Cultura | Fotografia

Le favole erotiche di Petra Collins

La fotografa ci racconta Fairy Tales, il libro in cui ha racchiuso un mondo fatto di storie del folklore ungherese e filtri di Instagram, di ex-stelline di Disney Channel e corda da bondage giapponese.

di Francesca Faccani

Petra Collins, Fairy Tales

Petra Collins è la persona che ha reso cool il saggio accademico di Laura Mulvey sul female gaze. È a lei che si ispirano, che lo sappiano o meno, una buona metà dei post e delle stories sui social, perché è da quando ha iniziato a fotografare – cioè da quando di anni ne aveva appena quindici – che usa un linguaggio visivo tutto suo, un mix di femminismo ed erotismo che non si escludono mai. Ad abitare gli scenari magici e surreali delle foto di Collins sono fatine iperfemminili e sexy, nostalgiche e pensierose, ma sempre consapevoli di trovarsi davanti a una macchina fotografica. Le sue protagoniste preferite sono le stelline Disney – Selena Gomez, Miley Cyrus, Olivia Rodrigo (di cui ora sta dirigendo i videoclip) – che fotografa in pose soft-porn che non sono mai volgari perché le ragazze sono ritratte nelle loro camerette o magari stringono bambole o fiori, molto spesso hanno protesi simili a orecchie da elfo che ricordano un filtro su Instagram. Le sue immagini sembrano sempre preludere a una narrazione più ampia, che ora è stata sviluppata in Fairy Tales, il nuovo volume di storie fotografiche, uscito lo scorso mese per Rizzoli New York, che ha realizzato insieme ad Alexa Demie, attrice di Euphoria.

Se le fotografie di Collins sono sempre state immerse in atmosfere fantastiche e oniriche, in Fairy Tales diventano più sinistre e grottesche, sfondi di quelli che le artiste chiamano «racconti erotico-folkloristici». Spiegano che si tratta delle loro reinterpretazioni delle favole con cui sono cresciute, in America, con le lingue dei loro genitori (per Collins l’ungherese e per Demie lo spagnolo), cioè i luoghi in cui si rifugiavano quando volevano evadere dalla vita suburbana. Insieme hanno collaborato alla riscrittura delle storie che avrebbero voluto ascoltare al tempo, con protagoniste delle eroine che scoprono il potere del loro capitale sessuale. Le nove protagoniste le interpreta tutte Alexa Demie, che ora è un elfo, una sirena, una strega, sorpresa a gattonare sulla moquette della camera, in un parcheggio, in uno strip-club. Le fotografie combinano elementi camp, prostetici e bondage che modernizzano e dissacrano l’immaginario delle storielle dei fratelli Grimm e di Hans Christian Andersen.

La prima volta che Petra Collins, ora 29enne, ha caricato una foto con Alexa Demie sul suo profilo Instagram era settembre 2020 e nella descrizione aveva scritto: «la mia elfa angelo principessa dello shibari», rimandando alla tecnica di bondage che ritorna nella maggior parte degli scatti di Fairy Tales. Ma è sempre una corda color pastello che lega i polsi di Demie, e il suo sguardo, ammiccante, è sempre in qualche modo compiacente. Una storia splendida è quella di “Sirens”. Racconta di un’Alexa Demie metà sirena in un tubino retato e perizoma rosa che ha il potere di incantare il pubblico di uno strip club agitandosi attorno al palo da pole dance. A un certo punto si chiede: «Perché essere viva e una creatura sessuale la rendevano un mostro? Perché il suo corpo era considerato uno strumento di tortura? Le avevano detto che le sirene volevano sempre attrarre un pubblico. Ma, pensava, e se fosse il pubblico a cercare me?». Descrizione di Instagram subito, mi è venuto da pensare, da abbinare al selfie con quel filtro che strizza un po’ le guance e gonfia il labbro di sotto.

