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C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
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Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.
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I fratelli Gallagher si sono esibiti insieme per la prima volta dopo 16 anni In un circolo operaio a Londra.

Il disastro politico del Covid secondo Luca Ricolfi

Intervista al sociologo che ha appena pubblicato il suo nuovo libro: La notte delle ninfee. Come si malgoverna un’epidemia.

25 Gennaio 2021

Nel 2019 ha inventato una delle definizioni più glam per descrivere la miseria e nobiltà di una generazione d’italiani, la nostra: La società signorile di massa, che è anche il titolo di un suo saggio pubblicato per La Nave di Teseo. Da ormai un anno il sociologo Luca Ricolfi – docente di Analisi dei dati e Presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume – è diventato “il David Quammen dei Dpcm” analizzando una mole gigantesca di dati sulla gestione dell’emergenza Covid e perculando l’opinione pubblica progressista anche a costo di farsi la fama di catastrofista e menagramo. I suoi interventi su Il Messaggero sono la versione sexy di uno spiegone del Post e lo stesso si può dire del suo nuovo libro, che dal titolo sembra un’opera di letteratura new weird: La notte delle ninfee. Come si malgoverna un’epidemia (sempre La Nave di Teseo). Qui lo stagno delle ninfee è metafora di una disastrosa gestione politica del Covid in cui «non si è preso atto che il lockdown non è l’unica strada per contenere l’epidemia ma solo l’arma finale dei governi che non sono stati capaci di governare l’epidemia», secondo un semplice ma ignorato principio, che «la tutela della salute è la chiave di tutto, anche dell’economia».

Ne La notte delle ninfee riprende il suo precedente saggio raccontando che «l’Italia oggi è diventata una società signorile di massa, nella quale consumo, divertimento, socialità, autorealizzazione sono percepiti come diritti assoluti e inalienabili». Questa condizione ci rende insofferenti di fronte al lockdown, ci spinge ad aggirarlo e infrangere le regole anche davanti a migliaia di morti. In questi mesi però la società signorile di massa sembrerebbe essersi messa la tuta: fa pilates online, riunioni Zoom, ordina Deliveroo o Glovo, fa shopping su Amazon. Non trova che parte di questa società si sia adattata alla pandemia, senza rinunciare a consumismo e autorealizzazione?
Sì, c’è un processo di adattamento, ma riguarda soprattutto i ceti medio-alti non esposti alle turbolenze del mercato: dipendenti statali, dipendenti di medie e grandi imprese, pensionati, percettori di rendite.

Nel libro compare quattro volte la parola “movida”. Che legame c’è tra società signorile di massa e movida?
La movida è la plastica rappresentazione di quel che è la gioventù in una società signorile di massa. Un terzo dei giovani non fa assolutamente nulla di produttivo (sono i cosiddetti NEET: Not in Employment, Education or Training), ma anche quelli che studiano o lavorano assegnano ai weekend, alle vacanze, al divertimento, al gioco (specie su internet), all’intrattenimento, un posto fondamentale nelle rispettive vite. E’ un’autentica mutazione della condizione giovanile, iniziata verso la fine degli anni ’80 (ricordate le “stragi del sabato sera”?) e perfezionata nei primi due decenni del nostro secolo.

Alla fine del saggio c’è una sorta di provocazione, di ipotesi non provata, ovvero che la cattiva gestione della pandemia sia anche una “questione di genere”: i tre paesi scandinavi che hanno affrontato con più successo l’emergenza Covid sono guidati da donne. Una premier donna avrebbe affrontato in maniera diversa anche questa crisi politica. Come?
La mia è solo una sorta di pulce nell’orecchio rivolta ai sociologi e agli psicologi. Può darsi benissimo cha sia un caso che, dove c’è un premier donna, le cose vadano molto meglio. Ma se, invece, devo cercare di trovare una spiegazione, farei due osservazioni. Primo, in generale le donne sono più concrete degli uomini, e meno affette dai meccanismi mentali dell’autoinganno (tecnicamente: “riduzione della dissonanza cognitiva”, secondo Leon Festinger), che a mio parere hanno avuto un ruolo importante nel ritardare la percezione della gravità della pandemia. Secondo: poiché la discriminazione nei confronti delle donne non è un’invenzione dei sociologi, se ne può dedurre che, per diventare premier con l’handicap di essere nate donne, ci vuole un di più di serietà, preparazione, determinazione, tutte doti che aiutano un governante e prendere le decisioni giuste.

