Attualità

Questa non è Napoli

Una chiacchierata su Lucky Ladies, tra orgoglio napoletano e senso di estraneità.

di Arnaldo Greco & Cristiano De Majo

Lucky Ladies, ovvero «il racconto dell’upper class partenopea attraverso gli occhi di un gruppo di eccentriche e fortunate signore», in onda dal 3 giugno su FoxLife sta facendo discutere. Ma forse solo perché qualsiasi rappresentazione di Napoli è destinata a far discutere. Arnaldo Greco e Cristiano de Majo ci hanno ragionato su.

Cristiano de Majo (CDM): Ho la sensazione che Lucky Ladies insieme forse a 1992, sia l’unica vera novità italiana del palinsesto di quest’anno. Ma tu forse, in quanto autore tv, hai uno sguardo più attento…

Arnaldo Greco (AG): Mi trovo sempre in imbarazzo davanti a frasi così assertive. Stai dimenticando qualcosa di sicuro. (Io poi non metterei 1992 tra le grandi novità). Sento che invece Lucky Ladies è una novità, ma penso anche che il fatto che siamo campani ce lo faccia sentire più grande di quanto non sia.

CDM: Ecco questo della napoletanità è uno dei temi fondamentali. Lo affronterei tra un attimo però. Se siamo d’accordo sul fatto che è una novità, perché è una novità? Non è mai stato fatto di niente di simile in Italia? Qual è il modello che ti viene in mente? Io penso soprattutto a Al passo con i Kardashian. Anche a Sex and the City, ma come lontana ispirazione di fondo.

AG: Ho visto una puntata della versione americana di Lucky Ladies ieri.

CDM: E com’era? Dov’era ambientato?

AG: Non me lo ricordo neppure. Senza Napoli (e senza Italia) non è che me ne fregasse un granché. Negli Usa è stato un grosso campione d’ascolti Duck Dynasty, una docufiction su una famiglia di tizi produttori di strumenti per la caccia alle anatre. Quello è il modello. Però, secondo me, i personaggi della tv italiana più che imitare quello che non hanno visto tendono a imitare quello che hanno visto.  Quindi per assurdo mi sembra che i programmi italiani che magari c’entrano poco siano più d’ispirazione rispetto a versioni americane di show analoghi che nessuno ha visto.

CDM: Vuoi dire che, per esempio, Uomini e Donne è un’influenza maggiore dei Kardashian? Mi sembra una cosa possibile, anzi probabile.

AG: Sì. Dico che i protagonisti copiano quello che conoscono. A noi sembra di vedere delle somiglianze con Duck Dinasty, ma è un modo per nobilitare. Si copia, nel senso buono del termine, quello che si conosce. Anche perché in Lucky Ladies la parte di recitazione è fondamentale. Molto accentuata. E così una persona che non ha mai recitato – davanti alla telecamere, s’intende – imita chi ha visto e così sente di essere più spontaneo ed efficace.

CDM: Dimentichi il luogo comune: Napoli come grande teatro di strada, come la città dove tutti sono bravi a recitare. Io trovo queste donne mostruosamente brave a farlo, peraltro.

AG: Non so se sanno recitare tutti. Molti recitano però, è innegabile. Pure il governatore ha vinto le elezioni recitando.

CDM: L’ultra-affettazione delle Lucky Ladies è così carica che finisce per sembrare spontanea.

AG: Perché, per conoscenza di ambienti analoghi, sappiamo benissimo che quell’ultra-affettazione è realistica. Potrebbero essere davvero così.

CDM: Quindi ecco uno dei motivi per cui un produttore sceglie Napoli, una forma di predisposizione naturale?

AG: A Napoli le docufiction hanno una miniera di “autenticità” a disposizione. C’è stato Il boss delle cerimonie che è praticamente lo spin-off di Reality di Garrone. C’è Antonino Cannavacciuolo, che di sola spontaneità ha tirato su diversi programmi. C’è stato perfino quello show sui funerali, Morti e Stramuorti, il Six Feet Under italiano. Non potendo permetterci, economicamente, la serialità, i mezzi economici, ma anche le menti, la tv italiana si limita a serializzare i personaggi che esistono, senza inventarli o traslarli più di tanto. E Napoli è piena di personaggi naturali.

CDM: “E adesso qualcosa di completamente napoletano” non significa però che il programma piaccia più a Napoli di quanto piaccia al Nord.

AG: Invece io credo proprio che a Napoli lo show piaccia di più che al Nord. Dove affascinerà pure, ma come Elena Ferrante piace a Londra.

CDM: Non è così per Un posto al sole, però, che piace molto al Nord.