C’è questa frase nell’introduzione di Fairy Tales che mi ha fatto sorridere: «Speriamo che questo libro vi porti gioia, tranquillità, o che magari vi ecciti un po’». Hai descritto il libro come una collezione di favolette erotiche: perché avete deciso di dare una svolta erotica alle fiabe?
Alla fine dietro a questo libro c’è il tentativo mio e di Alexa di elaborare lo stato del mondo oggi, e cioè che con i telefoni viviamo tante realtà differenti e ci inventiamo dei personaggi, che usando i filtri finiamo per presentare al mondo un’immagine assurda e surreale di noi stessi. Mi sono chiesta che cosa descriverebbe meglio questi tempi folli, che poi è il punto di partenza di tutti i miei lavori, chiedermi che cosa mi sta parlando e come dare un senso a quello che sta succedendo. Io sono cresciuta con i racconti popolari ungheresi, mi ricordo ad esempio questo programma televisivo che li metteva in scena; erano psichedelici, violenti e pure molto erotici – a quanto pare era una caratteristica comune dei programmi post-sovietici. Mi è sempre rimasto impresso, questo strano modo di integrare l’arte. Poi i racconti popolari costituiscono il primo approccio di un bambino col mondo là fuori, ed è qui che in un qualche modo latente fa esperienza della propria sessualità.

Pensi che Fairy Tales parli dei nostri tempi?
Questo libro è quanto di più contemporaneo e vicino ai nostri tempi possa immaginarmi, ed è divertente perché mi ricordo che qualche anno fa qualcuno mi aveva chiesto come mai i miei lavori avessero avuto questa svolta surrealista, e io ero confusa, li guardavo e li trovavo assolutamente normali. Non mi sembra di descrivere realtà surreali, anzi, sono le stesse che vediamo su Instagram con i filtri che ci modificano il volto o ci fanno sembrare delle fatine.

Secondo te che relazione c’è tra l’eccitazione e la paura?
Ho subìto dei traumi da piccola, e sono sempre stata curiosa di capire come esperienze così profonde vissute in un’età così fragile finiscano poi per per influenzare la sessualità, come corpo e cervello rispondano a certi stimoli. Per me fotografare è come andare in terapia, ho delle cose nella testa che ho bisogno di tirare fuori. Parto esplorando in che modo il mio corpo si relaziona con quello che sta succedendo nel mondo. Forse le mie fotografie stanno diventando più oscure perché finalmente riesco a diventarne soggetto, in un certo senso, e forse più erotiche perché penso di essere riuscita a entrare in contatto con la mia sessualità, ho capito cosa mi piace e cosa, in generale, mi eccita.

Petra Collins, Fairy Tales

Magari le tue fotografie stanno diventando sempre più oscure, a tratti horror, perché, come dici tu, rispecchiano i nostri tempi, che sono agghiaccianti.
Assolutamente. Ma specialmente perché mi sto appassionando tantissimo al genere. Ho sempre amato i film horror, sono sicura che prima o poi ne dirigerò uno. L’effetto che hanno su di me è lo stesso che provo dietro alla macchina fotografica, entrambi hanno un potere esorcizzante. Tutte le paure che hai, di dismorfismi o di violenza, alla fine escono, sei costretto a buttarle fuori.

Alla fine è un tema che hai affrontato anche nel libro Miért vagy te, ha lehetsz én is? (Why be you, when you could be me) in cui hai fotografato dei calchi del tuo corpo creati dall’artista Sarah Sitkin sinceramente terrificanti, ma sempre, in qualche modo, affascinanti.
In quel libro ho riversato le ansie e paure che stavo attraversando col mio disturbo da dismorfismo corporeo: non riuscivo più a guardarmi, così in un certo senso ho “rimosso” il mio corpo e l’ho fotografato, ho cercato di capirlo per non odiarlo più. Ho fotografato questi calchi del mio corpo appiccicati sopra ad amici e parenti, l’ho portato a casa, nella mia cittadina canadese. C’è, per esempio, una foto in cui mia sorella indossa una maschera fatta con la mia faccia in una cameretta da letto che ricorda tantissimo la mia, e intanto è legata da corde rosa da bondage. Ci sono le fantasie sessuali infantili, e nessuna paura di esplorarle.

