Attualità | Politica

“Salutami Morisi”

Ascesa e caduta dell’inventore della "Bestia" di Salvini, ora indagato per cessione di droga.

di Francesco Gerardi

Luca Morisi non è più il «responsabile della comunicazione e social media strategist di Matteo Salvini e dei correlati canali di comunicazione legati al suo ruolo di leader della Lega». Si è dimesso per «questioni familiari», anzi, no: si è dimesso per i guai che vengono da «fragilità esistenziali irrisolte», cioè un’indagine della Procura di Verona per cessione di stupefacenti. Si potrebbe dire molto sulla questione, che però è solo un altro modo di dire che è molto anche quello che si può non dire. Nel curriculum pubblicato sul sito del Ministero dell’Interno ai tempi del governo gialloverde c’è scritto che Morisi ha imparato il greco da autodidatta, quindi saprà per cosa sta la parola némesis. La tentazione di sfottere è fortissima: lo sfottò non è ironia, non è satira, non è sarcasmo ma è tonto, aggressivo, persecutorio. Solo che di tonti, aggressivi e persecutori ne abbiamo già abbastanza (quantomeno e per quel che vale, io ne ho abbastanza), e so che Morisi è d’accordo con me: «Sei tu politico che devi fare da argine a comportamenti inaccettabili. Però è un dato di fatto che le persone oggi si sentano in diritto di dire cose inaccettabili. Prima dei social accedeva al commento pubblico delle informazioni solo una parte ridotta della popolazione, oggi tu in un minuto puoi aprire un account sui social e dire le più grandi corbellerie», diceva sul palco di Election Days 2018. Mi tengo quindi per me le mie corbellerie, riservo alle indifferenti orecchie del gatto le mie inaccettabilità.

Tra il 2018 e il 2019 Bobo Craxi, su Twitter, rispondeva sempre alla stessa maniera a chiunque provasse a infastidirlo: «salutami Morisi», una informale cordialità che solo le peggiori provocazioni riuscivano a trasformare nei rari – quindi preziosi – «fottiti Morisi» e «[…] sei una testa di cazzo. Come quel Morisi». Tutto questo dice molto di Bobo Craxi (uomo lodevole non solo nelle arrabbiature) e ancora di più di Morisi: nell’immaginario collettivo la sua Bestia si nascondeva ovunque, era una piovra, una creatura di occhi e orecchie, artigli e tentacoli, onnipresente e onnisciente come certe divinità lovecraftiane. Era un dio, personale come quello dei cristiani, capriccioso come quelli dell’Olimpo: tutti, una volta nella vita, per una ragione o per un’altra, si sono sentiti al centro delle attenzioni, avvolti dai tentacoli della creatura assemblata da questo moderno Victor Frankenstein. «Un insieme di software collaborativo, per l’automazione di attività di cross-posting, creazione di grafiche, pubblicizzazione di eventi, monitoraggio di news», ha sempre minimizzato lui, con il tono compiaciuto del diavolo che sa che il suo più grande inganno è far credere al mondo che lui non esiste.

Si dice sia stato Morisi a soprannominare Salvini “il capitano”, una voce mai smentita né confermata che però spiega perfettamente il rapporto tra i due: chi è l’uovo e chi è la gallina? Galeotta fu una puntata di Porta a Porta del 2012: Salvini con un occhio guardava Vespa e con l’altro il tablet, un po’ parlava con il conduttore e un po’ con i followers. Fu «una specie di innamoramento», una fascinazione per il politico che Alessandro Orlowski su Rolling Stone ha splendidamente definito “supermillenial” (è forse l’untermillenial in me a farmi leggere questa parola con i caratteri con cui si scrive “presa per il culo”?): il calciobalilla, la televisione, Space Invaders e le reti social. Salvini e Morisi si conobbero e decisero di collaborare, il primo voleva sfondare su Twitter ma il secondo gli spiegò che nel secondo Paese più vecchio del mondo «il popolo sta su Facebook». Morisi sapeva dieci anni fa quello che Mantellini ha ammesso due settimane fa: «Facebook è ormai una residenza per anziani», il posto giusto per bagnarsi il dito e capire da che parte soffia il vento perché, come diceva Lisa in una splendida puntata dei Simpson, «io ve lo avevo detto che gli anziani votano sempre».

