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18:09 giovedì 27 novembre 2025
Un esperimento sulla metro di Milano ha dimostrato che le persone sono più disponibili a cedere il posto agli anziani se nel vagone è presente un uomo vestito da Batman Non è uno scherzo ma una vera ricerca dell'Università Cattolica, le cui conclusioni sono già state ribattezzate "effetto Batman".
Secondo una ricerca dell’università di Cambridge l’adolescenza non finisce a 18 anni ma dura fino ai 30 e oltre Secondo nuove analisi neuroscientifiche, la piena maturità cerebrale degli adulti arriva molto dopo la maggiore età.
I fratelli Duffer hanno spiegato come settare la tv per guardare al meglio l’ultima stagione di Stranger Things I creatori della serie hanno invitato i fan a disattivare tutte le “funzioni spazzatura” delle moderne tv che compromettono l'estetica anni '80 di Stranger Things.
L’incendio di Hong Kong potrebbe essere stato causato dalle tradizionali impalcature in bambù usate nell’edilizia della città Le vittime accertate sono 55, ci sono molti dispersi e feriti gravi. Sembra che il rogo sia stato accelerato dal bambù usato nei lavori di ristrutturazione.
L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario
Sarkozy è stato in carcere solo 20 giorni ma dall’esperienza è riuscito comunque a trarre un memoir di 216 pagine Il libro dell’ex presidente francese sulla sua carcerazione lampo a La Santé ha già trovato un editore e verrà presto pubblicato.
Nel primo teaser del nuovo Scrubs c’è la reunion di (quasi) tutto il cast originale J.D., Turk, Elliot e anche il dottor Cox al Sacro cuore dopo 15 anni, invecchiati e alle prese con una nuova generazione di medici. Ma c'è una grave assenza che i fan stanno già sottolineando.

La dolce vita di Peppino Amato

Uno dei produttori più importanti del cinema italiano viene ricordato in un docufilm presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia il 10 settembre.

09 Settembre 2020

Nel dopoguerra si era fatto costruire una villa Hollywoodiana in via Cortina d’Ampezzo ma Peppino Amato non ci abitò mai. Preferiva di gran lunga lo sfarzo dell’hotel Excelsior, consapevole che all’epoca i produttori cinematografici per essere credibili avevano bisogno di esibire segni di una loro potenziale grandeur, seppur effimera. Lì, in quella stanza affacciata su via Veneto, quando non era in compagnia della sua amante, l’attrice americana Linda Durrell, una stangona che aveva perso la testa per questo intraprendente napoletano fai da te, Peppino Amato riceveva amici e maestranze, rigorosamente in mutande – in questo ricordava don Gaetano Caltagirone, quello del celebre «a Fra’, che te serve», che accoglieva politici democristiani e portaborse vari in pigiama, ai bordi del letto – dando vita a scenette e racconti memorabili. Che diventavano immancabilmente comiche quando c’era da trattare, senza interpreti, con attori e produttori stranieri e dunque bisognava rispolverare quell’inglese che non era mai riuscito a digerire, nonostante i soggiorni americani. «What cazzo do you want?», era il suo abituale incipit, per rompere il ghiaccio. Poi, se la trattativa si prolungava, arrivava un definitivo, «You sign, I sign, you don’t sign, allora diche you vaffancul».

Ma non era un problema legato all’incomprensione di una lingua straniera. I suoi involontari strafalcioni erano proverbiali, il giornalista Vincenzo Talarico diceva che soffriva di daltonismo linguistico, e alcuni erano talmente geniali – ho un salottino tutto di Rimini; ho un completo d’inferiorità; si sono tutti alcolizzati contro di me – da costringere Ennio Flaiano a stilare il Catalogo Peppino Amato. A futura memoria. Ma per comprendere appieno la storia di questo avventuroso cinematografaro, che è stato attore, regista, produttore e chissà cos’altro, bisognerebbe immaginarsi cosa era il microcosmo cinematografico a Roma nell’immediato dopoguerra: un piccolo mondo dove circolavano pochissimi soldi e moltissime idee, non tutte confuse, regnava l’assoluta improvvisazione, una buona dose di anarchia, ma anche un pizzico di sana follia e di misteriosa euforia per il futuro.

