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L’Iowa è davvero così importante?

Come da tradizione è lo Stato dove stanotte iniziano le primarie democratiche, e che le influenza, ma alcuni osservatori contestano la sua importanza.

di Simone Torricini

Un uomo passa di fronte ai cartelli della campagna elettorale di fronte ad una casa a Des Moines, Iowa, il 2 Febbraio 2020. (Photo by Joshua Lott)

Le primarie democratiche per le presidenziali del 2020 iniziano stasera e andranno avanti per oltre quattro mesi, fino alla metà di giugno, con un calendario fitto di appuntamenti e una competizione che come in poche altre occasioni si annuncia varia ed equilibrata. Se da una parte, come al solito, la tornata più significativa sarà quella del Super Tuesday (quando nella prima metà di marzo si voterà per il 31% dei grandi elettori), dall’altra negli Stati Uniti nessuno manca di sottolineare l’influenza del primo voto, quello di stanotte, che come da tradizione si terrà in Iowa.

È stato detto e ridetto: se i riflettori sono puntati lì non è solo perché stanotte si inizia a fare sul serio, ma anche perché nella storia decennale delle primarie democratiche c’è un fatto ricorrente: chi vince in Iowa finisce molto spesso per vincere in senso assoluto la corsa alla candidatura. Questa coincidenza, che poi non è proprio una coincidenza, si è verificata in ben sette delle dieci primarie che si sono tenute fino ad ora, anche se come notava YouTrend solo in due di queste sette occasioni il vincitore delle primarie ha poi vinto le elezioni nazionali. È il cosiddetto effetto momentum, che garantisce al candidato che risulta vincitore due risorse preziosissime – credibilità e copertura mediatica – al momento giusto. L’effetto dipende essenzialmente da una ragione: a partire da oggi avremo (e soprattutto avranno) tutti gli occhi puntati sullo Iowa, e il verdetto che ne uscirà sarà la prima indicazione dopo mesi di attesa.

Una indicazione che però, se facciamo a meno dell’eredità delle primarie del passato e dell’ansia di capire come andrà a finire, non ha basi razionali, soprattutto se si considera che dai caucus di stanotte usciranno non uno, ma tre verdetti differenti: il risultato della prima votazione, in cui gli elettori sceglieranno il loro candidato preferito; quello del secondo turno, dove avranno la possibilità di riallinearsi sulla seconda scelta nel caso in cui la prima non fosse competitiva; e il numero dei delegati – una sorta di grandi elettori – assegnati a ciascun candidato. L’esito del primo voto si presterebbe insomma ad interpretazioni diverse in base alla convenienza, e anche se scegliessimo di analizzarlo attraverso il parametro ritenuto ufficiale dalla Associated Press – il terzo – si tratterebbe comunque di una predizione dal valore matematico poco significativo, dato che allo Iowa spettano appena 49 dei 3979 delegati.

Bernie Sanders e Joe Biden in campagna elettorale durante un dibattito alla Marymount University lo scorso 19 Dicembre, Los Angeles, California. (Photo by Justin Sullivan)

Parliamo infatti di uno stato che sin dal 1972 gode del beneficio di fare da teatro alla prima tornata elettorale, ma che è molto piccolo e scarsamente rappresentativo della popolazione. È appena il trentunesimo tra gli Stati Uniti per numero di abitanti (poco più di tre milioni, meno dell’1% del totale), e soprattutto la composizione della sua popolazione si discosta considerevolmente da quella nazionale. In un recente articolo sul New York Times, David Leonhardt ha osservato come il privilegio riconosciuto allo Iowa appartenga di fatto ai bianchi: mentre su scala nazionale la percentuale di americani bianchi è pari al 60 per cento, nel piccolo stato del Midwest sale fino all’87 per cento e a farne le spese sono ispanici e neri, rispettivamente il 18 e il 13 per cento della popolazione americana ma appena il 6 e il 3 di quella dell’Iowa. E non è tutto. Secondo i dati del Census Bureau l’Iowa ha anche una delle popolazioni più anziane degli Stati Uniti, e contestualmente una percentuale ampiamente sotto la media di cittadini di età compresa tra i venti e i cinquanta anni.

