li abbia troppo affaticati. Se mi scriverà che stanno bene, ne avrò un gran piacere… ».

'Rembrandt Bugatti' Exhibition Preview

 

Immagini: un’esposizione di Rembrandt Bugatti a Berlino, foto di Christian Marquardt