AG: Pure Made in Sud fa risultati soddisfacenti anche al Nord, ma in Campania fa il 40% di share.

CDM: Non lo so, la mia sensazione è che sia possibile vederlo in due modi diversi a seconda di dove sei. Cosa che probabilmente non succede per un medesimo format americano o inglese. Un milanese innanzitutto scopre che a Napoli esistono persone così, cosa non del tutto evidente secondo me per un non napoletano. Voglio dire: persone molto ricche, che però non sono raffinatamente aristocratiche, ma che al tempo stesso non hanno a che fare con la camorra, con quella grande ambiguità, che invece è la cifra del Boss delle cerimonie. Persone che vanno alle inaugurazioni di arte contemporanea e poi a fare il weekend a Roccaraso, sono abbastanza volgari ma non in modo insopportabile. Un napoletano invece lo sa che esistono queste persone. Anzi probabilmente alcune le conosce anche. Alessandra Rubinacci è un nome che a Napoli conoscono tutti! Il napoletano, invece, guarda cercando di capire se quella rappresentazione rende in qualche modo giustizia al paesaggio sociale della città. Un milanese non può sentirsi chiamato in causa da Lucky Ladies e lo guarda come qualcosa di distante e di esotico, e ci ride su.

Landmarks In the Historic Southern Italian City Of Naples

AG: A me sembra più simile al Boss delle cerimonie di quanto non sembri a te. Anche quello viene visto dal napoletano sperando che sia sincero. E per tornare alla geografia, non ci sono dubbi che tu abbia più curiosità e informazioni a disposizioni per godertelo, ma poi Il boss delle cerimonie va in onda anche all’estero come My crazy Italian wedding, e già solo il titolo basta a dire cosa incuriosisce altrove, che sia Milano o Birmingham. Il punto fondamentale è l’ormai insopportabile suscettibilità dei napoletani. Ormai una vera paranoia. Ogni volta che la tv prende perfino di striscio il tema Napoli, i napoletani sono lì attenti che non si dica qualcosa di sgradevole su Napoli, pronti a rinfacciare qualche folle dato sui Borboni.

CDM: È successo con Gomorra (ricordi Cannavaro?), Gomorra – la serie, Il boss delle cerimonie. Perché succede secondo te? Forse è veramente il tema più interessante di tutti.

AG: Siamo «martiri professionali» come diceva De Gregori. Politicamente i neoborbonici non esistono. però tra la gente un certo tipo di rivendicazione del Sud è diventato fortissimo. Dalla solita storia del bidet dei Borboni al fatto che avessero i soldi in banca. Le bandiere del Sud schiavista che a Napoli vedi sventolare ovunque senza un perché. Tutto questo si sfoga nella rappresentazione. Subiscono qualsiasi angheria politica, ma poi sulla rappresentazione non transigono. Una puntata di Ulisse va bene, ma se facessi un monologo comico sui quartieri che si ribellano alle catture dei boss ti troveresti contro le fatwa. Ma ovviamente è anche un esame di coscienza. Io non sono molto diverso.

CDM: Il punto secondo me si gioca sempre sul concetto di estraneità. Da un lato Napoli e i napoletani coltivano una specie di pride dell’estraneità, della specificità, del “Napoli è una città unica al mondo e non puoi paragonarla con una qualsiasi altra città italiana”; dall’altro quando la rappresentazione coglie quest’estraneità, mettendone in evidenza alcuni dettagli, e dandola in pasto alla nazione, scatta un meccanismo di difesa. I soliti “ma noi non siamo tutti così” oppure “ma così si rovina l’immagine della città”. È un fenomeno curiosissimo e affascinante. È chiaro che la tv ma anche il cinema agiscono semplificando… ed è anche vero che io stesso provavo una specie di indignazione guardando Il boss delle cerimonie e la provo in misura molto minore guardando Lucky Ladies. Quindi sì, anche io non sono molto diverso.

AG: Il paradosso di No grazie, il caffè mi rende nervoso o di Corrado Guzzanti quando faceva il presentatore che si finge napoletano. Essere felici dell’estraneità, ma poi lamentarsi se qualcuno la mostra. Essere felici che esista Pacco, doppio pacco e contropaccotto perché a Napoli si fanno le truffe ma poi incazzarsi se uno fa una battuta del cavolo sulle truffe.

CDM: Il fatto è anche che una cosa ambientata a Napoli finisce per diventare “Questa è Napoli”. A Milano ho sentito dire spesso in discussione tra milanesi: «Dai, non fare il napoletano». Ma anche a Napoli ho sentito dire: «Non fare il milanese» Il punto è che io stesso qui tendo a scambiarlo per razzismo. Non sono sicuro che un milanese penserebbe di sentirsi discriminato. Tu cosa provi quando guardi Lucky Ladies? Fastidio? Curiosità? Senso delle radici?