La critica nei confronti della scarsa rappresentatività del primo voto è accesa anche per via del fatto che il secondo si tiene tradizionalmente nel New Hampshire, uno stato persino meno rappresentativo (non arriva al milione e mezzo di abitanti ed è appena il quarantaduesimo tra i cinquanta stati americani). Tra i tanti ad averlo osservato c’è Michael Tomasky, che in un editoriale sul NY Times ha sostenuto che gli elettori democratici dovrebbero disertare il voto nei primi due Stati, e che il partito farebbe bene a sceglierne due più rappresentativi (oltre che più popolosi) come ad esempio la Florida o il Michigan. «A volte le tradizioni sono oppressive e le leggi sono sbagliate», ha scritto Tomasky. «Servirebbe che qualcuno la facesse finita con questo duopolio anacronistico, e portasse il processo di selezione del candidato presidente in linea con il ventunesimo secolo».

Se nonostante tutto l’Iowa si è mantenuto per tutti questi anni in questa posizione di privilegio è anche perché ci sono due elementi a favore abbastanza solidi. Il primo consiste nel fatto che questo meccanismo garantisce un maggior equilibrio tra i candidati. Se il voto d’apertura si tenesse in uno stato molto grande come chiesto da Tomasky, le possibilità di imporsi di candidati meno conosciuti, con meno risorse e dati indietro nelle previsioni sarebbero ridotte; viceversa votare per primo in uno stato più piccolo favorisce il radicamento sul territorio di quella categoria di candidato. È più o meno quanto sta accadendo in Iowa secondo la media dei sondaggi: Pete Buttigieg, vero e proprio outsider delle primarie, è dato ad un misero 7 per cento su scala nazionale, ma in Iowa è stabilmente intorno al 18. E anche Bernie Sanders, sfavorito su Biden nei sondaggi nazionali, gli è molto più vicino in quelli relativi alla prima tornata.

Il sindaco di South Bend Pete Buttigieg ad un evento durante la campagna elettorale il 29 Gennaio, Ames, Iowa. (Photo by Win McNamee)

La seconda ragione per cui votare in uno stato piccolo e poco rappresentativo come lo Iowa non è così insensato, si legge su Vox, è invece più utilitaristica. In questa visione i primi voti svolgono la funzione di preparare il campo per la corsa vera e propria, facendo fuori i candidati non competitivi prima che si arrivi a votare negli Stati più popolosi in cui molti suffragi potrebbero andare buttati. Ed è proprio nell’ottica di preservare questo vantaggio del voto in Iowa che va interpretata la proposta radicale di un team di ricercatori dell’università locale, il cui lavoro è confluito in un saggio dal titolo Why Iowa? How Caucuses and Sequential Elections Improve the Presidential Nominating Process. La tesi di fondo è che il meccanismo del primo voto calendarizzato per come funziona oggi dovrebbe essere eliminato, e sostituito invece con una finestra elettorale in cui ciascuno Stato è autorizzato, se lo vuole, ad organizzare un voto interno a scopo consultivo, per poi procedere su scala nazionale con un voto unico.

Se c’è un aspetto sul quale tutti sembrano essere d’accordo è il fatto che il privilegio di cui gode l’Iowa, la spropositata influenza che i suoi elettori esercitano sull’esito delle primarie, è in qualche modo ingiusto. D’altra parte, va detto che se le cose stanno così è anche perché gli americani – media e non – danno un peso particolarmente elevato alle previsioni, e quindi alla fine è il più classico dei cani che si mordono la coda: il voto in Iowa è importante perché garantisce copertura mediatica e interesse pubblico, oppure diventa importante perché tutti pensiamo che lo sia? Come ammetteva Julian Zelizer sulla Cnn, ciò che succederà in Iowa sarà parte della storia, e non la storia, come in molti «tra di noi» vorrebbero far credere.

Ma poi, è l’Iowa il “problema” oppure lo è la struttura delle elezioni, che vanno avanti quasi di Stato in Stato per mesi? Una parte consistente dell’opinione pubblica americana preferisce concentrarsi sul piccolo stato del Midwest, e sostiene che la pratica del primo voto lì dovrebbe essere abolita o quantomeno riformata, eppure nonostante la critica si ripresenti più o meno ciclicamente l’Iowa aprirà le primarie anche nel 2020. «Questa storia deve finire», ha incalzato Tomasky a questo proposito nell’articolo citato sopra. «Tutti lo sanno e tutti lo ammettono, ma poi tutti fanno finta di nulla». Non è che alla fine si saranno affezionati?