Morisi è laureato in filosofia, ma è abbastanza intelligente da non definirsi filosofo nemmeno in privato. Dalla filosofia ha preso quello che serve: quella capacità di cui parlava e scriveva sempre Bobbio, “ritornare ai classici” per capire e spiegare le cose di oggi e di domani, riuscendo pure a sembrare intelligenti ripetendo l’intelligenza altrui. Solo che a Morisi della “buona paideia” non importa un fico secco: parte da Platone e dal Fedro, dal passaggio tra la cultura orale a quella scritta, per dire che il cambiamento del paradigma tecnologico porta al cambiamento di quello in gnoseologia, ontologia, etica, e conclude con l’inquietante cinismo di «questa è la dimensione in cui oggi si deve operare, e ognuno opera usando il pubblico che esiste». È una cosa, questa, che potrebbe dire un intellettuale di quelli così sofistici, che stanno sempre ad analizza’, a critica’, a giudica’, ed è per questo che per capirci c’è bisogno della citazione di una commedia: avete presente quella puntata di Boris in cui René urla: «Perchè a noi la qualità c’ha rotto er cazzo! Viva la merda!»? Ecco, Morisi voleva dire questo.

«Un insieme di software collaborativo, per l’automazione di attività di cross-posting, creazione di grafiche, pubblicizzazione di eventi, monitoraggio di news», ha sempre minimizzato lui, con il tono compiaciuto del diavolo che sa che il suo più grande inganno è far credere al mondo che lui non esiste

Morisi è sempre stato abbastanza blasfemo da farsi uno e trino: una sola essenza in tre persone, lui, la sua Bestia e il suo Capitano, oggi ridotti a Sancho Panza, Ronzinante e don Chisciotte ma sempre me, myself and I. Ha ribadito spesso che Salvini è lo spin doctor di se stesso, uno che sente le vibrazioni nella terra e gli odori nell’aria, che trova l’acqua col bastone e sente il dolore all’anca quando sta per arrivare il temporale. «È offensivo insinuare che ci siano automatismi dietro ciò che pubblichiamo. Lo è verso la capacità mediatica di comunicatore di Salvini ma anche nei confronti del nostro lavoro», che è un’affermazione che può voler dire cose diverse: è offensivo nel senso che la Bestia fa quel che deve e non quel che vuole, ciò che serve e non ciò che è giusto, quindi gli stronzi siamo noi aventi diritto di voto e non loro candidati, rappresentanti, eletti, trombati?

La parte inquietante della personalità di Morisi è la banalità – quindi la verità – che in certi momenti, in certe occasioni, si intuisce: «Poi che sia giusto o sbagliato da un punto di vista etico è un altro discorso», dice ogni volta che la discussione si sposta dal cielo stellato sopra di lui alla legge morale dentro di lui. Ma non è che per questa persona è solo un lavoro, viene da chiedersi. Sarà per questo che si arrabbia solo quando si insinua la scorrettezza deontologica, l’uso di bot e di altre eccellenze del made in Russia? In questi casi Morisi arriva addirittura a minacciare la querela, con la faccia e il tono di quello punto sul vivo: sono un professionista, io, «I’m good at my job», sottintende smorfioso come Olivia Pope in Scandal.

