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Lady GaGa

Lei mette in rete foto con un po' di cellulite. È una rivendicazione del difetto? L'imperfezione è un business vecchio quanto il mondo.

08 Ottobre 2012

La storia dovrebbe cominciare dalla fine: da Lady GaGa che sul sito Little Monsters pubblica foto di se stessa non particolarmente lusinghiere, foto dove mostra un po’ di grasso sulle sue cosce, sulle chiappe, forse una linea sulla pancia. Eccole qui. Una, due, tre, quattro. Foto con la didascalia “bulimia e anoressia da quando avevo 15 anni”.

Il mondo reagisce dicendo che questo è un atto di grande coraggio.

La storia, per me, comincia due annetti fa, quando un amico dice, «sono convinto che Ke$ha sia stata creata per far sembrare Lady GaGa ancora più bella e più talentuosa».

Ke$ha era appena diventata un mezzo fenomeno trasgressivo – ma “colorato” e “divertente” – con il brano in cui cantava prima di uscire, mi lavo i denti col Jack Daniels; GaGa aveva un album al suo attivo, quello lanciato dal singolo Poker Face (non puoi davvero giocare alla roulette russa senza una pistola), di cui aveva fatto uscire una versione ampliata, dove c’erano Monsterlui mi ha strappato i vestiti, mi ha mangiato il cuore, mi ha mangiato il cervello – e Teethmordi la mia carne di ragazza cattiva, ti amerò con le mani legate.

Da allora, Kesha Sebert è sempre rimasta, in sostanza, una giovane donna molto attraente – no, meglio: una giovane donna convenzionalmente molto attraente – ridisegnata in modo da ricordare una zozza suburbana che si è partorita da sola e si è scordata di tagliare il cordone ombelicale a cose fatte. (No, mi vengono così.) Mentre Lady GaGa ha sempre trafficato in quello che lei chiama “la religione dell’identità”, dove tutto è buono e lecito se si tratta di portare alla luce il vero te stesso. Lei ha rifiutato il business della canzone ispirazionale per donne, le cui due velocità – le uniche – suonano come «sono una donna forte e indipendente, non ho bisogno di te !» (Kelly Clarkson, Destiny’s Child, BeyoncéSia) e come «siamo tutte bellissime così al naturale, care signore e signorine! Non cambiate mai!» (Christina AguileraTLCPink , Selena Gomez). Lady GaGa ha sparato molto più alto; quando ha fatto “la canzone sulla bellezza”, ha detto, Dio non commette errori, ha esteso il discorso all’orientamento sessuale, al gender, alla razza. Tante cose, tutte importanti.

Detto ciò.

In un primo momento, alcune piccole parti di lei, Lady GaGa ha cercato di tenerle nascoste.  Cose di cui non era contenta; cose del prima. Prima che si facesse bionda, prima che dimagrisse, prima che diventasse Lady GaGa.

Non ce l’ha fatta.

Quelle piccole parti – dettagli, davvero – continuavano a essere caricate su YouTube, scambiate sui social media; la sua apparizione nello show di MTV Boiling Points, ad esempio, le foto di una serata dove suonava la pianola in un bar di New York, The Bitter End, e, oh, lei che cantava due brani originali a un recital della NYU. (E’ bellissima, avanti.) A un certo punto, lei ha smesso di nascondersi. Per molto tempo, comunque, GaGa non ha mai detto di amare se stessa; tra le prime cose che ha detto sul suo corpo, di solito non rispondendo ad alcuna domanda precisa, lei ha detto «per diventare una star ho dovuto perdere peso, prima avevo delle gran tette e ora non ce le ho più, mi mancano, certo, ma cosa ci vuoi fare». E poi ha detto: «ho cominciato a dimagrire quando ballavo nuda, usavo i soldi che avevo per comprarmi la droga, non per il cibo». (Per quanto riguarda il diventare bionda, secondo la leggenda, si deve al fatto che durante i primi concerti la gente dal pubblico le strillava «Amy Winehouse!».)  La dottrina dell’attacco preventivo, insomma, che ha vanificato ogni serio tentativo di scrivere truci libri scandalistici rivelanti “la vera Lady GaGa”. Perché, in fondo, sentiamo: cosa vorresti svelarmi? Che ieri ha mangiato un panino? Che il tappeto non si intona ai tendaggi? Ma dai.

