Attualità

La battaglia di Tempelhof

Da aeroporto di Hitler a immenso parco pubblico: storia di Tempelhof, uno dei simboli di Berlino e dei suoi cambiamenti.

di Cesare Alemanni

Mentre il 25 maggio gli europei dovranno scegliere se foraggiare ulteriormente il fronte antieuro, quasi tutta l’attenzione dei berlinesi sarà invece concentrata su un voto che deciderà le sorti di un parco. Anche se, data la sua storia, definirlo parco è in una certa misura sminuente. Il Tempelhofer Feld si trova infatti sul terreno di quello che un tempo era il più grande aeroporto di Berlino, nonché la più importante opera pubblica realizzata da Hitler in città, parte del piano per trasformare la capitale in Germania, centro assoluto di un mondo a trazione nazionalsocialista se la guerra fosse andata diversamente. Negli anni appena successivi al conflitto, da memento della megalomania del Reich a simbolo della resistenza di Berlino Ovest, per Tempelhof il passo è stato breve. Era infatti lì che atterravano gli aerei americani e inglesi, carichi di generi di prima necessità, quando, a partire dal 20 giugno 1948, i sovietici imposero il blocco ai trasporti via terra con un pretesto e gli alleati si trovarono a dover decidere se abbandonare anche l’Ovest della città al proprio destino o cercare di forzare l’embargo con un ponte aereo, durato un anno e mezzo e rivelatosi decisivo per il mantenimento del controllo sul Settore Ovest.

Se nei suoi primi anni, la vita di Tempelhof è stata quantomeno turbolenta – a un certo punto fu utilizzato anche come campo di concentramento nazista mentre, durante la Guerra Fredda, venne riconvertito a base militare americana, un uso testimoniato ancora oggi dalla presenza di un diamante da baseball per i soldati di stanza – è stato soltanto dopo la caduta del Muro che l’aeroporto ha conosciuto una relativa quiete, tornando brevemente solo alla destinazione d’uso per cui era stato costruito in primo luogo.

La sua posizione al confine tra i grandi quartieri di Schöneberg e Neukölln, con tutte le problematiche di sicurezza e inquinamento acustico che essa comportava, ha portato però alla sua definitiva chiusura nel 2008 quando ancora pareva imminente l’apertura di BER,  l’avanzatissimo nuovo aeroporto di Berlino Schönefeld il cui record di ritardi ha ormai contorni da barzelletta. È a quel punto (o meglio, poco dopo: nel 2010) che, su pressione della cittadinanza, con i suoi 300 ettari Tempelhof è divenuto il parco pubblico più esteso di Berlino, oltre che uno dei fattori decisivi nel processo di “gentrification” della vicina Neukölln, oggi il quartiere più chiacchierato della città.

Un parco piuttosto unico nel suo genere, dovrei aggiungere, dato che la pressoché totale assenza di alberi e il mantenimento delle enormi stringhe d’asfalto che un tempo erano le piste d’atterragio e di decollo, lo rendono non solo il luogo ideale per ogni genere di attività all’aperto ma anche un’esperienza visiva esotica e vagamente metafisica. Caratteristiche che lo hanno reso uno dei luoghi più amati e frequentati da berlinesi vecchi e nuovi, nonchè una casa per alcune specie animali protette.

Ovviamente un terreno inutilizzato di quelle dimensioni è un invito a banchetto per urbanisti e developer

Ma, ovviamente, un terreno inutilizzato di quelle dimensioni, nel cuore di una città in costante sviluppo e che prevede l’arrivo di 250.000 nuovi residenti nei prossimi 15 anni, è un invito a banchetto per urbanisti e developer. Ed è così che, sette anni fa, in seno al governo cittadino è nata l’idea di destinare l’area alla costruzione di 4700 nuove unità abitative e di una enorme biblioteca pubblica da 3.200 posti, che «rivaleggerà con il Centre Pompidou di Parigi» secondo il senatore alla Cultura di Berlino André Schmitz. Secondo i suoi detrattori la biblioteca non sarebbe altro che una copertura per nobilitare le colate di cemento in arrivo, un vanity project del sindaco in persona, la grande opera che Klaus Wowereit sognava da tempo di lasciare in dono alla città in calce ai suoi tre mandati consecutivi. A ogni modo il preventivo per il progetto è di 300 milioni di euro ma, dato che il costo totale del nuovo BER ha ormai sforato di tre volte quello iniziale, i più dubbiosi temono che anche in questo caso il conto finisca per essere molto più salato.