Ma che lavoro fa (faceva) Luca Morisi? Guia Soncini su Twitter scrisse che «Salvini sui social è la cosa più vicina che possa capitare oggi a vedere Maradona che palleggia», e però pure Maradona avrà avuto uno che a un certo punto gli ha dato un pallone e gli ha chiesto se gli andasse di giocare. Spingitori di cavalieri, diceva la Vulvia di Corrado Guzzanti: alla fine c’è sempre uno dietro che ti spinge a fare le cose che gli altri pensano avresti fatto comunque. Morisi magari è uno che ha soltanto spinto Salvini a essere se stesso, che non è certo poco quando “se stesso” vuol dire la meglio approssimata rappresentazione dell’elettorato: lo avessero detto a Renzi anni fa, quest’ultimo si sarebbe risparmiato gli anni di tu vuò fa’ l’americano e oggi sarebbe in testa ai sondaggi. E cos’è l’elettorato oggi? È una costante violazione della regola dietologica delle cinque P (pane-pasta-pizza-patate-pasticceria, una sola di queste p a pasto); è l’estetica del buongiornissimo e del caffèèèèè, è l’etica dei cani che sono sempre cagnolini, i gatti gattini, i bambini bimbi, i genitori le mamme e i papà; è l’ordine pubblico garantito dal braccio violento della legge che sbatte gli “spacciatori di morte” in gabbia e la chiave la butta sempre via; è la difesa che è così legittima che l’unica domanda che è lecito porre al ladro è do you feel lucky, punk con mano stretta attorno al calcio di una 44 magnum.

Morisi sapeva tutto e quel che non sapeva già lo vedeva: «Non c’è algoritmo, non c’è automatismo: c’è tanta scuola, tanta attenzione e tanta tenacia nell’immergerci in quello che dice la Rete», così spiegava il metodo attraverso il quale da un livetweeting a contorno di chissà quale trasmissione su Rete4 riusciva a ricavare un post da più di 100mila interazioni pubblicato sulla pagina di Salvini. È il metodo che permette a Salvini di esserci attorno in ogni momento e in ogni luogo: al bar, sui mezzi pubblici, alla riunione di condominio, ai pranzi e alle cene in famiglia per le feste comandate.

Nessuna prescienza à la Minority Report, dunque, solo un banalissimo specchio: vogliono la merda e gli diamo la merda, come disse un leggendario dirigente Mediaset ai tempi della prima edizione del Grande Fratello. Ma per servire ogni giorno merda fumante nel piatto bisogna avere una perfetta conoscenza di ogni centimetro dell’apparato digerente: bisogna sapere che su Facebook nessuno ti sente urlare a meno che le urla non siano poi riprese dai talkshow del daytime e della prima serata, tocca sapere che certe citofonate vanno perse come lacrime nella pioggia senza le telecamere accese e i microfoni aperti. Bisogna sapere, inoltre, che oggi più che mai si ama e si odia per le stesse ragioni, che sono le ragioni spiegate in Private Parts: quello a cui Howard Stern piace lo ascolta in media per un’ora e venti minuti, quello che lo odia più o meno per due ore e mezza al giorno, entrambi voglio vedere cosa dirà dopo.

Bisogna sapere, infine, che aveva ragione David Foster Wallace quando diceva che l’ironia stava diventando distacco: Salvini che in diretta da Giletti inforna una pizza «col wurstel» fa ridere tutti, e questo è un problema. Interazioni non olet, uno che ha pubblicato post che ritraevano un ministro dell’Interno elmetto in testa e mitragliatrice in pugno lo sa. Luca Morisi non è più il «responsabile della comunicazione e social media strategist di Matteo Salvini e dei correlati canali di comunicazione legati al suo ruolo di leader della Lega». Non sarà mai dimenticato, però e purtroppo: il 24 settembre, alle 20:43, il segretario del Pd Enrico Letta pubblica su Twitter la foto di una bottiglia di spuma (una bevanda gasata molto amata in Toscana) con accanto un bicchiere appena riempito. «E a Montevarchi un tuffo nella giovinezza…”la #spuma da cento”», si legge.