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08:31 mercoledì 5 novembre 2025
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms, la prima serie tv di Wong Kar-Wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.
È morta Diane Ladd, attrice da Oscar, mamma di Laura Dern e unica, vera protagonista femminile di Martin Scorsese Candidata tre volte all'Oscar, una volta per Alice non abita più qui, le altre due volte per film in cui recitava accanto alla figlia.
L’attore e regista Jesse Eisenberg ha detto che donerà un rene a un estraneo perché gli va e perché è giusto farlo Non c'è neanche da pensarci, ha detto, spiegando che a dicembre si sottoporrà all'intervento.
A Parigi c’è una mensa per aiutare gli studenti che hanno pochi soldi e pochi amici Si chiama La Cop1ne e propone esclusivamente cucina vegetariana, un menù costa 3 euro.
Il Premier australiano è stato accusato di antisemitismo per aver indossato una maglietta dei Joy Division Una deputata conservatrice l’ha attaccato sostenendo che l’iconica t-shirt con la copertina di Unknown Pleasures sia un simbolo antisemita.
Lo scorso ottobre è stato uno dei mesi con più flop al botteghino nella storia recente del cinema In particolare negli Stati Uniti: era dal 1997 che non si registrava un simile disastro.
La neo premio Nobel per la pace Maria Corina Machado ha detto che l’intervento militare è l’unico modo per mandare via Maduro La leader dell’opposizione venezuelana sembra così approvare l'iniziativa militare presa dall'amministrazione Trump.

Rat-Man addio

La serie del supereroe senza i superpoteri è giunta alla conclusione con il n° 122, in edicola dal 28 settembre.

27 Settembre 2017

Italiano e in qualche caso addirittura italianissimo. E poi: ironico, divertente, satirico, appassionante, indimenticabile, un appuntamento fisso. Di cose su Rat-Man, in questi venti (e più) anni di pubblicazioni, ne sono state dette tantissime. E anche ora che la serie è finita, con il numero 122 in edicola, sempre edito da Panini Comics, di cose, molto probabilmente, se ne continueranno a dire. Perché Rat-Man, il personaggio, e Rat-Man, il fumetto, sono destinati a rimanere nell’immaginario comune. E con loro anche Leo Ortolani, l’autore: geologo pisano, uno che la passione per il disegno l’ha sempre avuta, fin da quando era bambino, tramandata dalla mamma pittrice; e che poi, dopo un momento iniziale di incertezza, ispirato anche da sua maestà Jack Kirby, ha deciso: da grande farò il fumettista (o “fumettiere”, come l’ha chiamato una delle sue bambine).

Centoventidue numeri sono tanti ma non tantissimi. Sono abbastanza per raccontare una storia e, anche, per lasciare il segno. Ma non per annoiare e far invocare a gran voce la ghigliottina dell’editoria. E non è un caso se di serie così, che hanno avuto il coraggio di finire, non ce ne sono state molte in Italia. Forse è perché è difficile dire basta. Oppure perché è praticamente impossibile trovare una conclusione adatta, coerente con tutto quello che è successo fino a quel punto e che riesca a soddisfare i lettori. Chi lo sa.

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Ortolani, però, ce l’ha fatta. Era il 1989 quando Rat-Man fece la sua prima apparizione su Spot, supplemento de L’Eternauta. Nacque come una parodia dei supereroi americani (uno spunto iniziale abbastanza importante venne dal Batman di Tim Burton) per poi, molto presto, diventare altro: una serie con una sua dignità e un suo spessore, con una sua identità – cosa, forse, ancora più importante – e una sua riconoscibilità. Ortolani ha preso un omino con le orecchie da topo e il muso da scimmia (“io, i volti, non li ho mai saputi disegnare”), l’ha vestito di giallo e gli ha fatto fare le cose più difficili: l’ha spezzato, ricostruito, spezzato ancora una volta; l’ha usato come maschera e come sacco da boxe.

Uomo e topo, tutte e due le cose insieme. Non uno che vince. Non il tipico supereroe. Nessun potere, nessuna grande abilità e nemmeno un cervello degno di nota. È un idiota, Rat-Man. Certo, un idiota simpatico. Rappresenta perfettamente l’uomo medio: mediocre, piatto, senza talenti. E in più, come se non bastasse, è anche buono: uno che alle cose ci crede, che si fida; uno che a modo suo ha una morale. E quindi, incassa. Pugni, legnate, colpi di scena, cattiverie del suo autore, situazioni tragicomiche da cui sembra impossibile uscire. E poi, ecco: all’improvviso ha fortuna. E la parabola dell’eroe trova in qualche modo la sua misura. La sua quadra. È per questo che alla fine, dopo tutto questo tempo e questa carta, dopo tutte le storie, le battute, gli incontri/scontri, dopo i crossover, le parodie e gli episodi speciali, Rat-Man è diventato un cult.

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Chi non ha mai sentito parlare di Rat-Man? Chi non ha mai letto una sua storia o sfogliato un suo albo? Chi non l’ha mai visto disegnato su qualche pagina? Chi è che oggi, l’anno della fine, non saprebbe riconoscerlo? La silhouette, le orecchie che svettano nella penombra, l’orsacchiotto Piccettino sotto un braccio, il trans Cinzia al proprio fianco. Se questa serie ha avuto tanta fortuna, è stato in buona parte per la sua semplicità e la sua immediatezza. Perché tutti possono leggere Rat-Man, tutti possono sentirsi come lui. Qui le responsabilità ci sono, come in Spider-man, ma non c’è nessun potere per affrontarle. E tutto è alla portata di tutti: schiacciato sotto la livella della vita quotidiana, dell’insuccesso, del fallimento e impreziosito, anche quello, da un certo modo di vederlo.

Rat-Man è uno di quei pochi fumetti che sono riusciti ad entrare nelle case degli italiani (dalla porta d’ingresso, spesso; ma anche di nascosto, pigiato sul fondo degli zaini di amici), a resistere alla moria delle edicole, a vincere premi, a far sempre ridere, a non ripetersi mai, ad andare sempre meglio, sempre oltre, e a trovare, quand’è arrivato il momento, il giusto equilibrio tra storia e personaggi, tra ironia e serietà, tra commedia e drammaticità. Un po’ com’è stato per il Fantozzi di Paolo Villaggio (ma meno meschino, meno farabutto); un po’ com’è successo alle vignette di Jacovitti.

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È difficile riuscire a mettere d’accordo pubblico e critica, ed è difficile arrivare alla fine così, ancora letti e ancora seguiti. E questo nonostante le uscite ballerine, le pause, la bimestralità che s’allungava, che dimezzava, che s’allungava di nuovo. “La pazienza che hanno avuto i tuoi lettori ancora mi commuove”, ha scritto Leo Ortolani sulla Repubblica di domenica scorsa. Più che pazienza, quella dei lettori di Rat-Man è stata passione, amore e dedizione. Il fan di Rat-Man è uno come il suo autore: che sa scherzare, di solito; che non si prende troppo sul serio. E quindi che sa che alcune volte è importante aspettare e anche, alla fine, saper dire basta. Perché fa ridere, la fine di Rat-Man. Come tutte le grandi battute, come tutte le grandi storie: se si chiude con un sorriso e un inchino, un saluto e un grazie, non si può volere di più. E anzi viene quasi da dire: “va bene così, sono contento”.

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