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I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

Il mockumentary sul 2020 è più brutto del 2020

Nonostante qualche momento brillante, Death to 2020 di Charlie Brooker per Netflix è una satira riciclata senza un focus preciso.

30 Dicembre 2020

Death to 2020, il mockumentary dell’autore di Black Mirror Charlie Brooker sull’anno peggiore di sempre, è iniziato nell’unico modo in cui sarebbe mai potuto iniziare un mockumentary sul 2020: doveva arrivare su Netflix per tutto il mondo dalla mattina del 27 dicembre, io non ce l’avevo. Da alcuni tweet (c’è chi ha pensato facesse parte di una “divertente” strategia della piattaforma) è emerso che non tutti riuscivano a riprodurlo. Alcuni lo vedevano in lingua originale, altri visualizzavano solo il trailer, a un certo punto è scomparso pure quello. Sempre su Twitter, Netflix ha avvertito che i tempi per la traduzione dei sottotitoli in italiano si sono allungati – è possibile vederlo solo cambiando le impostazioni e mettendo la lingua di default in inglese – assicurando che il finto documentario arriverà sicuramente per tutti entro la fine del mese. Poco male. Considerando che Death to 2020, la peregrinazione sui fatti di quest’anno raccontata dal solo che avrebbe mai potuto farlo, è forse più brutto dell’anno stesso. Con una satira politica stanca, che è riciclata, già digerita, che ti può sembrare una cosa fresca solo se ti sei auto-imposto un rigoroso blackout da ogni forma di media almeno per i precedenti otto mesi.

Per i 70 minuti di mockumentary, quel misto di cose vere e ricostruite come nel film di Borat-Sacha Baron Cohen (che però, al contrario, è perfettamente riuscito), Brooker e Annabel Jones hanno scritto e riscritto una storia continuamente aggiornata ogni volta che accadeva qualcosa di importante, in cui alcune super star come Hugh Grant e Samuel L. Jackson si fingono una squadra di esperti chiamata a commentare i fatti più rilevanti dell’anno, dall’omicidio di Suleimani al Coronavirus fino alla vittoria di Biden, con un progetto di cui siamo stati avvertiti praticamente all’ultimo com’è nello stile di Brooker. Durante un’intervista a Vulture per la promozione di The Undoing Hugh Grant l’aveva appena accennato: «domani farò una cosa».

Eppure per tutti i 70 minuti non fai altro che chiederti perché Brooker abbia ideato qualcosa in cui la battuta media è «Trump è stato il secondo presidente di colore della storia americana», o «Suleimani era la Beyoncé della guardia rivoluzionaria islamica». Perché abbia consegnato un prodotto che nonostante qualche momento è comunque meno divertente e catartico di quanto fatto in Borat 2, e di quell’insieme di idiozia reale e meme – Trump e la candeggina, la cronaca di chi era isolato in un bilocale con i bambini, chi ha twittato di essersi fatto crescere i baffi in lockdown e adesso è ancora Alberto Castagna – a cui la home di Twitter, Instagram e Facebook ha contribuito in questo periodo.

Secondo i media britannici che hanno definito Death to 2020 “deludente” (li ha raccolti tutti l’Indipendent), il fatto frustrante non è tanto che Brooker sia unanimemente riconosciuto come un genio della satira politica – se a noi è noto principalmente come l’autore di Black Mirror, nel Regno Unito è famoso soprattutto per il programma Wipe, in cui commenta i fatti contemporanei con grande cinismo – quanto la totale assenza del tema reale-virtuale. Una cosa che in un anno come questo, da un autore premiato agli Emmy Awards per il modo con cui ha trattato l’alienazione tecnologica, che in un Wipe speciale a tema Covid-19 aveva detto «le notizie sui media sono come la frutta, fanno bene ma consumate in eccesso fanno venire il cagotto», comunque te la aspetti, ci speri.

E invece a Death to 2020 manca proprio un’angolatura nuova per trattare la stessa storia. Ci sono momenti brillanti, dovuti alla bravura di Hugh Grant nel ruolo di uno storico misogino che cita i tempi in cui i cattivi arrivavano a Westeros, «guardi che si confonde, quello è Il Trono di spade», e lui si indispone, «qui lo storico sono io!», e soprattutto alla creazione del personaggio dell’influencer millenial (a interpretarlo è Joe Keery, lo Steve Harrison di Stranger Things) che come gli influencer millenial è sempre “due cose”, prima bartender e mixologist, ora si è reinventato digital content creator e motivatore. Per George Floyd aveva postato un quadratino nero, non sapeva bene perché ma voleva che tutti sapessero che stava dalla parte giusta. Qualunque fosse.

Ma ogni cosa è già vista e sentita perché quanto abbiamo vissuto è stato così assurdo che l’abbiamo già fatto a pezzi almeno nelle nostre chat, in Italia siamo stati temprati dal «Governo che non lavora col favore delle tenebre» di aprile. Ci siamo abituati a ridicolizzare il 2020 al modo in cui si ridicolizza qualcosa di doloroso come fosse una terapia, quando invece Death to 2020 sembra solo un’emulazione, arriva tardi, non ci libera da niente. Verso il minuto 47 volevo soltanto finisse. In questo senso è piuttosto appropriato al soggetto che tratta.

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