Poi, negli ultimi mesi, GaGa è ingrassata. Un po’. E’ passata da scary skinny – o molto magra – a un po’ meno magra; il suo aumento di peso è stato diagnosticato da Internet come “intorno ai 10-12 chili”. I costumi di scena le stavano un attimo meno bene; lei saliva sul palco lo stesso. Ed è scattata l’ora delle foto in mutande. Che straordinario atto di coraggio.

No, questo non è un atto di coraggio; questa è una reazione. La prima reazione da parte di una donna che ha sempre offerto lei le note stonate e gli eccessi in prima battuta; che fino al mese scorso aveva sempre deciso come mostrare se stessa al di là dell’emergenza del momento. Una reazione forte, a modo suo, accompagnata dalla descrizione di cosa ha significato, in concreto, essere bulimica al liceo. (Rifiutare gli spaghetti cucinati dal papà / sentirsi dire frega niente, io li ho cucinati e adesso tu li mangi / vomitare gli spaghetti cucinati dal papà.)

E poi, certo, da casa, una persona come me ricava un livello di soddisfazione medio-alto da tutto questo processo, perché delle donne con i disturbi alimentari mi piace tanto quando arrivano al momento Condivisione Totale e ti spiegano i loro rituali per perdere peso. Dico sul serio: se una persona che ha sofferto di questi disturbi non scrive un libro mettendoci dentro, nei dettagli, come si provocava il vomito e come si assicurava di aver buttato fuori tutto, io mi sento offesa in sentimenti che non sapevo di avere. (Alcuni questo lo chiamano voyeurismo estremo, io lo chiamo «se non sei disposta a raccontare il peggio assoluto di te, santo Dio, perché stai parlando di te?» Vedi alla voce; Cat Marnell e gli abusi farmaceutici, Kathy Griffin e la chirurgia plastica.)

Se vogliamo guardare la faccenda da un punto di vista strettamente commerciale, le istantanee come quelle che GaGa si è scattata sono una tattica per contrastare l’altro business della foto non lusinghiera, dove una persona da cui ci si aspetta un relativo livello di fascino e sofisticazione viene beccata – aiuto! – mentre esce dal supermercato con i pantaloni della tuta e la coda di cavallo, magari con in braccio un bambino che le ha sbavato la maglietta. (US Magazine usa spesso queste foto, le più pulite almeno, in una sezione intitolata «Stars, They’re Just Like Us!» ; dove la distanza tra chi legge e chi posa dovrebbe essere ridotta da bambini-oggetti di scena e costumi da bagno interi. Inoltre: Kate Middleton, i commenti sulla consistenza delle sue bocce.)

Ma questa strategia auto-narrativa fa anche parte del business dell’imperfezione, lo stesso per cui, dieci anni fa, ogni intervista a Cameron Diaz doveva aver luogo in un ristorante, e doveva tenere conto del fatto che lei mangiava come un carrettiere, e con le mani. (E alla fine si ciucciava via il sugo di vongole dalle dita, forse? Non lo so, sono passati dieci anni.) Oggi quel business lo vediamo riflesso nel fiume di foto senza trucco e senza filtro che donne in vario modo pubbliche si sono scattate da sole appena sveglie la mattina (Teri Hatcher) , oppure hanno più o meno permesso che altri scattassero loro (Katy Perry). Facce stravolte, pelli pulite. Vedete? Io sono reale. Come voi. Non sarei bella, senza un bravo stylist. Non sarei niente.

In teoria, il business dell’autoscatto – non necessariamente quel genere di autoscatto, ma ci sta, perché darsi un freno proprio adesso – è un modo di impadronirsi dell’imperfezione, di rivendicarla, o di smentire questa o quella voce persistente secondo cui nelle vene ti scorre più titanio che sangue. In pratica, è un modo di ridurre le aspettative. Non per quanto concerne la ragazza nella foto, ma per la persona che guarda la foto.

Queste foto che arrivano a noi urlando autentiche! e non ritoccate!, queste immagini che per qualcuno possono essere belle e utili, magari, hanno come effetto finale e inevitabile l’abbassamento del pubblico. Non stanno davvero dicendo «guardatemi, sono come voi! Abbiamo tutte dei difetti!», dicono «guardatemi, sono un cesso, come voi». Siamo tutte quante brutte e sgraziate, non dormiamo bene la notte.

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