Quand’era ancora un ragazzino, Daniel Clowes era solito partecipare alla Fiera dell’Arte del piccolo quartiere di Chicago in cui abitava. Sistemava un tavolino appena fuori dal perimetro di accesso dell’evento per non pagare la tassa di ammissione e, disegnando il più possibile, tentava di tirar su qualche dollaro. Quando le persone si fermavano incuriosite, quello era per lui il lavoro più bello del mondo; quando invece, impassibili, sfilavano senza fermarsi, diventava alquanto deprimente. Un giorno, spinto dalla curiosità, Clowes pagò il biglietto della fiera, e, gironzolando tra i padiglioni, incontrò Davo: un professionista delle caricature che realizzava ritratti con la tecnica dei pastelli. Clowes restò così colpito dal lavoro di Davo che, al ripetersi di ogni Fiera dell’Arte, prese l’abitudine di frequentare il suo stand per rubargli il mestiere. Tempo dopo, con le prime storie a fumetti già pubblicate, si imbatté in un manuale di caricature. L’autore — che strana coincidenza — sembrava rifarsi pedissequamente allo stile di Davo. Inoltre, le pagine del manuale erano fitte di annotazioni raccolte durante i tour estivi nelle fiere di paese (come la Fiera dell’Arte) e contenevano riflessioni cariche di profonda tristezza e alienazione. Fu lo spunto da cui nacque Caricature: la storia di Eightball che ha cambiato per sempre il mio rapporto con il fumetto.
Caricature è la storia di Mal Rosen: trentanove anni, divorziato, senza figli. Uno che è sempre stato nel giro dell’arte e da un certo punto si è messo a fare sul serio come caricaturista: 12 dollari la persona, 15 la coppia. Ha iniziato a disegnare da bambino; gli amici apprezzavano le facce buffe degli insegnanti. Al contrario, sua madre gli domandava: «Perché fai le persone così brutte?». Durante la sua permanenza alla fiera dell’artigianato di Twin Lakes, Mal tiene un diario dove appunta le proprie riflessioni. Sono pochi gli artisti che conoscono i segreti dell’arte della caricatura, in effetti, e Mal conta di scriverne un libro, prima o poi. Illustrato, magari: «Un libro di lusso da tenere in bella vista». Quello che sotto sotto spera è che la propria esistenza possa ispirare quella di qualcun altro.
Quando gira tra i festival di arte e le sagre di contea, spesso Mal si ritrova a desiderare compagnia femminile. Disegna una donna e immagina di farci sesso. E succede anche che, quando disegna per troppo tempo senza fermarsi, la mano destra inizi a sanguinargli: il mignolo gratta contro la carta ruvida e lui deve metterci dei cerotti. A Twin Lakes, Mal incontra Theda. (Lui: «Come Theda Bara?». Lei: «Tu conosci Theda Bara? Sono sbalordita! Nessuno conosce Theda Bara!»). Theda ha sedici/diciassette anni. Per Mal è una che: «Non vale niente: capelli da scema, alla punk, vestiti di seconda mano… proprio orribile! Ma che posso dire? Ha un gusto impeccabile!». Theda tiene i capelli fermi con delle forcine e ha un livido sotto l’occhio sinistro. «Io penso che sei un genio!», dice Theda. Si fa fare una caricatura, poi: «È stato un grande onore! Spero che non smetterai mai questo lavoro!».
Il giorno dopo, Theda è di nuovo allo stand. Indossa un paio di occhiali e una parrucca. «Perché la parrucca?», chiede Mal. «È il mio travestimento da ospite di talk-show», spiega. Theda dice di avere ventidue anni. Entrambi i genitori — che non vede quasi mai — sono artisti di fama mondiale. Suo padre è Rambrent (sic) l’essenzialista. Uno che è diventato famoso dando fuoco a certi quadri durante la sua prima mostra. Al momento la sua ultima trovata è scattare delle Polaroid al lavoro di altri artisti. La madre di Theda, invece, è una performer. Se ne va in giro a dire cose come: «La creazione artistica è come un parto». Oppure: «Soltanto le donne possono essere artiste perché comprendono la maternità». La HBO le ha dedicato uno speciale. Una sera Theda e Mal vanno a cena. Theda ordina un affogato al caramello, Mal un cheesburger al sangue. A un certo punto Theda chiede a Mal di realizzare la caricatura di un tizio che sta seduto, tutto solo, in un angolo del locale. Mal la accontenta. Il tizio se ne accorge. Raggiunge il loro tavolo e ordina a Mal di strappare il disegno. Mal ubbidisce. Theda, invece, si arrabbia. Raccoglie i pezzetti di carta e urla al tizio: «Razza di stronzo! Zotico!».
