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22:09 sabato 27 dicembre 2025
Migliaia di spie nordcoreane hanno tentato di farsi assumere da Amazon usando falsi profili LinkedIn 1800 candidature molto sospette che Amazon ha respinto. L'obiettivo era farsi pagare da un'azienda americana per finanziare il regime nordcoreano.
È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
Gli scatti d’ira di Nick Reiner erano stati raccontati già 20 anni fa in un manuale di yoga scritto dall’istruttrice personale d Rob e Michele Reiner Si intitola A Chair in the Air e racconta episodi di violenza realmente accaduti nella casa dei Reiner quando Nick era un bambino.
Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.

L’Ortigia Sound System non è più soltanto un festival

Attorno all'OSS, che ha appena terminato la sua nona edizione, esiste ormai una comunità tenuta assieme non solo dalla musica ma anche da moda, estetica, stile di vita.

04 Agosto 2023

Esiste una comunità italiana di sofisticati clubbers, gente a cui piace ascoltare e ballare musica elettronica fuori dalle rotte dell’algoritmo di Spotify. Per capirci: meno commerciale e più alternativa, geolocalizzabile su Bandcamp e nelle Story di Instagram. Una comunità talmente consapevole e identitaria da aver messo in discussione e in soffitta persino il termine clubber, ritenuto ormai un fenomeno di massa. Proveremo a chiamarli “comfort ravers”, delimitando così la zona di controllo, di performance e di relazione alle piste da ballo, fisiche e virtuali, tipo la chat “Tutt* a Ortigia” a cui ero stato aggiunto su Whatsapp un paio di settimane fa.

Proprio da questa chat era partito l’allarme, tre giorni prima dell’inizio del festival siracusano arrivato alla sua nona edizione. A Milano la tempesta aveva sradicato centinaia di alberi, la Sicilia stava andando a fuoco e il trasporto aereo era impazzito, voli dirottati in altre città, altri annullati. Nonostante l’immaginario sonoro – ma anche letterario (Donna Haraway e Mark Fisher i più letti o citati) e estetico (su questo ci torneremo) – di molti comfort ravers flirti spesso con l’apocalisse e l’antropocene, un volo Ryanair cancellato ha mandato nel panico chi aveva già messo in spalla il suo zaino e comprato online i token – la forma di valuta utilizzata nei festival – per birrette e cocktail. Già, perché l’Ortigia Sound System è diventata una tappa imprescindibile nella lunghissima stagione dei comfort ravers che parte a giugno con il Terraforma, prosegue col Lost festival in Emilia e termina ai primi di novembre col torinese Club To Club. La valigia, pardon lo zaino, è sempre pronto e visto che questa comunità ha un codice estetico condiviso e mutevole, a seconda delle tendenze, è facile riconoscere i CR per l’abbigliamento trekking chic, ribattezzato “gorpcore” dai trendsetter di Highsnobiety: d’estate i sandali tecnici – Teva, Crocs, Hoka One – hanno surclassato le Birkenstock, alla faccia del recente endorsement di Barbie; resistono gli shorts tecnici e tornano gli occhiali da kit surfer Oakley, quelli specchiati, mentre scompare il marsupio, un must dell’anno scorso ormai sbattuto in vetrina su Vinted e sostituito da costosissime mini tracolle Gramicci e And Wander.

È così che facilmente potevi riconoscere chi era riuscito ad arrivare a Ortigia – via Comiso, Trapani, si vociferava di atterraggi a Lamezia Terme – in tempo per l’inizio delle danze. Per il resto  tantissimi turisti stranieri, soprattutto eleganti americani col cappello di paglia e le veneziane in velluto, e ci si chiede non tanto se abbiano scoperto la Sicilia grazie alla serie White Lotus ma se proprio grazie alle serie Hbo – da Succession a Euphoria – gli americani abbiano finalmente imparato a vestirsi.

