Attualità

Questa non è Spagna

Domenica il voto in Catalogna con la separazione come vera posta in gioco. Siamo stati a Barcellona nella fortezza dell'indipendentismo.

di Giuliana De Vivo

La fortezza dell’indipendentismo catalano ha l’uscio anonimo di un circolo pensionati di periferia. Carrer de la Marina, Barcellona: da qui in pochi minuti si arriva a piedi alla Sagrada Familia, ma a questa altezza la zona è residenziale, non turistica. Intorno, palazzi di cinque o sei piani, un piccolo supermarket, un negozio di infissi per finestre. Di fronte, la fermata di un bus, gli stalli del bike sharing comunale, un parco giochi per i bimbi. Un vetro opaco sormontato da un’insegna, scritta nera su fondo bianco: “Assemblea Nacional Catalana”. Non una bandiera, un simbolo, un disegno. Nulla a guidare lo sguardo verso l’unica sede fisica al mondo di un’organizzazione che in pochi anni ha quasi raddoppiato il numero di partecipanti alla Diada, la festa nazionale in cui, ogni 11 settembre, si commemora la conquista della città da parte dell’esercito borbonico di Filippo V. Si ricorda una sconfitta, nel 1714: la presa di un territorio assediato e difeso per 14 mesi dai suoi abitanti. Quest’anno – dicono loro – c’erano due milioni di persone; un milione e 800mila nel 2014, un milione e 600mila quello prima, nel 2012 uno e mezzo: al di là dell’attendibilità dei numeri, la crescita è costante. E va di pari passo con quella dell’Anc. Sì, perché l’associazione esiste da poco più di tre anni. Ufficialmente dal 10 marzo 2012, data in cui qualche migliaio di attivisti di cellule indipendentiste locali e slegate tra loro decisero di compattarsi in un organismo unico. Obiettivo statutario: mettere insieme la società civile per realizzare il fine ultimo dello Stato di Catalogna.

Catalan Independence Rally In Barcelona

Oggi quelle cellule sono diventate le assemblee territoriali, municipali e provinciali: ce ne sono 520 in tutta la comunità autonoma. Altre 37 si trovano all’estero, da New York a Berlino. Poi ci sono quelle che raggruppano categorie professionali – avvocati, traduttori, informatici, pompieri – o di settore: giovani, immigrati, gay, donne. Ciascuna «svolge iniziative di pressione nel proprio ambito, denunciando le limitazioni decisionali cui ci si trova sottomessi per la mancanza di una Catalogna sovrana», si legge sul sito (al quale si accompagnano profili Twitter, canali Vimeo e Youtube, una pagina Facebook e un’altra su Flickr). Tante piccole lobby che si riuniscono dove capita, dalla biblioteca pubblica alle case private: l’Anc non sostiene spese di affitto di altri locali, al netto di questo nella capitale catalana. Dove, al di là di quel vetro opaco, il mondo cambia.

A queste elezioni resta sottesa la domanda: volete una Catalogna indipendente?

Faretti che illuminano a giorno, pavimento di marmo lucido, poltroncine di pelle. E un bancone con sopra volantini, mappe turistiche, depliant di tour alla scoperta della storia della città: sembra la reception di un albergo. «Abbiamo 80mila affiliati», dice fiera Laia Segura, responsabile delle relazioni con la stampa estera; una donna bionda, pelle chiara e occhi verdi, dall’apparenza più tedesca che spagnola. L’Unión General de Trabajadores, il principale sindacato spagnolo nato proprio a Barcellona oltre un secolo fa (nel 1888), in Catalogna conta 149mila iscritti. Meno del doppio. Nella sua veste formale l’Anc è una semplice associazione culturale senza scopo di lucro. Apartitica e indipendente. Eppure ha raggiunto un’influenza superiore a quella di molte formazioni politiche tradizionali: le posizioni che esprime fanno notizia, le dichiarazioni del presidente diventano titoli sui quotidiani. Al punto che a giugno Artur Mas – il presidente della Generalitat, il governo catalano, che sull’esito della causa soberanista si sta giocando la carriera politica – ha chiesto loro un aiuto nella scelta dei nomi da inserire nella lista unitaria per le elezioni di domenica 27. Sulla carta sono amministrative, ma per loro si tratta di «un referendum de facto sull’indipendenza». C’è scritto così – in inglese, tedesco e catalano – sui volantini appoggiati al bancone. Si approfitta della natura ufficiale del voto per dare al «27S» un significato plebiscitario finora negato dal governo di Madrid nelle precedenti consultazioni. Da ultimo il 9 novembre dell’anno scorso, quando il valore del referendum fu declassato a meramente consultivo a colpi di ricorsi alla Corte Costituzionale. Non a caso la lista che ora ha preso forma si chiama Junts pel Sì, Uniti per il Sì, a conferma che a queste elezioni resta sottesa la domanda: volete una Catalogna indipendente?