AG: Curiosità sì, a volte leggi dei racconti su Napoli, o dei romanzi che non si avvicinano alla sincerità quanto Lucky Ladies. Io sono sempre affamato di cose su Napoli.

CDM: Qual è la cosa migliore su Napoli che hai visto o letto negli ultimi anni?

AG: La serie di Gomorra. Quel documentario Le cose belleL’intervallo.

CDM: Io alla fine ci metto sicuramente anche Gomorra (libro e film), La guerra di Mario di Capuano, Le cose belle, sì, soprattutto quello. Devo dire che però l’artista che ha rappresentato la città nel modo per me più vero e interessante è Thomas Struth, un tedesco. Le sue foto fatte negli anni Settanta al Corso o a piazza Mercato… invece qual è la tua Lucky Ladies preferita?

Landmarks In the Historic Southern Italian City Of Naples

AG: La single mora, Carla, quella che si occupa di arte.

CDM: A me, invece, sta più simpatica Flora, quella che va in moto e che cerca un compagno e che però sembra abbastanza chiusa. Invece la tua scena preferita? A me è piaciuto moltissimo il weekend a Roccaraso.

AG: Sì, credo anch’io sia stato il punto più alto.

CDM: E anche la scena in cui Annalaura e il compagno vanno in barca mangiare pesce,  a bere spumante, e a ballare latinoamericano.

AG: Anche quando la tipa ha spiegato che come lavoro arreda barche abbiamo toccato punte di sublime. Tornando al Nord, quanto suona provinciale «andiamo a Roccaraso», visto da qui rispetto a come suona detto lì?

CDM: Verissimo. Tu hai mai fatto un weekend a Roccaraso? Io sì, lo confesso, anche se non so sciare.

AG: Lì vicino, a casa di amici. Ma non uscivo mai di casa e non ho mai messo degli sci ai piedi. Qui a Milano ho portato qualche volta i bambini sulla neve, ma solo per ragioni sociali, loro non mie. Nel senso che mi sembra che debbano imparare a sciare vivendo qui. Tu lo farai?

CDM: Non lo so, ho una specie di trauma edipico rispetto allo sciare, mi sa che mi tocca superarlo. Ma qual è l’equivalente milanese di Roccaraso secondo te? Direttamente Cortina?

AG: Loro dicono Roccaraso come in un Vacanze di Natale direbbero Cortina, ma ho dei riferimenti vecchi, onestamente non ne ho la minima idea. Secondo me una delle caratteristiche di Napoli, che poi in provincia si sente ancora più forte è proprio il fatto che le classi non sono tanto separate, non dico economicamente, ma rispetto a cosa fanno. C’è molto atteggiarsi anche nel volersi mostrare meno distanti. Non a caso le signore fanno continuo riferimento al sentirsi delle “scugnizze”, al sentirsi gente della strada, un atteggiamento da rapper.

CDM: In parte è appunto una posa nel senso che le cose che vengono fatte, i locali, i posti, i weekend, sono nettamente separati, ma è anche vero che c’è una forma di singolare emulazione dell’alto – per così dire – verso il basso.

AG: In quella puntata in cui si dicono cosa preferiscono le une delle altre, almeno due fanno riferimento a questa autenticità da scugnizza.

CDM: Una volta ho intervistato Valeria Parrella e lei mi ha detto esattamente che imita le scugnizze, che si mette lo smalto come loro, che prende spunto dal modo in cui si vestono. C’è da dire però che questa specie di osmosi riguarda curiosamente, anche se non esclusivamente più le classi alte che le medie.  C’è una fascia media, sempre più residuale tra l’altro, che cerca invece di distinguersi in tutti i modi.

AG: Sempre più residuale anche per via dell’emigrazione. Non solo della crisi.

CDM: Esatto, come se il destino naturale di quelli tagliati fuori da questo ponte che collega l’alto e il basso fosse andare via da Napoli.

AG: Anche se poi ormai con la scusa del gusto del brutto pure quella che chiami classe media ha sdoganato tutto. Tutti possono guardare quel che gli pare e cantare canzoni di merda e poi giustificarsi dicendo che lo fanno perché è “trash” o cose simili.

CDM: E così si nasconde invece questa vera fascinazione per il basso che esiste. Sembra  appunto una fuga liberatoria dai ruoli prefissati. E succede ancora una volta solo a Napoli: nessuna borghese romana si sognerebbe di emulare una borgatara.

Le immagini sono tratte da un portfolio realizzato da Christopher Furlong (Getty Images)