Anche l’isola di Ortigia ha cambiato pelle, molte sciure milanesi hanno comprato qui come una volta Marta Marzotto comprava a Marrakech: lo si capisce dai negozi stile Cinque Vie e dai bar con i gin giapponesi. Rimane per fortuna il folklore soprattutto nella sua forma gastronomica, dalla salumeria dei Fratelli Burgio ai crudi di pesce a prezzi popolari del Mercato. Aspettando che aprano le danze, i CR magnano innaffiando il tutto con i vini vulcanici naturali della Sicilia. L’aspetto godereccio non è secondario per questa nicchia/bolla/comunità il cui stile di vita è mediamente alto, ma non commisurato allo status sociale ed economico, spesso precario: molti lavoratori culturali, partite Iva che non arrivano neanche a godere dei benefici della Flat tax di governo, però la consapevolezza dell’apocalisse prossima leva il senso di colpa mentre si striscia la carta di credito.

Questa immagine del godimento diventa realtà durante uno dei primi live del sabato, al Castello Maniace: gli Space Afrika da Manchester suonano il loro emo dub intimista, solo bassi e frequenze senza l’elemento ritmico, quando ancora la piazza si sta riempiendo e chi come me non ha ancora mangiato può pagarsi un piatto di ostriche e gamberi rossi col braccialetto dei token seduto vista concerto. Servirà anche un arancino di rinforzo per affrontare la serata e arrivare all’afterparty nella campagna di Siracusa, ma la qualità dell’esperienza rimane alta, e non sto parlando solo di cibo. Nonostante le defezioni, causa crisi climatica, nella line up di Moin e Joy Orbison – due dei più attesti – il percorso di ricerca sonora del festival è all’altezza delle orecchie più esigenti. Su tutti val la pena citare il live di Nidia insieme a Valentina Magaletti, la percussionista e compositrice che da vent’anni vive a Londra dove ha dato vita a decine di progetti di culto (Holy Tongue, Vanishing Twin, Moin e V/Z tra gli altri) e che qui al festival è stata invitata come resident artist dopo aver sostituito nei cuori dei comfort ravers italiani l’onnipresente Donato Dozzy. E poi ancora il bellissimo scarno e cupo set del milanese Heith e quello matto, colto e ipnotico della spagnola Marina Herlop, che ha spostato in alto l’asticella della coolness con la sua magnetica performance al Teatro Massimo.

Chi conosce i nomi di cui scrivo avrà capito che la parte migliore del festival è stata quella senza musica da ballare, senza dj e mixerini. Questo perché oggi il djismo spesso sembra una roba da ChatGPT, prevedibile e conformista, e anche il festival di Ortigia non è immune da questa nuova realtà: si balla, certo, ma il ruolo del dj/selecter non è più centrale, si limita ad assecondare il ritmo del momento, poi mettere un pezzo in fila all’altro è roba da bravi tecnici, non per forza artisti. Per questa stagione il ritmo che seguono i comfort ravers è molto percussivo, ipnotico, quasi tribale, con pochi synth e bpm entro il limite di velocità, tranne per qualche fuga verso la vecchia drum & bass o la techno. A farcelo sentire al meglio sono due dj a me quasi sconosciuti come Ehua e Toumba, come a ribadire l’idea che il nome grosso – a cui corrisponde grosso cachet – per ballare è quasi sprecato, meglio investire i soldi in un artista d’avanguardia come la Herlop.

Ah dimenticavo, c’erano i boat party con i dj, ma non ci sono andato: sarò old school ma ballare su una barca mi sembra una cosa da film dei Vanzina, da feste anni Novanta della borghesia ricca milanese a Santa o al Forte (i miei personali “lanzichenecchi”), quando non esistevano i comfort ravers e io non avevo ancora trovato la mia comfort zone. Anche se salire su una barca a ballare con le Crocs avrebbe comunque lasciato il segno.

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