Attualità

In & out

Outing e non-outing. L'anonimo blog che promette (domani) di pubblicare i nomi dei politici gay-ma-omofobi

di Alberto Piccinini

Segno dei tempi, la Figu di oggi riguarda un altro anonimo come il Kansas City 1927 dell’altra volta. O forse altri anonimi. Ho letto persino che dietro il blog «lista outing»  potrebbe esserci Anonymous, il gruppuscolo hacker che da un po’ di tempo sbeffeggia banche e polizie postali di mezzo mondo. Perché no? Io la Lista Outing la sbircio ogni giorno da una settimana. Anche se è ancora vuota. C’è una schermata con i colori della bandiera arcobaleno e la minaccia – forse ne avete già sentito parlare – di svelare alle dieci del mattino del 23 settembre (domani!) i nomi di dieci politici italiani omosessuali e, soprattutto, omofobi.

C’è tutto il meglio (e il peggio) della Rete in questa storia. Siamo o non siamo nel tempo dell’antipolitica, del tutti a casa, del grillismo e del dipietrismo? Siamo o non siamo nel tempo delle intercettazioni telefoniche? – e non apro il capitolo, ci siamo già capiti. E allora? Allora i volti più noti del movimento gay italiano (Paolo Patanè di Arcigay, Franco Grillini, Paola Concia…) hanno immediatamente sconfessato la pratica dell’outing in quanto – riassumo – ingranaggio della macchina del fango, vecchio arnese spuntato, attentato alle libertà personali, eccetera. Solo Aurelio Mancuso di Equality Italia ci ha messo la faccia, spiegando che un’azione di outing lui l’aveva proposta all’indomani del fallimento della legge anti-omofobia, e che qualcuno l’ha preso in parola.

Subito dopo Ivan Scalfarotto del Pd si è dimesso da Equality Italia con l’argomento che l’«outing», al di là dell’«effimera soddisfazione», non serve a niente e non produrrebbe niente di concreto. Ma quel che succede intanto un po’ più sotto, nello spazio dei commenti, è altrettanto interessante: decine e centinaia di persone (gay probabilmente ma non solo) stanno lì a urlare che sì, che non vediamo l’ora di un bell’outing, che tanto peggio tanto meglio, e tutto il resto – riassumo ancora – è segno di imborghesimento, di politicismo, di quieto vivere, di pavidità istituzionale del movimento. In nome di cosa, poi? Né i Dico e tantomento la legge antiomofobia sono passati in Parlamento. A che è valso – sembra dire il popolo delle Rete – il lungo cammino delle organizzazioni gay nelle istituzioni e nei partiti?

Su googlebook, se volete, potete trovare il testo completo di un vecchio classico teorico dell’«outing»: «Queer in America», 1993. Il giornalista e attivista gay Michelangelo Signorile che lo ha scritto, racconta i retroscena della sua rubrica Gaywatch tenuta alla fine degli anni ’80 su «Outweek magazine» (e anche di questa sono rimasti gran parte dei testi). Signorile, allora trentenne, sbeffeggiava pesantamente i columnist di costume, gay o lesbiche velate, che continuavano a perpetuare l’omofobia raccontando favole di fidanzamenti eterosessuali che riguardavano attori, uomini di potere, politici omosessuali. Ce l’aveva in particolare con Malcolm Forbes, il miliardario. Più ancora ce l’aveva con le giornaliste e i giornalisti gay che avevano raccontato con dovizia di particolari il finto flirt tra Forbes e Liz Taylor.

Sullo sfondo di quella battaglia c’erano le conseguenze del diffondersi dell’Aids sull’immaginario e sulla politica americana di allora, il generale conservatorismo e perbenismo reganiano. C’era anche un appello, molto anglosassone, al ruolo della stampa. Se ti pieghi a ripetere quello che ti dice il p.r. di un attore gay – sosteneva semplicemente Signorile – allora non stai facendo giornalismo. E non lo chiamava «outing» (fu invece «Time» a coniare il termine), ma semplicemente «uguaglianza». Nessun giornalista, diceva, si ferma davanti ai legami sentimentali (eterosessuali) di una persona pubblica, se questo è una notizia; dunque non bisognerebbe fermarsi neppure davanti agli eventuali legami omosessuali in nome del rispetto della privacy. E’ una questione di uguaglianza.

A proposito di politici, cito ancora le parole di Michelangelo Signorile: «In molti casi – quelli in cui una persona gay usa un ruolo di responsabilità governativa per decidere a sfavore dei gay – tacere la sua omosessualità da parte dei media significa censurare forse la parte più significativa della notizia, essendo collusi con il soggetto e con il governo in questa decisione. In nessun altro caso i media nascondono informazioni che, benché siano di natura personale, hanno un legame diretto con la notizia». Non aveva tutti i torti, anzi.

Noto di sfuggita che nei rotocalchi italiani (e, credo, planetari) il racconto dell’omosessualità non è cambiato granchè dai tempi di Signorile. Salvo il fatto che ormai la messa in scena è molto più scoperta. Sappiamo, almeno, che è una messa in scena. Sappiamo ma, come si dice della fiction, sospendiamo l’incredulità. Negli ultimi anni poi, con l’apparizione di Chi? nelle edicole italiane il gioco del gossip è diventato troppo pesante, troppo scopertamente politico, perdendo inevitabilmente il gusto camp che poteva avere ai tempi di Novella 2000 e Eva tremila. Da Signorile a Signorini. Nelle intercettazioni telefoniche pubblicate a tonnellate in questi giorni c’è soltanto un mezzo outing (e la cosa già pare incredibile). Riguarda Manuela Arcuri e Francesca Lana, già paparazzate su Chi? in un servizio lesbo-soft uscito pochi mesi prima della telefonata tra Berlusconi e Tarantini che cerca di organizzare «una cosa a due» con le due. Evidentemente B. aveva letto Chi. Risposta della Arcuri: ‘minimo per quello ci deve .. se dovessimo fare una cosa del genere, ci deve già avere il contratto davanti firmato’.

Infine, sull’eventuale privacy violata di chi non vuol rendere pubblica la propria omosessualità (pure con argomenti condivisibili tipo «la mi sessualità non mi definisce»), Signorile aveva le idee chiare: ad un giornalista di gossip gay diceva che la sua onorabilità, rispettabilità e il successo professionale costruiti grazie al fatto di tenere nascosta la propria omosessualità era a scapito delle «lesbiche del Bronx» stuprate e picchiate quando tornavano a casa vestite da camioniste. L’argomentazione, ancorchè un po’ populista, ha una sua forza. E dobbiamo ancora a Signorile l’interessa concetto di «omofobia politica». Che non riguarda come sembrerebbe i «cattivi» della storia, ma riguarda quei politici, gay e non gay, che pur essendo a favore dei diritti gay sono convinti che qualunque mossa in questo senso potrebbe danneggiarli dal punto di vista elettorale, e dunque non agiscono come dovrebbero. Ricorda qualcosa?