Al ritorno, mentre stanno facendo benzina, Mal scende dall’auto e, dal sedile posteriore, recupera una caricatura di Davo, l’artista che più lo ha ispirato. Theda vede il disegno ed esclama: «È assolutamente orribile!». «Sono io», risponde Mal.
La serata prosegue nella camera del motel di lui. Theda racconta a Mal il suo lavoro: «Mi pagano per vestirmi bene e andare nei locali notturni e avere l’aria da figa. Dovrei dire che ci andavo… dalla settimana scorsa mi sono ufficialmente licenziata». Si stendono sul letto e guardano la televisione. C’è un momento in cui le loro mani si sfiorano. Poi, però, Theda ritira il braccio, dicendo: «Mio padre mi ha violentata quando avevo sedici anni». Mal è sconvolto: «Mio Dio… Theda! Io… non…». Theda si alza e raggiunge il bagno. Ride: «Ah, ah, ah! Sei il migliore, Mal!». Lascia la porta aperta. Si tira giù i pantaloni, le mutandine, si siede sulla tazza e regge tra le mani i frammenti della caricatura strappata di Mal. «Ancora non riesco a credere che hai stracciato il disegno». Fa quello che deve fare ma lo sciacquone è rotto. Torna a letto. Dice a Mal di spegnere la luce.
Il mattino seguente, fanno colazione in un ristorante messicano. Theda, gli occhi sul menù, chiede a Mal: «Come ci si sente ad aver dormito con una quindicenne?». Qualcuno, seduto alle loro spalle, si volta. Alla fiera, Mal le chiede: «Quanti anni hai veramente?». «Dio! Ventidue!», risponde Theda. Mal vorrebbe capire per quale motivo lei si comporta in questo modo. Ma al momento ha altri problemi da gestire: una coppia di genitori ha portato il figlio — con evidenti problemi — a farsi fare un disegno. «Che razza di gente porta un bambino deforme a farsi fare la caricatura?», pensa Mal. Il disegno, però, lo realizza lo stesso. E quando la sua mano inizia a sanguinare, va in bagno per non sporcare tutto. Ma ecco che si ferma davanti allo specchio. Inizia a disegnare la propria immagine: «Era il primo autoritratto che ricordavo di avere mai disegnato e non ho avuto pietà». Il risultato è terribile: il volto di un mostro.
La sola speranza di Clowes è l’uscita di Raw, l’antologico a fumetti fondato, nel 1980, da Art Spiegelman e da sua moglie Françoise Mouly. Clowes acquista ben tre copie del primo, storico numero, convinto che, con tutto questo materiale proveniente da illustratori europei e americani, la rivoluzione del fumetto stia finalmente per iniziare. Ma non è così. Secondo Clowes, la roba pubblicata da Raw è pretenziosa. Discorso simile per un’altra importante rivista, Love&Rockets, creata dai fratelli Hernandez; addirittura Clowes all’inizio la snobba, considerandola una banale fanzine. In seguito, invece, ne rimane conquistato, sentendosi anche un po’ depresso perché chi realizza quelle storie ha la sua età. Clowes comunque non intende far parte del gruppo di Raw. Allo stesso tempo, non vuole nemmeno nemmeno iniziare a disegnare Spider-Man. Non ce lo dimentichiamo: Clowes è uno che ce l’ha con tutti. Ma proprio con tutti. E quello che vuole fare è qualcosa di mai visto prima. Qualcosa di completamente differente. Cosa, però?
Dopo il diploma alla Pratt, inizia a mandare in giro il proprio portfolio. La speranza è che qualche art director si accorga del suo lavoro. La paura è che qualcuno possa rubarglielo. Convinto che, se non realizzerà al più presto qualcosa, il suo cervello esploderà, Clowes s’inventa le storie di uno strano personaggio: Lloyd Llewellyn. Perché questo strano nome? Clowes ha notato che nelle storie di Superman esiste una vera e propria ossessione — un feticismo, quasi — per i personaggi con la doppia “L”. C’è Lois Lane, infatti. E Lex Luthor. Senza dimenticare Lucy Lane (Superwoman). L’idea, quindi, è di vendere i diritti di Lloyd Llewellyn (il nome di un personaggio che di “L” ne contiene addirittura sei) alla DC Comics e fare un mucchio di quattrini.
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