Economia “domestica” a parte, essendo Berlino una città in cui le “imposizioni” dall’alto quasi mai vengono accettate passivamente, specie quando si tratta di qualità della vita ed ecologia, non appena le intenzioni del Comune sono divenute pubbliche è scattata una mobilitazione che in pochi pochi mesi ha raccolto 185,000 firme per bloccare il progetto, 10.000 in più del minimo necessario per indire un referendum. Referendum che appunto si terrà il 25 maggio in concomitanza con le elezioni europee, il secondo in sei anni a riguardare Tempelhof dopo quello del 2008 che decise della sua chiusura come aeroporto.

Se quel giorno un quarto dei berlinesi aventi diritto di voto risponderà “sì” alla domanda “volete che Tempelhof resti un parco?”, l’intervento edilizio verrà messo in ghiaccio a tempo indeterminato, creando non pochi grattacapi a tecnici come Manfred Kühne, capo del dipartimento di pianificazione urbana di Berlino, che ha dichiarato: «Per la prima volta in 10 anni, il Comune ha i soldi per costruire nuove abitazioni a buon mercato e rischiamo di trovarci a non avere più il terreno su cui costruirle. E dire che avevamo acquistato l’aeroporto dal Governo Federale con l’idea di renderlo una zona di sviluppo economico, dato che ci serve un polo per nuove abitazioni e nuove imprese. Se non potremo costruirlo a Tempelhof dovremo costruirlo molto più “fuori mano”, costringendo le persone a viaggiare molto di più per raggiungere i loro posti di lavoro».

Le recenti vicessitudini di Tempelhof e la spaccatura che hanno prodotto sull’opinione pubblica rifllettono i numerosi processi in corso nella capitale tedesca. Da una parte della barricata c’è il Comune, che sottolinea come più della metà delle abitazioni costruite a Tempelhof saranno messe sul mercato a prezzi abbordabili alla classe media e insiste sulla vitale importanza di costruire nuovi condomini (si parla di 10.000 appartamenti all’anno da qui al 2030) e nuovi spazi di lavoro, per affrontare l’emergenza abitativa creata dall’arrivo di nuovi “berlinesi” da tutta Europa. Dall’altra parte, invece, ci sono quelli che già abitano qui da più o meno tempo e che si dividono tra quanti temono le speculazioni, i rincari e lo stravolgimento della zona e quanti semplicemente non sono disposti a veder sparire un “posto speciale” per fascino e storia.

Nel solco di questa controversia si incontrano le contraddizioni di una città che non ha ancora chiaro cosa vuole fare “da grande”

Nel solco di questa controversia si incontrano tutte le possibili contraddizioni di una città che non ha ancora del tutto chiaro cosa vuole fare “da grande”. Se vuole assecondare la propria natura socialista e rimanere quindi un luogo in cui anche i meno abbienti si possono permettere di vivere a distanze ragionevoli dai suoi centri o se vuole seguire la traiettoria di sviluppo di altri grandi capitali occidentali, come Londra o New York, le cui aree di pregio non sono neppure lontanamente avvicinabili a chi si trovi al di sotto di un certo, cospicuo reddito.