E nell’attuale classe politica c’è qualcuno che avrebbe potuto far meglio di Conte? Forse Mario Draghi sarebbe stato meglio come custode del lago delle ninfee?
Ovviamente Draghi avrebbe fatto non meglio, ma molto, molto meglio. Ma in realtà avrebbe fatto meglio di Conte la maggior parte dei politici di primo piano. E questo per un motivo molto semplice: la dote (si fa per dire) principale di Conte è la capacità di usare la retorica, la dilazione e la non-decisione come strumenti di sopravvivenza del governo, ma si dà il caso che sia esattamente questa dote che diventa controproducente, e anzi catastrofica, in presenza di un’epidemia. Poiché penso che la maggior parte dei politici posseggano questa dote in misura molto minore di Conte, non posso che concludere che ben pochi, anche sforzandosi, sarebbero riusciti a fare peggio di lui.

Lei individua un’altra freccia nell’arco della buona gestione scandinava del Covid: «la socialità contenuta, il gusto per la solitudine e l’amore per la natura selvaggia». Sono valori – singolarmente o come società (signorile di massa) – che possiamo imparare o sono antitetici alla nostra natura?
Più che altro sono antitetici alla nostra storia. Imparare a stare con sé stessi non è facile, e può richiedere parecchie generazioni.

Un solitario e amante della natura in Italia non rischierebbe di venire etichettato come radical chic?
Non credo, semplicemente avrebbe meno possibilità di successo professionale, mediatico, sociale. Il guaio della socialità, almeno in un paese come l’Italia, è che essa viene usata anche – se non soprattutto – in modo improprio, ovvero per ottenere benefici che senza di essa non riusciremmo ad ottenere. Vale nella ricerca del lavoro, dove contano troppo le “conoscenze”, ma soprattutto conta nella acquisizione di commesse, incarichi, informazioni privilegiate, tutti meccanismi che sono potenti generatori di diseguaglianze inique, perché sganciate dal talento e dalla capacità di sacrificio.

Conte è il premier “ideale” della società signorile di massa?
No, assolutamente no. Conte è il premier ideale della “società parassita di massa” che sta nascendo in Italia grazie alla deriva assistenziale della politica economico-sociale di questo governo. Che è nato dal matrimonio Pd-Cinque Stelle, ma ha finito di distruggere quel poco di riformismo e di spinta modernizzatrice che sopravviveva nel Pd. Nell’abbraccio mortale fra i due partiti è il Pd che è stato snaturato e addomesticato.

La società signorile di massa uscirà trasformata da questa pandemia? In che modo? Penso ai tanti trentenni che campano affittando le case dei genitori su Airbnb, case ora sfitte…
La società signorile di massa è finita il 21 febbraio 2020, 4 mesi esatti dopo l’uscita del mio libro. Però per accorgercene occorrerà attendere ancora 1-2 anni, quando ad essere colpiti duramente non saranno solo precari e lavoratori autonomi, ma tutti quanti.

Lei sembra molto riluttante ad apparire in tv. Una volta si diceva “intellettuale allergico alla televisione”… Si riconosce?
Sì e no. In effetti, a parte le circostanze in cui si deve andare per promuovere un libro, non amo troppo comparire in tv. Ma la ragione non è che non ami la comunicazione in tv, anzi se devo essere sincero le dirò che preferisco di gran lunga rivolgermi alle persone normali che ai colleghi e agli specialisti. Il mio problema con la tv è il formato dei programmi, che quasi sempre prevedono il confronto fra persone che, anche quando non fanno i politici, hanno idee preconcette e nessun interesse per le idee altrui. A me piacerebbe che esistessero programmi in cui si discutono i problemi e si raccontano i risultati degli studi, anziché battibeccare fra amici e nemici del governo in carica. Ma so che è un’utopia.

“Festeggerà” quando sarà tutto finito? In che modo? Andrà a un concerto o bere un aperitivo?
Nessun concerto, nessun aperitivo. Solo una lunga passeggiata sul mare, con Paola.

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