Attualità

Sadiq Khan, la sinistra e la “grande tenda”

«La sinistra parli con tutti, i nostri elettori naturali non sono abbastanza», ha scritto il nuovo sindaco di Londra. Per governare, dividere non basta.

di Federico Sarica

Di Sadiq Khan, il nuovo sindaco di Londra, si è scritto e letto molto negli ultimi giorni. Il primo cittadino di una delle più importanti città del mondo già di per sé fa notizia; se poi quest’ultimo è anche, come Khan, musulmano e figlio di immigrati pachistani, la notizia, giustamente, si amplifica. È infatti al suo credito religioso e alle sue origini che si è dato maggiormente spazio sui media di tutto il mondo; e non poteva essere altrimenti, vista la delicata e convulsa fase di integrazione e di migrazioni che il mondo, e l’Europa in particolare, stanno vivendo.

La vittoria di Khan, però, è significativa e rilevante anche per alcune ragioni strettamente politiche. Innanzitutto, è una vittoria che certifica un clamoroso insuccesso per la scelta dei conservatori di giocarsi il grosso della campagna elettorale sulla paura del diverso, sull’agitare il totem del sindaco musulmano e per questo in qualche modo subdolamente collegabile a estremisti e terroristi. Una rappresentazione goffa e stonata per una città da sempre votata all’apertura, che infatti non l’ha premiata. Nella capitale del Paese in cui conservatori sono al governo per il secondo mandato consecutivo, e in cui il modello della classe di governo di quel partito è stata a lungo una Big Society che includesse tutti, lo schema Salvini, o Trump, o Le Pen, ha clamorosamente fallito. E lo ha fatto in una situazione apparentemente favorevole, con gli immigrati a Calais, con il referendum sulla Brexit alle porte. Un dato non da poco, una lezione per i conservatori di tutto il continente.

L’altro dato non da poco, di contro, è tutto per i taccuini dei partiti di sinistra, a partire proprio da quello britannico. Quando Sadiq Khan ha vinto la nomination come candidato sindaco di Londra del suo partito, il Labour, lo ha fatto da sinistra (l’altro nome, per dire, era Tessa Jowel, già Segretario di Stato per la Cultura, i Media e lo Sport del governo di Tony Blair). E lo ha fatto in piena era Corbyn, da politico laburista di estrazione working class, figlio di immigrati e, appunto, musulmano. Tutto avrebbe fatto pensare a una campagna farcita di parole d’ordine molto di sinistra, tesa a scaldare i cuori dei militanti storici del partito, ad accentuare le differenze con gli elettori di destra, brutti cattivi e intolleranti.

«Gli elettori laburisti naturali non saranno mai abbastanza per vincere le elezioni»

Che non sarebbe stato così lo si è capito quasi subito, almeno da quando, nei primi tempi della sua campagna elettorale, Khan ha dichiarato di voler essere «il sindaco di Londra più pro-business di sempre». Domenica il nuovo primo cittadino ha scritto un editoriale sull’Observer nel cui passaggio chiave afferma che «il Labour deve essere una grande tenda, capace di attrarre chiunque, non solo i militanti. Le campagne elettorali che deliberatamente escludono determinati gruppi di elettori sono destinate a fallire. Esattamente come a Londra, i cosiddetti elettori laburisti naturali non saranno mai abbastanza per vincere le elezioni generali. Dobbiamo essere capaci di convincere le persone che la volta prima hanno votato dall’altra parte che il Labour è credibile in materia di economia e di sicurezza, tanto quanto lo è nel miglioramento dei servizi pubblici e nella creazione di una società più giusta». La grande tenda blairiana rivendicata, a poche ore da una vittoria storica, da chi blairiano di certo non era.

E ancora: «Da subito a Londra abbiamo avuto una strategia improntata a tutti e 32 i quartieri: ho speso la stessa quantità di tempo a Bromley, Richmond e nella City, come a Hackney, Southwark o Camden. Il mio slogan era “A Mayor for all Londoners”, un sindaco per tutti i londinesi. La politica non dovrebbe mai essere “picking sides”, scegliere una parte, noi contro di loro». «Tacking sides», per chi non lo sapesse, era proprio lo slogan scelto dal Labour di matrice corbynista.

Quando poche ore dopo, sugli schermi della Bbc, il giornalista Andrew Marr gli ha chiesto se quella fosse effettivamente una presa di distanza dalla linea tutta piegata a sinistra di Jeremy Corbyn, Khan ha confermato: «Il punto di quanto ho scritto era che il Labour deve essere una grande tenda, e se vogliamo essere noi a formare il prossimo governo dobbiamo parlare a tutti, non solo ai nostri. Io devo parlare con gli amministratori delegati, con quelli che la volta scorsa hanno votato conservatore, Ukip, o sono rimasti a casa».

Saper parlare a chiunque, essere credibili su tutti i temi, economia e sicurezza compresi, dialogare con le imprese, non ripiegarsi su se stessi, non disprezzare chi vota altrove, e non ripetere sempre le stesse vecchie formule del passato. Parola di Sadiq Khan. Musulmano, figlio di pachistani, working class, di sinistra, come avete già letto un po’ dappertutto. E ancora: vicino alle imprese che producono ricchezza, contemporaneo, pragmatico, non ideologico, convinto che la sinistra tradizionale, da sola, non basti a se stessa e soprattutto non basti ai paesi e alle città che si candida a governare. Ma questo lo leggerete in giro un po’ di meno.