Attualità

Omaggio al Gra

Renato Nicolini e la mitologia del Grande Raccordo in un documentario di Gianfranco Rosi: un anello che non si deve comprendere, ma amare.

di Michele Masneri

Ci voleva un documentario circolare per scoprire la storia del Grande Raccordo Anulare e le sue nobiltà non esclusivamente guzzantiane. Questo Tanti futuri possibili. Omaggio a Renato Nicolini, scarno tributo all’inventore dell’Estate romana, scomparso da pochi mesi, opera di Gianfranco Rosi, con l’architetto-assessore qui ritratto-intervistato su un van, bianco, con le spalle alla strada e il volto verso la macchina da presa, mentre si percorre tutto il Gra. Nicolini che sproloquia strampalatamente arguto tra gli svincoli della Maglianella, di Boccea e di Torrespaccata, tra un Ghezzi e un Sordi versione Max Giusti, tra un “pino romano e uno sfasciacarrozze e un cedro del libano, come in una sinfonia di Respighi”. Sulla sua papamobile si chiede i motivi stessi dell’esistenza di questa strana tangenziale che non tange ma circonda ad anello (quindi anulare, appunto) la città, ed è dunque un viaggio naturalmente proustiano nella sua circolarità: un cerchio lungo 68 chilometri,  con un diametro medio di 21, che racchiude Roma e la Città del Vaticano. E buona parte del film Nicolini lo impiega proprio a cercare di ricordarsi come si calcola il raggio del cerchio nato così, nei primi anni cinquanta, senza senso, “senza nessun collegamento”, troppo lontano dal centro per assolvere alla sua funzione di grande spartitraffico, senza uno schema, perché «gli snodi in cui le consolari attraversano il Gra non hanno motivo di essere, tranne l’assolutezza del cerchio».  E «sarebbe interessante capire poi dov’è il centro vero di questo cerchio». Forse è un gesto d’artista il Gra, duchampiana «macchina celibe  circondata da tante famiglie spurie, il cimitero delle macchine, lo sfasciacarrozze; i trasportatori urbani…».  Forse «il tondo è qualcosa di grande forza simbolica, continuazione ideale della cupola di San Pietro ma anche del tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante».

Opera estetica e forse esoterica, dunque. Intanto, funzionalmente, un disastro. Costruita nei primi anni cinquanta, con manovalanze semplici e rustiche (anzi keynesianamente in purezza, soprattutto per far lavorare masse del dopoguerra altrimenti disoccupate): a 11,5 chilometri dal Campidoglio (è questo il raggio che Nicolini tanto cercava), il Gra nasce tra l’indifferenza dell’urbanistica ufficiale – non facilita accessi agli abusivismi illegali, in una città dove, certifica Italo Insolera, Roma moderna, Einaudi, uno stra-classico da mandare a memoria, il 20 per cento di tutto il costruito è da sempre abusivo – né agevola la scorrevolezza della città legale: nel ’45 vengono denunciate semmai gli extra-costi (altro grande classico – di un’opera “faraonica, inutile”, di qualche pazzo che pensa veramente a una futura motorizzazione di massa.

Troppo largo allora, troppo piccolo oggi, a strozzare la città (qualcuno prevede o minaccia o già stigmatizza un nuovo Gra più largo), forse il suo senso è soprattutto quello di lasciare una traccia, soprattutto traccia di sé dell’eponimo ingegner Eugenio Gra primo presidente dell’Anas, inventore dell’anello e del finto acronimo. E qui (Nicolini non la racconta, tocca consultare una bellissima voce del Dizionario degli Italiani Treccani, che sembra De Amicis) vale citare la storia di Eugenio Gra. Fratello del più celebre ingegner Giulio Gra, nato a Roma nel 1900 e inventore di buona parte dei Parioli più eleganti (palazzine e ville in via di Villa Sacchetti, via Mangili, via Aldrovandi), ma soprattutto espressionistico creatore di uno stile assiro-babilonese pariolino visibile per esempio nel palazzo Gra alle Belle Arti, coi bugnati nei basamenti, i timpani e le riquadrature a edicola per le finestre, i grandi loggiati neo-barocchi ma forse già di cemento armato, prima dei minimalismi e delle retoriche del Ventennio. Alle fortune privatistiche del fratello Giulio, Eugenio risponde con la presidenza dell’Anas e col grande cerchio insensato. «Molte coincidenze con un passato infantile. Lewis Carroll, chissà cosa sarebbe successo ad Alice se avesse inseguito il Bianconiglio lungo il Grande Raccordo Anulare», sempre l’Assessore all’Effimero, mentre Freud e la sua teoria di Roma-Amor contrapposto all’amor materno deve aver avuto il suo peso nelle vicende di casa Gra.

Di sicuro questo anello non si deve comprendere, dice Nicolini, ma si deve amare, col suo tragitto che taglia fuori «le enclave dei calciatori della Roma, che abitano vicino alla casa del loro capitano, al Torrino» e poco più in là, “le enclave dei Rom”: «I negozi di lampadari e quelli degli abiti da sposa»; tutto sempre sullo stesso piano, come nello humour romano che si rispetti: e qui, aneddoto su nuove urbanizzazioni intorno al Gra. «Adesso vogliono gentrificare Tor Bella Monaca. Hanno chiamato un architetto lussemburghese, Léon Krier, uomo di assoluta vanità, è diventato l’architetto del principe Carlo. Gli avevano fatto uno scherzo, gli avevano fatto credere che vi fosse una signora spagnola, una marchesa di Villahermosa che gli fece progettare una città ideale. Lavorò per sei mesi a questa città immaginaria. Ma poi la marchesa era una battona di Barcellona. Lui adesso poi pensa di fare una cosa scicchissima, Tormonaca, crede che sia un posto di grande prestigio. Dice che aumentano la cubatura. Dice che diventa come la Garbatella. Vuoi mettere».