La figura di Peppino Amato (vero nome Giuseppe Vasaturo) viene ora ricordata nel docufilm La verità su La Dolce Vita, che sarà presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia il 10 settembre.  Diretto dal nipote Giuseppe Pedersoli (figlio di Bud Spencer), il film ricostruisce, partendo da una serie di memorie ritrovate, bozze, contratti, telegrammi, e basandosi sulla corrispondenza tra Giuseppe Amato, Angelo Rizzoli e Federico Fellini, il travagliato cammino che portò alla realizzazione del film più conosciuto del regista romagnolo, prodotto proprio da Amato dopo che Fellini ruppe con De Laurentiis, che fino all’ultimo insistette per imporre il nome di Cary Grant come interprete. Peccato che gran parte dei guadagni del film il produttore di La Dolce Vita li trasferì nel giro di brevissimo tempo nelle casse del casinò di Montecarlo, dove in alcuni weekend si rischiava di incontrare mezza Cinecittà. A cominciare naturalmente da Vittorio De Sica, che esordì dietro la macchina da presa nel 1940 con Rose Scarlatte proprio accanto al produttore napoletano, che in seguito gli finanzierà anche Umberto D.

A pensarci bene è la vita stessa di Amato a poter essere raccontata come un film. Aveva cominciato a Napoli negli anni Venti come attore di una compagnia dialettale napoletana ma ben presto aveva conosciuto un regista americano della MGM e lo aveva inseguito fino a New York, dove però aveva tragicamente scoperto che la fantasia e l’arte di arrangiarsi non erano sufficienti per tirare a campare, almeno non da quella parte dell’Atlantico. Per un breve periodo si lanciò nel commercio di tappeti, pare con l’aiuto della mafia, e successivamente si rifugiò a Los Angeles, dove riuscì non si sa come a farsi assegnare da una piccola casa di produzione un contratto in esclusiva per l’importazione di film in Italia. Nulla di trascendentale, ma quando bastava per tornare a casa con un certo credito nell’ambiente cinematografico romano.

Irascibile, raramente accettava un no come risposta, estroverso,   con punte di folclore a volte eccessivo, a suo modo geniale, seppur non particolarmente colto, qualcuno arrivò a definirlo un semi analfabeta, affrontò il mestiere di produttore con lo stesso approccio con cui si affacciava ai tavoli di trente et quarante: un mix di spavalderia, istinto predatorio e una giusta dose dei casualità. Mostrando però un ottimo fiuto e una notevole capacità di intercettare i  cambiamenti. A partire già dagli anni Trenta, quando offrì la prima occasione cinematografica a Eduardo e Peppino De Filippo. Poi arrivarono i film di Alessandro Blasetti, La cena delle beffe e Quattro passi fra le nuvole, e il successo nel dopoguerra con la produzione del primo film della serie Don Camillo.

Intuì in anticipo anche le potenzialità, non facilmente leggibili, di Roma città Aperta, quando il titolo provvisorio era ancora Storie di ieri, e decise di investire duecentocinquantamila lire in cambio dei diritti di vendita del film all’estero, a condizione che il ruolo di Pina fosse affidato alla Magnani. Successivamente cambiò idea, più per questioni di principio che non per reali divergenze cinematografiche, e si ritirò dal progetto. Non prima però di aver contribuito al cambio di titolo, dopo una lunga telefonata avuta con lo sceneggiatore Sergio Amidei: «Sergio, che cazzo vuol dire Storie di Ieri? Niente! È una stronzata!… Ci vuole Roma!».

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