Demonstrations Are Held As Catalans Celebrate Their National Day

Laia mi fa strada verso il corridoio, dove subito a destra si apre una stanza, piccola. «Questo è l’ufficio dei dipendenti dell’Anc. Siamo in tutto undici: cinque amministrativi, tre che si occupano del front office e altri tre dell’ufficio stampa, tra cui io. L’aspetto curioso è che lavoriamo con entusiasmo pur sapendo che una volta raggiunto l’obiettivo finale dell’Anc ci troveremo senza impiego». Tutti gli altri sono volontari. Niente stipendio nemmeno al presidente, Jordi Sànchez, docente universitario a contratto con una lunga storia di attivismo civico alle spalle, che ha sostituito, dopo tre mandati consecutivi, Carme Forcadell, carismatica leader fin dalla fondazione. La struttura è articolata. Ogni membro – per diventarlo basta pagare la quota di 12 euro a trimestre, non occorre essere catalani e nemmeno avere la cittadinanza spagnola – è ammesso alla Asamblea General, ufficialmente l’«organo di governo». Ma il vero organismo di decisione, a cominciare dall’elezione annuale del presidente, è il Secretariado nacional, composto da 75 persone. Di cui 50 elette dalle assemblee territoriali e 25 dalla General. Chi vive all’estero può votare via internet. Chi vuole candidarsi non deve rivestire cariche politiche, di partito o essere candidato nelle liste elettorali. Del procedimento e dello scrutinio si occupa un’apposita giunta elettorale. Altro che primarie del Pd. I componenti del Secretariado formano poi 14 commissioni, suddivise per temi e obiettivi, un po’ come le nostre commissioni parlamentari.

Il paragone con il secessionismo della Lega Nord della prima ora viene automatico, ma è una forzatura

Gabriel Rufiàn Romero, 33 anni, e Quico Bellavista, 52, fanno parte rispettivamente di quella dedicata a Comunicazione e influenza politica e di quella Internazionale. Li incontro al secondo piano, in una grande sala con un palco al fondo, una platea di sedie, amplificatori e esteladas (le bandiere indipendentiste) ai lati. È quella che si usa per conferenze stampa e occasioni ufficiali. Alle domande sull’area partitica di riferimento dell’Anc, Romero risponde che «non c’è: siamo trasversalissimi. C’è chi vota Erc come Podemos, Uniò democratica o Icv». Partiti di sinistra, anti-sistema, moderati o ambientalisti. Purché lontani dal potere di Madrid. Al Partido Popular del premier Mariano Rajoy, Gabriel riserva parole durissime: «La Spagna è un’anomalia in Europa, l’unico Paese dove la dittatura franchista, al termine di quella che impropriamente chiamano “transizione” , è confluita nell’attuale gruppo di potere del Pp». Colpa anche «del Psoe, che durante gli anni di governo non ha avuto il coraggio di rivedere la struttura istituzionale dello Stato, ignorando le questioni territoriali catalana e basca».

Con occhi italiani, il paragone con il secessionismo della Lega Nord della prima ora viene automatico. Ma è una forzatura: un’associazione con tanto peso specifico da noi è impensabile. E qui non c’è un’accusa verso Roma ladrona ma una rivalità tra pari, Madrid – Barcellona, di cui il tifo calcistico è specchio perfetto. Con la capitale rea di «un deficit di vera democrazia che si esprime nel divieto del referendum». Il chiodo fisso è sempre il «diritto a decidere». Ma ci sono questioni per cui nemmeno i membri della cùpula, come informalmente viene chiamato il Secretariado, sembrano avere le idee chiare. Una volta che la Catalogna sancisse la propria natura di nazione indipendente, come gestirebbe la sua collocazione in Europa? Come fa un neo-Stato, non ancora dichiarato membro dell’Ue, a giustificare l’uso dell’euro come moneta corrente? Se le domande si fanno specifiche, incontrano risposte vaghe. Bellavista, laurea in Giurisprudenza e un master in diritto europeo, si limita a dire che su tutti questi interrogativi «deve poter decidere di volta in volta il popolo catalano. Abbiamo messo su la più massiccia manifestazione della storia recente europea: dovrà pur dire qualcosa, no?».

Protests On Catalonia's National Day

L’Anc ha preso un sentimento che ribolliva sotto traccia e lo ha fatto eruttare. Con un organizzato lavoro di propaganda e di autoaffermazione della propria identità. È dichiaratamente una lobby, nel senso laico del termine. Impensabile che si finanzi solo con le quote degli affiliati. Vive anche di altro. Al centro del corridoio principale della sede ci sono due grandi vetrine: «In queste teche conserviamo le magliette di ciascuna edizione della Diada», illustra Francesca Ferreres Sorti, 29enne fondatrice dell’assemblea territoriale londinese. Si sofferma in particolare su quella del 2012, «che ci ha cambiato la vita, perché nessuno di noi si aspettava così tanta gente». Ogni anno pensano a uno slogan nuovo, riportato su una cospicua varietà di magliette, cappelli, zaini, fischietti. Il kit completo della Diada 2015 – la via Lliure, la strada libera, è il motto – è in vendita anche sul sito e costa 15 euro. Basta guardare foto e filmati degli ultimi anni, con balconi e giovani, vecchi e bambini imbandierati per capire che funziona un po’ come ai concerti: è un segno d’appartenenza. Ma neppure il marketing da solo basterebbe. L’altra fonte sono le donazioni da parte dei privati. Membri, o anche semplici simpatizzanti. Elargire soldi all’Anc è uno status symbol, un vezzo di cui parlare a cena. «Sappiamo da chi ci arrivano i soldi, ma per questioni di tutela della privacy non possiamo rivelarlo», si schermisce Laia Segura. A Barcellona si vocifera che tra i finanziatori ci siano vip e famiglie catalane d’alto lignaggio.

Ma la ricchezza vera sa quando farsi vedere e quando restare nascosta, vedi quell’insegna all’ingresso.

Fotografia delle edizioni 2013 e 2014 della Diada a Barcellona (David Ramos per Getty Images)