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02:36 martedì 17 giugno 2025
Pixar ha annunciato un film con protagonista un gatto nero e tutti hanno pensato che ricorda molto un altro film con protagonista un gatto nero Il film Disney-Pixar si intitola Gatto, è ambientato a Venezia e lo dirige Enrico Casarosa. Il film al quale viene accostato lo potete indovinare facilmente.
Tra Italia, Spagna e Portogallo si è tenuta una delle più grandi proteste del movimento contro l’overtourism Armati di pistole ad acqua, trolley e santini, i manifestanti sono scesi in piazza per tutto il fine settimana appena trascorso.
Will Smith ha detto che rifiutò la parte di protagonista in Inception perché non capiva la trama Christopher Nolan gli aveva offerto il ruolo, ma Smith disse di no perché nonostante le spiegazioni del regista la storia proprio non lo convinceva.
Hbo ha fatto un documentario per spiegare Amanda Lear e la tv italiana agli americani Si intitola Enigma, negli Usa uscirà a fine giugno e nel trailer ci sono anche Domenica In, Mara Venier e Gianni Boncompagni.
Le prime foto della serie di Ryan Murphy su JFK Junior e Carolyn Bessette non sono piaciute a nessuno La nuova serie American Love Story, ennesimo progetto di Ryan Murphy, debutterà su FX il giorno di San Valentino, nel 2026.
Il video del sassofonista che suona a un festa mentre i missili iraniani colpiscono Israele è assurdo ma vero È stato girato durante una festa in un locale di Beirut: si vedono benissimo i missili in cielo, le persone che riprendono tutto, la musica che va.
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.

Il talento indispensabile di Sacha Baron Cohen

Il sequel di Borat è un appello dell’attore a recarsi alle urne in vista delle elezioni del 3 novembre. E l’ennesima prova di tutta la sua bravura.

26 Ottobre 2020

Borat è stato il motivo per cui Pamela Anderson, nel 2006, ha divorziato. Lo ha proprio scritto sui documenti consegnati all’Ufficio di Stato, “ragione del divorzio: Borat”. L’ex marito Kid Rock, repubblicano, non aveva apprezzato la sua partecipazione al film in cui Sacha Baron Cohen nel ruolo del giornalista kazaco Borat Sagdiyev aveva provato, davvero, a rapirla secondo la migliore tradizione matrimoniale del Kazakistan, infilandola in uno speciale “sacco di nozze”. Nonostante nel sequel, il nuovo mockumentary Borat – Seguito di film cinema arrivato su Amazon Prime a 14 anni di distanza dal primo capitolo, non siano presenti scene tanto iconiche, vi sono numerosi elementi che permettono di comprendere ancora una volta l’abilità incredibile di Baron Cohen, che è un intellettuale, fa ridere come Peter Sellers ed è alto quasi due metri come Jacques Tati, con quella stessa fisicità allampanata dei clown francesi. Che sa cantare (Sweeney Todd), suonare il violoncello, incatenare il pubblico a un’interpretazione intensa (The Spy, The Trial of the Chicago 7), e che soprattutto ha riformato la satira sull’America, quella che al termine della risata catartica impone di redigere un rapporto sui difetti di una nazione intera.

Nel nuovo film di Jason Woliner, Borat emerge come da una capsula del tempo. In tutti questi anni, ha scontato ogni tipo di pena per aver fatto imbarazzare il Kazakistan con le sue imprese precedenti, ma ora è stato inviato di nuovo in America per riuscire a ingraziarsi il presidente “McDonald Trump”. Al suo fianco c’è sua figlia di 15 anni, Tutar, che tiene in una gabbia e che ha intenzione di regalare al vicepresidente Mike Pence come gesto di cordiale amicizia. «Così potrai stare in una gabbia d’oro», le dice, «come Melania».

Ma è passato tanto tempo, quella certa mentalità provinciale, retrograda, razzista e intimamente bianca che permea tutto il substrato culturale statunitense e in cui nella sua prima avventura Borat aveva scavato, è diventata lampante. L’obiettivo non è più quello di mostrare al pubblico l’esistenza opportunatamente ben celata di alcuni comportamenti nauseanti (americani e non), quanto piuttosto confermarli. «Nel 2006 avevi bisogno di un personaggio come Borat, misogino, razzista, antisemita, per rendere chiaro agli americani che bastava poco per tirare fuori tutti i loro pregiudizi», ha detto Baron Cohen in una lunga intervista al New York Times. L’idiot in chief kazaco con il dono della maieutica, che è comunque sempre meno scemo delle persone con cui parla. «Ma ora tutti quei preconcetti sono palesi, i razzisti sono orgogliosi di esserlo». Per questo Borat 2 preferisce concentrarsi sull’urgenza del momento, dedicando la sua tragica fotografia del Paese a chi si ritrova a poche settimane dalle elezioni presidenziali.