Perché se è vero che l’emergenza abitativa è una realtà e che, venticinque anni dopo la caduta del Muro, persino a Berlino gli spazi cominciano a scarseggiare, secondo i sostenitori del referendum lo è altrettanto che – in quartieri centrali come Mitte e Prenzlauer Berg – questo stesso argomento è stato utilizzato in passato per lasciare le mani libere alla speculazione, col risultato che in alcune aree il costo degli immobili è raddoppiato negli ultimi tre anni. Come ha dichiarato a Bloomberg Cristoph Breit, tesoriere dell’organizzazione che ha avviato la raccolta firme: «La sfiducia dei berlinesi nel loro Senato ha una lunga storia e questo perché i politici hanno una lunga storia di dichiarare una cosa e poi farne un’altra».

Il caro-affitti è temuto a tal punto che, per evitare che accada lo stesso a Pankow, un distretto popolare a nord di Prenzlauer Berg, gli amministratori locali sono dovuti ricorrere a misure preventive, come vietare ai privati il genere di modifiche strutturali degli edifici (aggiungere balconi, accorpare appartamenti) che di solito ha il solo scopo di farne crescere il valore. In tutto questo, oltretutto, a dispetto di previsioni di crescita ottimistiche, non bisogna dimenticare che Berlino resta una città sostanzialmente povera o quantomeno più povera della media tedesca. Una città che «non può digerire un ulteriore aumento degli affitti, semplicemente perché la sua situazione economica è peggiore di quella di Monaco o Amburgo e i berlinesi non hanno quel genere di salario che gli permette di comprare casa», come ha dichiarato, sempre a Bloomberg, Reiner Wild, capo dell’ “associazione degli inquilini” di Berlino.

È probabile che i nuovi appartamenti costruiti a Tempelhof finiranno nelle mani di nuovi arrivati abbienti

Anche per questo, come temono alcuni critici del progetto, è altamente probabile che i nuovi appartamenti che eventualmente verranno costruiti a Tempelhof, più che nelle mani di berlinesi vittime dell’aumento dei prezzi in altre aree della città, finiranno in quelle di nuovi arrivati abbienti o in quelle di capitali stranieri, provenienti soprattutto da aree Euro in crisi, qui in cerca di investimenti abbordabili ma redditizi.

D’altro canto però – e chi scrive è un sostenitore della linea parco ­– bisogna onestamente ammettere che uno degli argomenti utilizzati dai “resistenti”, ovvero quello ambientalista che vede nella tutela di Tempelhof la protezione di un polmone verde (che poi così verde non è, essendo perlopiù spoglio di alberi), pare fragile. Specie di fronte a un progetto che comunque non intende soppiantare del tutto il parco, bensì costruire solo su alcune aree perimetrali, e in una città dove i parchi di dimensioni sconfinate non si contano.

Così come non si può omettere che, a onore del vero, alcune delle persone che a parole si battono per la causa di Tempelhof e per il proprio diritto a un “posto speciale” dove passare le domeniche pomeriggio d’estate, sono le stesse che vivono nell’adiacente Neukölln e hanno indirettamente contribuito all’emergenza abitativa, all’incremento degli affitti nell’area e allo sfratto di precedenti inquilini a reddito più basso, costringendoli a trasferirsi in periferie sempre più distanti. Le stesse persone che, forse, tra qualche anno lasceranno la città per nuove mete o che, invecchiati e migliorate le loro condizioni economiche, cercheranno (e magari troveranno proprio a Tempelhof ) appartamenti di maggiore pregio in zona.

Come si ve le contraddizioni, gli opportunismi e le piccole ipocrisie di entrambi gli schieramenti, in questa vicenda, spuntano a ogni angolo, proprio perché, come si diceva poco fa, non è ancora chiaro cosa voglia fare Berlino “da grande”, quali siano le vere priorità della sua cittadinanza e dei suoi amministratori. Ed è per questo che, comunque vada, il risultato del referendum fornirà indicazioni importanti, più generali che particolari, su ciò che Berlino vuole per il proprio futuro.

Nell’immagine in evidenza: ciclisti a Tempelhof l’11 settembre 2011. (Sean Gallup / Getty Images)