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09:54 venerdì 28 novembre 2025
Dopo quasi 10 anni di attesa finalmente possiamo vedere le prime immagini di Dead Man’s Wire, il nuovo film di Gus Van Sant Presentato all'ultima Mostra del cinema di Venezia, è il film che segna il ritorno alla regia di Van Sant dopo una pausa lunga 7 anni.
Un esperimento sulla metro di Milano ha dimostrato che le persone sono più disponibili a cedere il posto agli anziani se nel vagone è presente un uomo vestito da Batman Non è uno scherzo ma una vera ricerca dell'Università Cattolica, le cui conclusioni sono già state ribattezzate "effetto Batman".
Secondo una ricerca dell’università di Cambridge l’adolescenza non finisce a 18 anni ma dura fino ai 30 e oltre Secondo nuove analisi neuroscientifiche, la piena maturità cerebrale degli adulti arriva molto dopo la maggiore età.
I fratelli Duffer hanno spiegato come settare la tv per guardare al meglio l’ultima stagione di Stranger Things I creatori della serie hanno invitato i fan a disattivare tutte le “funzioni spazzatura” delle moderne tv che compromettono l'estetica anni '80 di Stranger Things.
L’incendio di Hong Kong potrebbe essere stato causato dalle tradizionali impalcature in bambù usate nell’edilizia della città Le vittime accertate sono 55, ci sono molti dispersi e feriti gravi. Sembra che il rogo sia stato accelerato dal bambù usato nei lavori di ristrutturazione.
L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario
Sarkozy è stato in carcere solo 20 giorni ma dall’esperienza è riuscito comunque a trarre un memoir di 216 pagine Il libro dell’ex presidente francese sulla sua carcerazione lampo a La Santé ha già trovato un editore e verrà presto pubblicato.

La regina è nuda

Diane Vreeland, le donne che hanno reso Vogue America un colosso di 120 anni: doc-film e cataloghi patinati portano la moda allo scoperto.

10 Dicembre 2012

«Ceci n’est pas une chemise blanche» sembra dire Diane Vreeland in questa foto. Ma per chi non sa chi sia questa donna la foto potrebbe non significare altro se non una sosia di Elisabetta d’Inghilterra che ha in mano una camicia bianca appena stirata. Così come un insieme di donne ritratte in mise eleganti potrebbe rappresentare solo un ritratto matriarcale e non una redazione che ha permesso a Vogue America di raggiungere i 120, onoratissimi, anni.

E non è un caso che, per tutti quelli che ne vedono solo immagini di donne dal collo rugoso e dalle labbra serrate, questa sia invece la stagione azzeccata per dare un nome a ognuna di loro e capire, o intuire, qualcosa in più sul meccanismo Moda. Il caso più lampante riguarda il doc-film su Diane Vreeland, che esce dai classici canali HBO, per diventare un film proiettato nella sale italiane nella stessa programmazione di Moonrise Kingdom di Anderson. The Eye have to travel diventa così il primo grande documentario sulla Moda che arriva in un cinema per raccontare una storia di senso compiuto, e non solo celebrare una protagonista del ‘900. La regista Lisa Immordino (compagna di uno dei nipoti della Vreeland) ha volutamente abusato della Babele che riguardava Diane Vreeland: tutti ne possono parlare e lo fanno, tutti l’hanno fotografata e si vede, tutti l’hanno stimata alla stregue di Truman Capote e non se ne vergognano. Perché uno dei motivi per cui questo documentario arriva nelle sale e non finisce in versione streaming per soli addetti ai lavori, è che la formula – parlare di moda a chi non ha interesse- finalmente è riuscita grazie a un personaggio che tutti hanno subito indirettamente. Dietro alle icone i cui biopic tutti vedrebbero (sia Andy Warhol o Jacqueline Onassis) c’era la mano e l’occhio di questa donna bruttina, ricca, cresciuta a Parigi, forzatamente londinese, e poi newyorchese per sempre  che sta alla moda quanto Dorothy Parker è stata alla letteratura (e alle feste). Dalla boutique in cui vendeva intimo a Wallis Simpson fino ai party con Edie Sedgwick il percorso della Vreeland non ha lasciato superstiti: tutti hanno dovuto abdicare al suo personaggio, intenso ed elegante, chiassoso ma chic, che ha introdotto la Moda nelle conversazioni, che è stata columnist di Harper’s Bazaar e direttrice per dieci anni di quello che sarebbe diventata la colonna della moda americana, Vogue.

In quegli anni non si poteva fare a meno di sentire parlare di Moda come oggetto di discussione: Los Angeles aveva le celeb, New York deteneva la Moda e vestiva la politica, punto. Diane Vreeland sorriso ampio e carré nero presenziava le discussioni, e di certo non poteva mancare nel maestoso (auto)regalo che Vogue America si è fatto per i 120 anni della rivista con il libro edito da Abrams The Editor’s Eye. Più di un secolo di immagini di moda che raccontano quello  sforzo patinato, eccessivo e costoso che ha reso un giornale di moda in una rivista temibile. Immagini storiche e rivelazioni, nel libro ci sono regni, come quello durato 38 anni di direzione di Edna Woolman Chase, volti sconosciuti che sono dietro a rehab di attrici che neppure i più quotati agenti di Hollywood sono riusciti a rivendere (“metti la star in copertina e sancisci la sua seconda carriera”) e poi  c’è anche quella che tutti conoscono, Anna Wintour, che a suon di leggende si è immolata a direttrice più iconizzata della storia della rivista. Tutto è portato alla luce del giorno: il grande mistero della moda, dei vizi e dei capricci diventa, sommando bibbie e documentari, un puzzle accessibile, chiaro.

Prima di questa recente accoppiata (The Eye have to Travel e The Editor’s Eye) le strategie di una rivista, gli assetti e l’importanza del business moda all’interno del business mondo, erano stati dichiarati in The September Issue, documentario di R.J. Cutler realizzato nel corso della produzione del numero più importante di Vogue, quello di settembre appunto. Dentro ci sono tutti, ma proprio tutti, gli ingredienti di un grande romanzo: c’è la star in copertina Sienna Miller, sopra le righe e sguaiata che sembra entrata in un negozio di cristalli, c’è la rivalità in equilibrio tra abitudine e profonda stima tra Anna Wintour e Grace Coddington, creative director della rivista (colei che tutti hanno definito vera eroina del film) ci sono gli incontri con i buyer mondiali e i fotografi da record che scattano servizi deludenti. Soprattutto c’è tutto ciò  che dovrebbero sapere quelli che del circo di sfilate and co non hanno ancora capito il senso: economia e bellezza. E non era un caso  che pochi mesi dopo l’uscita di The September Issue un altro tassello di questo puzzle vedeva la luce. Ed era un documentario che ricorda molto l’affresco di Diane Vreeland ora nelle sale: era Bill Cunningham New York,  ritratto del primo  fotografo di streetstyle che bicicletta e casacca operaia blu fotografava le belle donne della città, vestite bene e spesso famose. Ancora adesso nell’imperante “thesartorialismo” che c’è, la sua autorevolezza mette tutti in discussione, lui che laureato ad Harvard, columnist del New York Times amatissimo da David Rockfeller, sfiorati gli 83 anni continua a essere cercato tra le folle di fotografi perché «tutte ci vestiamo per lui» asseriva Anna Wintour. Soldi, modelle e la ricerca spasmodica di realizzare lo scatto che passa agli annali: sotto il peso costante delle accuse di futilità e a-contemporaneità rispetto alle crisi di questi anni, la moda sembra giocare a carte scoperte, per quanto si continui a ignorarla.

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