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20:22 mercoledì 10 dicembre 2025
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.
La Casa Bianca non userà più il font Calibri nei suoi documenti ufficiali perché è troppo woke E tornerà al caro, vecchio Times New Roman, identificato come il font della tradizione e dell'autorevolezza.
La magistratura americana ha pubblicato il video in cui si vede Luigi Mangione che viene arrestato al McDonald’s Il video è stato registrate dalle bodycam degli agenti ed è una delle prove più importanti nel processo a Mangione, sia per la difesa che per l'accusa.
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui per gestire lo stress invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.

Il Met Gala di Karl Lagerfeld

Ha inaugurato a New York, con la solita parata di celebrity, la grande mostra dedicata a una delle figure più controverse e irripetibili della moda.

02 Maggio 2023

Non avendo un tema “largo” come lo erano stati negli ultimi anni il camp (nel 2019) o la moda americana (nel 2022), quest’anno il gala indetto dal Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York si è trasformato nella celebrazione di una sola personalità, e della sua irripetibile carriera. Una carriera che la retrospettiva “Karl Lagerfeld: A Line of Beauty” ripercorre attraverso più di centocinquanta abiti d’archivio e schizzi originali organizzati, com’è sempre più frequente nelle mostre di moda oggi, non in ordine cronologico ma secondo “temi” (anche qui) però in contrasto fra di loro, come romantico e militare, storico e futuristico, floreale e geometrico e così via. L’idea è di raccontare uno stilista, Lagerfeld, che alla sua scomparsa nel febbraio 2019 ricordavamo come «uno dei pochi rimasti a poter fare tutto, sdoganare tutto, dire tutto», in carica da Fendi sin dal 1965 e da Chanel dal 1983 e lì rimasto fino al giorno della sua morte, praticamente un monumento, anzi un museo lui stesso.

Ci piace pensare che se lo avessero intervistato a margine del red carpet (che in realtà non era rosso ma bianco, disegnato, come tutto l’allestimento della mostra, da Tadao Ando), avrebbe detto una delle sue proverbiali cattiverie senza risparmiare nessuno, tra chi è andato sì a scavare negli archivi ma poi ha deciso di lasciare a casa giacca e cappellino (come Dua Lipa, che ha indossato l’abito da sposa Chanel Haute Couture 1992 con cui sfilò Claudia Schiffer) e chi non ce la fa a non essere letterale, vedi Kim Kardashian e Lil Nas X con le perle e Jared Leto e Doja Cat vestiti da Choupette, il gatto di Lagerfeld, nonché suo erede, che all’evento non si è mica presentato (c’era uno scarafaggio, però, #NYmoment). Almeno Doja Cat ha miagolato in risposta alle domande di Emma Chamberlain, questo magari lo avrebbe apprezzato.

D’altra parte, come ha ricordato Lauren Sherman nella sua newsletter Line Sheet, Karl Lagerfeld non ha lasciato al mondo della moda qualcosa di tangibile come lo è una silhouette – come hanno fatto, ad esempio, Christian Dior o Yves Saint Laurent – quanto invece “un’attitudine”, un modo di prestarsi alla moda stessa e soprattutto di costruire la propria persona pubblica, immortalarsi, farsi icona. Nessuno più di lui ha infatti rincorso programmaticamente il culto della personalità nel corso della sua lunga vita e carriera, tanto nei marchi che ha saggiamente guidato per decenni quanto nel racconto che ha cucito su sé stesso per mostrarsi al mondo, lui che diceva alle donne grasse che erano grasse, anche se erano belle, che il #MeToo lo aveva stufato e i pantaloni della tuta un simbolo di fallimento e perdita di controllo: tutte cose che in queste ore avrete riletto fino alla nausea, compresa quella volta che disse di non sentirsi tedesco perché Angela Merkel accoglieva troppi migranti. Un uomo di altri tempi, che non ha senso giudicare con i canoni di oggi ma solo tramite i suoi traguardi nel campo che dominato per mezzo secolo, dice Sherman, ed è d’accordo con lei Carla Bruni, che alla conferenza stampa di presentazione della mostra – quella in cui Anna Wintour sedeva accanto a Roger Federer perché tutto può succedere quando si parla di Met Gala – ha detto che il suo amico Karl era uno abituato a dire tutto quello che pensava, e che lei lo amava per quello.

Indubbiamente, molte di quelle esternazioni servivano a creare un personaggio, un’armatura, un mito, lo stesso che è arrivato fino a oggi, nelle stanze del Met, sul tappeto non rosso pieno di celebrità insignificanti – per fortuna ci sono Rihanna in Valentino Haute Couture e Nicole Kidman con l’abito rosa della pubblicità del 2004 di Chanel N°5 – e nelle nostre timeline, dove in tanti hanno discusso in questi giorni sulla legittimità o meno di dedicare un’intera retrospettiva a qualcuno come Karl Lagerfeld. Lui il suo posto se l’è certamente meritato e se era difficile che queste “controversie” venissero inserite nel percorso espositivo, una riflessione su cosa sia oggi il potere, la rappresentazione di esso e più in generale la popolarità nella moda sarebbe interessante, proprio a partire da Karl Lagerfeld: senza le faide consumatesi nei decenni, senza i dimagrimenti eccezionali e strombazzati con tanto di best seller, senza il codino, le dichiarazioni scorrette e l’eccentricità come valore assoluto e scudo. O almeno senza che tutte queste cose siano di pubblico dominio: siamo sicuri le cose siano oggi davvero così diverse?

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