Attualità

Mgm, italian story

Al Festival di Roma la saga di Giancarlo Parretti, improbabile scalatore dei nostri anni Ottanta: quando un italiano comprò la Metro Goldwyn Mayer.

di Michele Masneri

Roar! Il Leone della Metro Goldwin Mayer tornerà presto a ruggire in Borsa: la casa di produzione si quoterà infatti nei prossimi mesi a Wall Street dopo due anni dall’ennesimo fallimento. A contribuire al rinascimento degli studios Mgm soprattutto il grande successo dello 007 riflessivo di Skyfall, numero 23 della serie, e la saga derivata da Ian Fleming da sempre costituisce il tesoretto di casa. Ma la storia Mgm non è sempre stata gloriosa: certo, massima produttrice di immaginario con film come L’appartamento, Ben Hur, Via col Vento, West Side story, Il mago di Oz, e poi tutti gli 007, appunto; e però vicende manageriali sontuose fino a un certo punto.

Il fondatore, Louis B. Mayer, famoso manipolatore di attori e smozzicatore di sigari – il segreto del suo successo negli anni venti-trenta della Grande depressione era “beautiful pictures about beautiful people”; poi fondatore della Academy of Motion Pictures e quindi degli Oscar, mentre il suo direttore di produzione, Irving Thalberg, ispirava Scott Fitzgerald come protagonista degli Ultimi fuochi (The last tycoon). Ma poi, dagli anni Sessanta, invece, scorrerie di finanzieri poco fitzgeraldiani che violano Mgm utilizzandola per operazioni scapestrate. Su tutti Kirk Kerkorian, raider di origine armena, che la compra e la rivende tre volte nel giro di 30 anni; poi il vitaminico Ted Turner che la compra una volta sola ma la tiene solo per 74 giorni (e  la rivende a Kerkorian). Poi Murdoch che non ce la fa (unico caso nella sua carriera) a conquistarla.

Infine Giancarlo Parretti, orvietano, ex lavapiatti e cameriere, che la scala nel 1990 con una vicenda surreale che adesso questo Leone di Orvieto racconta. Documentario di Aureliano Amadei, in concorso nella sezione Prospettive Italia al festival del cinema di Roma, è effettivamente una prospettiva arci italiana la storia di Parretti, sorta di autobiografia scapestrata degli anni Ottanta italiani. Il film si apre à rebours con l’immancabile arresto del protagonista in manette sceso dalla scaletta di un aereo e portato via dalla Finanza; subito dopo, Parretti che prepara un pranzo rustico sul terrazzo di casa, fiero di movenze professionali apprese durante gli anni di apprendistato sull’Achille Lauro (5.000 piatti lavati, si vanta) e sul Queen Elizabeth; ma anche in hotel come si dice blasonati (al Savoy a Londra, con cliente affezionato Winston Churchill). Mentre impiatta tagliatelle rustiche, Parretti ricorda la sua avventura: dalle navi da crociera (capitolo ormai necessario nel bildungsroman italico, si vede. A proposito, si scopre che per 24 ore è stato anche padrone del Milan, poi rivenduto subito a Berlusconi) alla fondazione di giornali – una serie di quotidiani locali, i Diari, affidati a Cesare De Michelis, e partendo dalla Sicilia, arrivando a creare un mini-impero editoriale di successo, avveniristico perché realizzato con minima manovalanza e tecniche moderne; e perciò presto chiusi. I due fratelli De Michelis sono poi i tutori di questo ruspante aspirante tycoon, e lo rivendicano: Cesare appunto (oggi presidente Marsilio) che a un certo punto va a presiedere la Pathé film conquistata insieme alla Mgm. Gianni, ministro degli Esteri, che garantisce sul côté internazionale-socialista, permettendo gli appoggi nella Francia mitterrandiana e nel Crédit Lyonnais che inopinatamente presterà a Parretti il miliardo e mezzo di dollari dell’epoca per scalare il Leone (fallendo poi di conseguenza).

