Attualità

Moderato e musulmano

Ritratto di Ahmed Aboutaleb, il popolare sindaco marocchino di Rotterdam che accoglie i rifugiati e vuole «spazzare via» l'Isis.

di Davide Piacenza

Alternativamente presentato come chimera o realtà taciuta di proposito, “Islam moderato” è tra le formule più ricorrenti nelle parole dei chierichetti del dibattito che segue tragedie come quella di Parigi. Esiste una versione “moderata” di un credo professato da un quarto della popolazione mondiale? Che cosa propone? Dov’è? Perché non manifesta? Qualunque siano le risposte a queste onnipresenti domande, esiste però il volto di un Islam che di certo è meno discusso. È quello di Ahmed Aboutaleb, ad esempio, sindaco di Rotterdam dal gennaio del 2009.

Aboutaleb, volto noto delle cronache olandesi, non solo è la prima persona nata in Marocco a essere nominata sindaco di una città dei Paesi Bassi e un politico di lungo corso del Partij van de Arbeid, la principale sigla della socialdemocrazia olandese, ma è anche musulmano praticante, figlio di un imam sunnita di un villaggio del Rif, una regione montuosa del nord del Marocco, giunto in Olanda nel 1976, a 15 anni, con la madre e i fratelli. Un sondaggio dello scorso marzo ha individuato il suo nome come il più apprezzato dall’elettorato neerlandese.

La regina Maxima d'Olanda e Aboutaleb. (Michel Porro/Getty Images)
La regina Maxima d’Olanda e Aboutaleb. (Michel Porro/Getty Images)

Per spiegare il successo di Ahmed Aboutaleb bisogna partire dagli inizi: dopo essersi laureato in ingegneria elettronica nella prima metà degli anni Ottanta, lavorò come reporter per alcune stazioni radiofoniche nazionali e poi alla comunicazione del ministero della Salute olandese. Nel 2004 prese il posto di un consigliere locale di Amsterdam coinvolto in uno scandalo, e nel frattempo era diventato responsabile del Forum Institute for Multicultural Development, un’ente legato alle questioni del multiculturalismo e dell’integrazione in Olanda. Si attirò la simpatia (e i voti) dei cittadini della capitale promuovendo una riorganizzazione del sistema di istruzione elementare cittadino: ogni scuola avrebbe dovuto accettare soltanto alunni residenti nel quartiere in cui sorgeva, arginando il divario tra istituti ricchi e istituti poveri.

Quando sembrò possibile che il suo Labour avrebbe vinto le elezioni politiche del 2006, Wouter Bos, il leader del partito, disse ad Aboutaleb che si sarebbe meritato un dicastero tutto suo. Lui rispose che l’importante era che il Partij andasse al governo:  doveva pensare al suo ruolo ad Amsterdam. E così fece, limitandosi a un’altra alzata di spalle anche quando, dopo la tornata elettorale, venne sì chiamato al ministero degli Affari sociali, ma in qualità di viceministro: «Posso imparare molto dal ministro Piet Hein Donner», ebbe a dichiarare. Per Aboutaleb la moderazione prima che un fatto politico di cui discutere è un modo di essere quotidiano, e forse il cinquantaquattrenne è tanto un musulmano moderato quanto un moderato di fede musulmana.

Da questa regolatezza deriva, in una contraddizione solo apparente, un modo di parlare di immigrazione con toni diretti, senza giri retorici e cerchiobottismi di sorta. Come il sindaco stesso ha spiegato a Simon Kuper di recente sul Financial Times, la democrazia non è affacciarsi alla finestra, chiedere: «Che cosa volete?», sentirsi rispondere: «Torte» e servire torte. «In materia di rifugiati», scrive Kuper, «Aboutaleb non sta servendo torte agli elettori»: sostiene che «è fantastico trovarsi in una posizione in cui si possono aiutare gli altri»; difende la costruzione di nuovi centri per i richiedenti asilo (in un incontro pubblico di qualche settimana fa, riportato dal giornalista, ha interrotto il suo discorso per cinque minuti perché gli astanti, preoccupati dall’apertura di un nuovo centro, urlavano e fischiavano, mettendosi poi ad ascoltare il loro punto di vista); accetta la definizione di “jihadista” perché «ci sono 68 definizioni di “jihad”; se togli una scheggia di vetro dalla strada per evitare che una bicicletta ne risenta, sei un jihadista».