In effetti la cameretta rosa con i fiorellini, i fiocchettini, le bambole ritorna spesso come sfondo alle tue fotografie.
Sì, nelle mie foto cerco spesso di trasformare in soggetto quello che prima era oggetto, insomma di riappropriarmi dei miei desideri. Il rosa, le principesse, ce le hanno rifilate a forza, ma ho voluto dare una svolta a questo immaginario e scegliere di usare quelle cose invece di essere solo costretta a farmele piacere.

Perché la maggior parte delle volte scegli come soggetti, o muse, come le chiami tu, le star Disney? Ci ho pensato, è forse perché sono cresciute rappresentate totalmente spogliate della loro sessualità e con la tua lente le aiuti a riscoprirla? Penso a Olivia Rodrigo che hai fotografato con dei guanti in lattice quando cantava nella serie di High School Musical.
Io sono cresciuta nei primi anni Duemila, che tempi pazzi che erano, dove tutte le ragazze che avevo come riferimento venivano sessualizzate nei modi più folli. Mi hanno insegnato a pensare che il mio aspetto fosse la cosa più importante. In un certo senso eri l’oggetto dell’immaginario sessuale, ma non ti era permesso volerlo o cercare piacere tramite il sesso. Erano gli anni in cui stavo esplorando la mia sessualità e quindi iniziavo a capire cosa mi eccitava o cosa trovavo attraente, e in generale ero così arrabbiata per quello che mi veniva mostrato. Così ho iniziato a scattare fotografie che erano allo stesso tempo sexy, ma anche un po’ sgradevoli e violente. A mostrare imperfezioni, gli squarci della realtà. Poi in realtà la maggior parte delle persone che fotografo sono mie amiche, Selena Gomez, Zendaya, Bella Hadid e le altre, quindi quello non è pensato apposta.

Petra Collins, Fairy Tales

E che rapporto instauri nella fotografia con i soggetti che ritrai? A volte sembra esserci identificazione, alla fine la maggior parte sono ragazze ventenni bianche, slanciate che sembrano raccontare la tua storia. Allo stesso tempo ho la sensazione che esistano per sé, hanno sguardi trasognati rivolti verso altri mondi, una vita interiore che sembra inaccessibile e incontrollabile, sia a me che a te.
Vorrei dirti che quello che cerco di fare con le mie foto è documentare la realtà, ma la fotografia è così soggettiva che ci sono poi tante realtà diverse. In genere non dico mai ai miei soggetti cosa fare, li lascio interpretare sé stessi, e la cosa interessante è che essendo quasi tutte attrici e modelle, di solito sono abituate a sentirsi dire esattamente cosa fare. Io invece lascio che si prendano il loro spazio di libertà, prima racconto un po’ la storia che avevo immaginato e lascio che loro facciano quello che vogliono. Non saprei dirti esattamente quale sia il mio ruolo nella mia fotografia, è molto labile, è più uno scambio dinamico: sono la persona che scatta la foto ma c’è qualcosa di me anche in quello che scatto. La fotografia è davvero un’arte incredibile.

E com’è andata con Alexa Demie per Fairy Tales?
Quello che mi ha sorpreso di più è che Fairy Tales è iniziato quasi per caso e che l’abbiamo realizzato in pochissimo tempo. È stata una collaborazione tra amiche che un giorno hanno iniziato a raccontarsi le favolette con cui sono cresciute durante l’infanzia. Entrambe siamo cresciute in paesi anglofoni ma con altre lingue madre, e raccontarci queste storie è stato un modo per ritrovare le nostre radici. La scelta di rivisitarle è stata significativa: ora quelle fatine non sono più esseri indifesi, ma sanno benissimo quello che fanno. Avremmo voluto leggere queste storie invece di quelle sulle principessine da salvare.

Oltre alla fotografia, da qualche anno hai iniziato a dirigere alcuni video, commerciali, di canzoni (da Olivia Rodrigo a Cardi B) o d’autore (in uno reinventava la storia di Georgia O’Keeffe). Ci sono altri mezzi che vorresti esplorare?
Sicuramente il mondo delle installazioni artistiche, ne ho già fatte alcune, ma ora vorrei capirci un po’ di più.