Non ci sono immagini della famosa (ma forse finta) scommessa con Gianni Agnelli: dice Parretti che a una cena a Le Circle (che sarebbe Le Cirque ma anche i sottotitoli nel film seguono la pronuncia fonetica orvietana) incontra Agnelli e Kissinger e scommette con loro che si impadronirà della Mgm (Kissinger poi finirà nel consiglio di amministrazione della casa di produzione). “Questo se vuole ce la fa” avrebbe detto l’Avvocato (mah). Poi ci sono naturalmente Mixer d’epoca, e repertori dei nostri migliori anni Ottanta: Parretti all’apice del successo con un leone vero al guinzaglio in ufficio; con famiglia cotonatissima e moglie in spalline stile Capital; con aereo privato; in Ferrari rossa; con Sophia Loren; coi Reagan – all’ex leader aveva anche chiesto se voleva gentilmente assumersi la presidenza di Mgm, “essendo stato un attore”, ma al cortese rifiuto di questo, mette Florio Fiorini. Personaggio che meriterebbe un film a sé, o forse una serie: ex responsabile finanziario dell’Eni, detto negli anni ottanta “il pirata” e “il lavandaio” per la capacità di ripulire bilanci, invischiato in tutti i più grandi scandali dell’epoca, dall’Ambrosiano a Parmalat, più volte carcerato, è lui il socio di Parretti nella scalata a Mgm (in una vecchia intervista spiegava il suo ruolo nell’Eni socialista: “Funziona così: ogni mese prendiamo 5 miliardi e ne diamo: uno alla Dc, uno al Psi, 250 milioni ai repubblicani e così via. Ai comunisti diamo il petrolio sottocosto alle cooperative francesi, poi si arrangiano tra loro”).

E la gestione parrettiana degli studios: dopo un mese, finita la liquidità, sospese le riprese di Thelma & Louise perché non ci sono più i soldi per pagare cestini e operatori. “Per me l’Mgm è come una bella donna: l’importante è conquistarla e, dopo, quello che succede, succede” questo il business plan dell’epoca. E la banca finanziatrice, il Lyonnais, che finanzia la scalata più pazza del mondo salvo poi fallire – ma nel 1996 un misterioso incendio nella sede parigina elimina tutta la documentazione e gli archivi custoditi nella sede di Boulevard des Italiens. Nomen omen, naturalmente. Anche a vedere le foto oggi sul sito internet amatoriale del Parretti emergono certe sfumature malinconiche; “Giancarlo e Ronald al ristorante”; “Quattro chiacchiere a casa di Liz Taylor”. Molta tenerezza; però anche il sospetto che questa sia pure una storia di razzismo: nella notte degli oscar del 1990, un neo-celebre Billy Crystal, reduce da Harry ti presento Sally, nel monologo iniziale dice che “Hollywood è sempre più internazionale, i giapponesi hanno comprato la Columbia Pictures, e adesso un italiano sta acquistando la Metro Goldwyn Mayer. Vuol dire che in futuro il celebre leone della Mgm, invece di fare il suo tradizionale ruggito, invocherà il Quinto Emendamento” (cioè l’uguaglianza degli imputati davanti alla legge). E a rileggersi un numero della rivista Spy dello stesso anno la scalata di Parretti viene illustrata in maniera mica tanto politicamente corretta: in una vignetta c’è un cameriere con la didascalia che spiega che “la famiglia non gli ha dato le inconvenienze di un eccesso di cibo o di vestiti”; in un’altra, lo si vede a bordo della Queen Elizabeth con una signora che gli dice “ho detto lambs, non clams, idiota!” – e sotto la dida a suggerire come a bordo del piroscafo il giovane Parretti “apprende le sottigliezze della lingua inglese”. Oggi l’imprenditore progetta un parco a tema sull’antica Roma, da costruirsi a Civitavecchia.