D’altra parte il sindaco non ha mai fatto mancare le sue critiche al fondamentalismo, e da anni vive regolarmente sotto scorta. A gennaio, dopo il primo attentato terroristico contro la redazione parigina di Charlie Hebdo, Aboutaleb è diventato famoso per un’apparizione televisiva in cui ha sentenziato che «è incomprensibile rivoltarsi contro la libertà. Se non ti piace stare qui perché qualche umorista che non ti va a genio pubblica un giornale, allora posso dirti di andare a farti fottere», lasciando per una volta da parte il suo understatement formale. In seguito ha spiegato a CNN che «la costituzione olandese, ma anche la società olandese, sono costruite sui valori base della tolleranza e dell’accettazione», e chi sceglie di ottenerne la cittadinanza deve accettarne il significato condiviso. Sulle colonne del Telegraph, il sindaco di Londra Boris Johnson l’aveva già definito «il mio eroe», accostandolo a Voltaire e dicendo che la sua è «la voce che dobbiamo ascoltare». Più recentemente, dopo gli attentati di Parigi della settimana scorsa, ha sostenuto che è ora di «spazzare via» l’Isis, poco dopo aver auspicato che agli olandesi che scelgono di andare a combattere con lo Stato islamico sia legalmente impedito il ritorno nei Paesi Bassi. E in quest’ultima occasione ha anche sottolineato che «poiché questi fatti danneggiano prima di tutto i musulmani europei, tutti gli islamici amanti della pace del continente dovrebbero prenderne le distanze».

Afferma di non poter «accettare che la povertà porti al terrorismo», ricordando puntualmente i suoi quindici anni

Rotterdam è una città particolare. Bastione anti-immigrazione da quando nel 2002 è diventata il teatro dell’assassinio di Pim Fortuyn, politico di estrema destra con posizioni anti-islamiche trucidato da un attivista per i diritti degli animali, oggi accoglie persone di 170 nazionalità. «Ci sono moschee e sinagoghe e chiese e luoghi di culto di ogni religione», ha dichiarato Aboutaleb, che si è rifiutato di concedere interviste per molti mesi dopo l’insediamento, sostenendo che era impegnato  a fare la conoscenza dei cittadini di Rotterdam. Quando l’ha fatto, ha detto all’inglese Observer che il suo mestiere è costruire ponti, e la città portuale sul delta dei fiumi Rhine, Meuse e Scheldt ben si presta a questa finalità. Al posto di comando di un centro urbano in cui interi quartieri vivono sulle soglie dell’indigenza, il politico afferma di non poter «accettare che la povertà porti al terrorismo», ricordando puntualmente i suoi quindici anni passati a piedi nudi sul suolo marocchino.

A febbraio Ahmed Aboutaleb è stato invitato dalla Casa Bianca per prendere parte a un vertice sulla lotta al terrorismo, uno dei soli sette sindaci mondiali a partecipare e l’unico in grado di parlare direttamente alla comunità musulmana. Nel tempo libero il sindaco legge poesie, e in passato ha tradotto molte delle opere del poeta arabo Adonis. Forse infuenzato da questo passatempo, per parlare del suo lavoro di pontefice musulmano in Occidente ha detto anche che «abbiamo ancora diverse miglia da fare, e ci siamo lasciati alle spalle appena qualche metro».

Nell’immagine in evidenza: Ahmed Boutaleb assiste alla conferenza sul terrorismo organizzata dalla Casa Bianca (Chip Somodevilla/Getty Images).