Maureen Dowd ha scritto che riuscire a farsi concedere un’intervista da Baron Cohen è stato faticoso. È timido. Nato nel 1971 in una famiglia di ebrei ortodossi, sui media preferisce sempre scomparire nel ruolo di uno dei tanti personaggi che ha creato. Ha studiato Storia a Cambridge, approfondendo la questione sull’antisemitismo, ha fatto teatro, frequentato la famosa École Philippe Gaulier per clown, per un canale inglese nei primi anni ’90 ha interpretato Kristo, un reporter televisivo albanese, e ha fatto anche il modello, «che tu ci creda o no», ha detto a Dowd, «ma era quel periodo in cui non volevano che i modelli sembrassero modelli».

Nel frattempo hanno iniziato a comparire tutti i suoi perfetti, provocatori, demenziali e indimenticabili personaggi. Come Brüno, il finto esperto di moda austriaco parodia degli addetti al settore, e Ali G, il rapper che esiste dalla fine degli anni ’90: prima come ospite di un programma di Channel 4, poi come protagonista del Da Ali G Show in cui ha intervistato David Beckham, l’astronauta Buzz Aldrin, persino Donald Trump. Pensavano tutti fosse una persona vera, anche Madonna, che nel 2000 gli ha chiesto di partecipare al video di “Music”.

Sacha Baron Cohen travestito da Donald Trump alla conferenza Conservatory Political Action

E oltre alle caricature che volevano dissacrare tutto e tutti, repubblicani e democratici (in Who is America ha satirizzato la sinistra interpretando un professore di “Studi di genere sulle donne” che dice cose come «mio figlio, Harveymilk, non è autorizzato a fare pipì in piedi. Mia figlia, Malala, invece sì») per palesare l’inefficacia dei radicalismi in generale nel cambiare le cose, ha recitato in film di finzione, drammatici, mostrando tutto il suo talento di attore: Hugo Cabret, Les Misérables, The Spy (sull’agente segreto Eli Cohen), The Trial of the Chicago 7 in cui interpreta l’attivista Abbie Hoffman. Aaron Sorkin ha detto che quando Baron Cohen ha girato la scena più importante del film, in cui in piedi in tribunale tiene il discorso decisivo, sembrava Jack Nicholson in Codice d’onore.

Borat 2 è un mockumentary, quel genere ibrido tra il film e il documentario in cui quando accade qualcosa, accade davvero. Baron Cohen ha vissuto davvero per cinque giorni con due complottisti di QAnon restando sempre nel personaggio, si è intrufolato davvero vestito da Trump al Conservative Political Action Conference rimanendo chiuso alcune ore in bagno per eludere la sicurezza. E l’avvocato del presidente, Rudy Giuliani, in una suite di Manhattan, si è davvero messo le mani nelle mutande davanti alla figlia di Borat, pensando fosse una giornalista. Sacha Baron Cohen che si traveste da Borat che si traveste da texano, caricatura antisemita, Trump, tecnico del suono, contadino, complottista, solo per farci vedere non dove stiamo andando ma dove siamo arrivati.

C’è una frase che da qualche tempo si è insinuata nel lessico pubblico e dei media, una piaga (un’altra) nota come “questo film è ciò di cui avevamo bisogno”, applicata a tanti titoli con poche giustificazioni. Ma lo ha scritto anche Vulture a proposito del sequel e del suo tempismo, che è ciò di cui ha ancora bisogno l’America, dove nel weekend, nel cuore della downtown di Nashville, il pastore evangelico Steve Warren ha cantato alla folla «un voto a Trump per ricominciare, tornare fieri come eravamo un tempo», e vai col ritornello «non credere ai sondaggi, abbi fede nel Signore, portiamo l’America al suo vecchio splendore». Un’esortazione ulteriore a recarsi alle urne, la satira di cui c’è ancora bisogno per cambiare, e per farlo davvero.

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