Attualità

La lingua unica di Derek Walcott

È morto il poeta caraibico, premio Nobel nel 1992. Ha cantato come nessun altro le contraddizioni del colonialismo, di cui è stato vittima lui stesso.

di Davide Coppo

Omeros, l’opera-mondo di Derek Walcott, premio Nobel per la letteratura nel 1992, si conclude con due frasi singolari. La prima, la penultima del poema, è: «La luna piena brillava come una fetta di cipolla cruda». Per quanto sia doveroso elogiare la traduzione di Andrea Molesini, la potenza della lingua di Derek Walcott si manifesta nella forma originale: nell’inglese-creolo di St. Lucia, si legge: «A full moon shone like a slice of raw onion». La seconda e ultima frase spalanca invece una finestra, o una porta-finestra, o una porta-finestra su una spiaggia solitaria che è l’orizzonte della storia. Le seicento pagine del poema caraibico si concludono con: «When he left the beach the sea was still going on». In traduzione la frase diventa «il mare era ancora il mare», ma il «still going on» di Walcott ha implicazioni più eterne, difficili da tradurre in una lingua che non è la sua.

Da quando, venerdì pomeriggio, Walcott è morto, ho passato il fine settimana a sfogliare e rileggere i suoi libri, e i saggi a lui dedicati che studiai anni fa. È stato facile immergersi nella musicalità della poesia, anche dopo molti anni: i libri sono pieni di appunti, sottolineature, segnalibri, frecce, punti esclamativi. Il difficile è stato piuttosto districare, di nuovo, questa slavina di parole e immagini da cui mi sono, di nuovo, sentito travolto. Derek Walcott è un poeta violento. È anche un poeta musicale, un poeta pittorico, capace di creare immagini di straordinaria bellezza, è un poeta sinuoso, sa descrivere l’amore e il sesso con grande sensibilità, ma è soprattutto un poeta violento. La violenza di Walcott è tale perché violento è il modo in cui colpisce. Il grande tema della poetica di Walcott, l’eredità storica, culturale e umana del colonialismo, non può, probabilmente, essere trattata altrimenti.

Derek Walcott, a Boston University English profess

Nell’introduzione a Mappa del nuovo mondo, Josif Brodskij scrive: «Contrariamente a quanto si crede di solito, la periferia non è il luogo in cui finisce il mondo – è proprio il luogo in cui il mondo si decanta. È un fenomeno che riguarda la lingua non meno che l’occhio». Si arriva sempre alla centralità della lingua, quando si parla di Derek Walcott: il bagaglio più importante che rimane a lui, figlio di St. Lucia, erede di schiavi africani, reciso dalle radici ancestrali e scaraventato dall’Impero britannico in un arcipelago dell’oceano Atlantico, senza passato, senza tradizione, è quello delle parole. Il celebre identikit di Shabine in The Schooner Flight è quello dello stesso poeta:

I’m just a red nigger who love the sea ,
I had a sound colonial education,
I have Dutch, nigger, and English in me,
and either I’m nobody, or I’m a nation. 

(Io sono solamente un negro rosso che ama il mare, / ho avuto una buona istruzione coloniale, / ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese, / sono nessuno, o sono una nazione)

La poetica di Derek Walcott non si risolve, tuttavia, in un semplice atto accusatorio contro l’Inghilterra e il suo colonialismo. St. Lucia fu contesa anche dai francesi, viene chiamata “Helen of the West Indies”, in ricordo dell’Elena omerica, che passò di mano così tante volte. L’eredità rimasta di questi cambi di governo – anche questa abbondante, nelle vene di Walcott – è il patois dell’isola, di stampo francofono. Ma Walcott fu educato secondo la più tradizionale educazione inglese, e con la lingua inglese sperimentò, scrisse, e alla lingua inglese si legò in molti modi. La lingua era la più manifesta espressione della sua condizione paradossale: un uomo di razza mista, sia bianco che nero, africano e caraibico, inglese e francese. Nel saggio Classical Epic in a Postmodern World, lo studioso Joseph Farrell scrive: «In Omeros non c’è nessun nero o bianco, ma soltanto nero e bianco. Le sue radici non sono in Europa o Africa, ma necessariamente in entrambe. Di conseguenza, Omeros non può essere epica o romanzo; può soltanto essere epica e romanzo». La poesia “A far cry from Africa” si chiude su questa condizione:

The gorilla wrestles with the superman.
I who am poisoned with the blood of both,
Where shall I turn, divided to the vein?
I who have cursed
The drunken officer of British rule, how choose
Between this Africa and the English tongue I love?
Betray them both, or give back what they gave? 

(Il gorilla lotta con il superuomo. / Io, che sono avvelenato dal sangue di entrambi, / dove mi volgerò, diviso fin dentro le vene? / Io che ho maledetto / l’ufficiale ubriaco del governo britannico, come sceglierò / tra quest’Africa e la lingua inglese che amo? / Tradirle entrambe, o restituire ciò che danno?)

O ancora, nel Libro terzo di Omeros, la tratta degli schiavi, il rapimento di un popolo, il suono di famiglie e tradizioni e di storie spezzate risuona in questi versi:

So now they were coals, firewood, dismembered
branoches, not men. They had left their remembered
shadows to the firelight. Scratching a board 

they made the signs for their fading names on the wood,
and their former shapes returned absently; each carried
the nameless freight of himself to the other world.

(E ora erano carbone, legna, rami tagliati, / non uomini. Avevano lasciato le loro ombre / amate vicino alla luce dei falò. Grattando una tavola // incisero negl legno i loro nomi perduti, / e le loro antiche forme tornavano assorte; ciascuno / portava il proprio peso senza nome nel nuovo mondo)

61268ea9613c9c768b025faab9bbc101_w600_h_mw_mh_cs_cx_cyLa motivazione con cui l’Accademia di Svezia assegnò il Nobel per la letteratura a Walcott dicono: «Per un’opera poetica di grande luminosità, sostenuta da una visione storica, il risultato di una dedizione multiculturale», ma nel resto del comunicato stampa si legge un elogio delle molteplici sfaccettature della poetica di Walcott: «È un lavoro di incomparabile ambizione, in cui Walcott tesse i suoi diversi fili in un tessuto unico. La trama è ricca, e nasce dai molteplici contatti del poeta con la letteratura, la storia, il mondo reale. Troviamo Omero, Poe, Majakovskij e Melville, ci sono allusioni a Brodskij e citazioni da “Yesterday” dei Beatles». Come scriveva lo stesso Brodskij, Walcott «non è un tradizionalista né un “modernista”. A lui non si adatta nessuno degli “ismi” disponibili e degli “isti” che ne conseguono. Non appartiene a nessuna “scuola”: non ce ne sono molte nei Caraibi, se si eccettuano quelle dei pesci».

Il terzo capitolo del poemetto “The Schooner Flight” inizia con una delle frasi più citate del poeta caraibico: «I had no nation now but the imagination». Derek Walcott era un uomo-nazione, la sua identità consisteva nel non averne una precisa, o già riconosciuta: per questo la sua poesia non è stata catalogabile in nessuna scuola occidentale. Si è impossessato della lingua dell’impero e l’ha usata per descrivere i suoi orrori, e le sue contraddizioni, e le sue debolezze. Era l’unica cosa che avrebbe potuto fare, lo scrive sempre in “The Schooner Flight”: «That’s all them bastards have left us: words».

 

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