Attualità

La città che ti racconta l’India

di Anna Momigliano

Ricordi di Gurgaon

La sola idea di una discoteca dentro un centro commerciale mi fa accapponare la pelle. Chiedo se non c’è qualcosa in programma per la serata tipo la jam session organizzata il giorno prima dagli studenti del St. Stephen’s college, dove la percentuale di universitari bellocci e musicalmente curiosi è insolitamente alta. La risposta è no, per questa volta non si può andare a Nuova Delhi perché con i monsoni e il traffico non ci sarebbe modo di ritornare: ci tocca rimanere a Gurgaon. E visto che di passare l’ennesima serata in casa di qualche figlio di imprenditore o architetto a ubriacarci di rum e coca guardando vecchie puntante di Goodness Gracious Me nessuno ha voglia, non c’è altro da fare: andiamo nella discoteca del centro commerciale. Che è ancora in fase di costruzione. Uno dei tanti che da queste parti spuntano come funghi, dove solo qualche anno prima pascolavano le vacche.

La musica è pessima e all’uscita, verso le cinque del mattino, inciampiamo – letteralmente – in un gruppo di una ventina di persone addormentate sul pavimento. Sono gli operai che lavorano alla costruzione del nuovo, scintillante centro commerciale. Quando mi accorgo di avere urtato per sbaglio una donna assopita, trasalisco. Ma la mia ospite non è per nulla sorpresa: “Don’t worry, that’s Gurgaon.”

Tornati a casa, in una villetta borghese a tre piani – una delle pochissime nell’area che non hanno colonnati greco-corinzi né altre oscenità pretenziose – ci accorgiamo che non c’è elettricità, e non ce ne sarà per diverse ore. “Bloody hell, that’s Gurgaon”.

Che cos’è Gurgaon

Sorta quasi dal nulla negli anni Novanta, Gurgaon è una città – o, meglio, un amalgama di compound, centri direzionali, abitazioni e centri commerciali caoticamente agglomerati tra loro – di quasi un milione e mezzo di abitanti a circa 30 chilometri a Sud di Nuova Delhi. Tecnicamente si trova nello Stato dell’Haryana, ma di fatto è inglobata nell’area metropolitana della capitale, una megalopoli di circa 14 milioni di persone. Gurgaon, dove abbondano i negozi di lusso oltre alle villette kitsch, potrebbe essere l’equivalente indiano della suburbia statunitense: una città fuori dalla città dove le classi medio-alte si rifugiano alla ricerca di ampi spazi e tranquillità per poi fare i pendolari. Se non fosse che di tranquillo a Gurgaon non c’è proprio niente.

E se non fosse che, oltre ai ricchi, ci vivono anche i poveri. Alcuni sono giunti dai villaggi per lavorare come servitù (un accessorio imprescindibile per gli indiani benestanti) nelle ville con i colonnati greco-corinzi, o come operai nei cantieri sempre aperti. Altri sono lì da prima, cioè da prima che Gurgaon fosse quell’inarrestabile amalgama che è oggi, quando c’erano ancora villaggi e capanne.

Nonostante il benessere che avanza, a Gurgaon c’è ancora una povertà proverbialmente indiana: no, non è questa la cosa che colpisce. Forse dovrebbe, ma siamo nel 2011 e abbiamo tutti più di 12 anni, o così presumo. Quello che colpisce, a Gurgaon, è che nonostante il benessere che avanza, nulla sembra funzionare come dovrebbe. Anche per i ricchi.

Perché vi parliamo di Gurgaon?

Questo pezzo, come molti altri, nasce da una chiacchierata su Skype. (Banale? Touché, ma ringraziate il cielo che sia tramontata l’era degli articoli che attaccavano con una conversazione su un taxi). Insomma, un amico inglese ed io stavamo chattando dei rispettivi viaggi in India. Lui aveva viaggiato a lungo per il Sud del Paese, Io ho viaggiato per il Nord ma ho avuto occasione di conoscere bene soltanto Gurgaon, terreno solitamente vergine per i turisti o reporter, che gli riassumo in una frase: “Ugly site, yet very eloquent in describing India’s transition.”

Il mio amico risponde che, coincidenza, aveva appena letto un articolo su Gurgaon recentemente pubblicato dal New York Times. E io che credevo che nessun giornalista occidentale avesse mai messo piedi a Gurgaon! Invece Jim Yardley del Nyt non solo c’era stato, ma aveva colto in pieno lo spirito del luogo. Anzi, ha scritto quello che avrei dovuto (beh, voluto?) scrivere io da un pezzo.

Gurgaon would seem to have everything, except consider what it does not have: a functioning citywide sewer or drainage system; reliable electricity or water; and public sidewalks, adequate parking, decent roads or any citywide system of public transportation. Garbage is still regularly tossed in empty lots by the side of the road.

With its shiny buildings and galloping economy, Gurgaon is often portrayed as a symbol of a rising “new” India, yet it also represents a riddle at the heart of India’s rapid growth: how can a new city become an international economic engine without basic public services?

Bella domanda, davvero. Mi chiedo come ho fatto a non pormela prima. La risposta, forse, è che ero troppo occupata a chiedermi come fare ripartire il generatore.