Attualità

Il Grande e Potente Oz

È uscito il nuovo capitolo della "saga" di Oz. Un'occasione per rivedersi il classico originale e l'episodio anni '80, "dimenticato" e inquietante.

di Federico Bernocchi

Il dato incontrovertibile è di carattere numerico. Nel suo primo fine settimana di programmazione Il Grande e Potente Oz ha incassato moltissimo al botteghino. Parliamo di ben 80,3 milioni di dollari solo sul territorio americano, cifra che l’ha trasformato nel terzo incasso di sempre per un film nel mese di marzo. Apprezzate e godete della straordinaria precisione di questo risultato. Per la cronaca i primi due risultati di marzo sono The Hunger Games (152,5 milioni) e Alice in Wonderland (116,1 milioni). Due titoli molto forti produttivamente, che ci aiutano a capire come il mese di marzo sia un mese chiave per la distribuzione americana e mondiale.

In questo senso è esemplare l’incipt di questo suo nuovo film, girato in digitale ma con l’aspetto di una vecchia pellicola Super8 millimetri in bianco e nero (come venne girato anche l’inizio del film de Il Mago di Oz del 1939).

Il Grande e Potente Oz nel resto del mondo, ovvero negli altri quarantasette paesi in cui è uscito, s’è portato a casa 69,9 milioni di dollari. In Italia ha aperto con un risultato buono, ma non esaltante: poco meno di 3 milioni di euro. Certo, è in testa al box office nostrano e stacca il secondo film in classifica, il povero Il Lato Positivo – Silver Linings Playbook lanciato malissimo e doppiato peggio, di più di un milione e mezzo di euro, ma è anche vero che a vedere Oz ci vanno i bambini accompagnati dai genitori e quindi i biglietti venduti sono quasi il doppio. È la crisi, bellezza. Che cosa ci vuoi fare? Insomma, Sam Raimi, regista di questo film prodotto dalla Disney, quel regista a cui vogliamo bene da una vita e che sembrava essere rimasto schiacciato dal sistema produttivo grazie alla miopia che la Sony ha dimostrato nella produzione dei suoi Spider-Man, è riuscito a rimettersi in sella e anzi a fare la voce grossa. Il merito è sicuramente suo: Il Grande e Potente Oz è un film per bambini, un prodotto nato e pensato per fare soldi, ma allo stesso tempo è anche in grado di far apparire tutta la straripante personalità del regista. Sam Raimi, al pari di Joe Dante, è un cantore di una certa nostalgia cinematografica. Per loro, anche in contesti produttivi alti o ricchi, il cinema rimane un mezzo di espressione quasi artigianale, nel quale la tecnologia lavora in funzione della fantasia. In questo senso è esemplare l’incipt di questo suo nuovo film, girato in digitale ma con l’aspetto di una vecchia pellicola Super8 millimetri in bianco e nero (come venne girato anche l’inizio del film de Il Mago di Oz del 1939). Qui l’effetto speciale portante di questa sua nuova pellicola, ovvero il 3D, riesce ad essere (meglio: a tornare ad essere) stupefacente: l’effetto speciale esce dai confini del fotogramma, sfonda il vecchio rapporto della pellicola andando ad invadere quelle due ingombranti bande nere ai lati. Se si vuole cercare la presenza di un regista come Raimi in un prodotto del genere sta tutta qui, nell’evidenza del Cinema, nella sua primitiva magia, incarnata anche nel vaudeville in cui è ambientato tutta la prima sequenza. In questo, nel suo mostrare la Strega cattiva come un’ombra e soprattutto nell’idea che sia proprio il meccanismo cinematografico a salvare il regno di Oz e far diventare un semplice imbonitore da circo un grande Re, sta il fascino del nuovo film di Raimi. È indubbio che il film poi abbia qualche difetto ma, soprattutto se paragonato al già citato Alice in Wonderland di Burton, ha una sua precisa poetica e mette in evidenza un Autore e non un esecutore piegato all’idea del film per bambini. Una poetica che Raimi ha sempre messo in ogni suo film: dall’horror di La Casa o di Drag Me To Hell, al western di Pronti a Morire, passando per il supereroistico (più per Darkman che Spider-Man). Una presa di posizione filosofica quella di Raimi, in linea con gli altri due grandi film tratti o ispirati dagli scritti di L. Frank Baum.

Come sapete, quest’ultimo film è un prequel: qui si racconta della prima volta che Oz giunse nel suo regno e di come diventò Re. Cronologicamente Il Grande e Potente Oz, si pone dunque prima de Il Mago di Oz, il famoso film diretto da Victor Fleming nel 1939, quello con Judy Garland che canta “Somewhere Over The Rainbow”. Ma forse non in molti si ricordano che esiste anche un seguito del film di Fleming. Nel 1985, sempre per la Disney, uscì nella sale Nel Fantastico Mondo di Oz, scritto e diretto da Walter Murch. Il nome forse non dice molto, ma parliamo di un uomo che ha montato film come Apocalypse Now, ha curato il suono de Il Padrino – Parte II e ha scritto insieme a Lucas, il suo esordio dietro la macchina da presa, L’Uomo che Fuggì dal Futuro. Un vero uomo di cinema che decide dopo tanta gavetta di provare a fare il regista con il seguito di uno dei film più famosi, citati, importanti di tutta la golden age hollywoodiana. Si era in quello strano periodo in cui la Disney stava sperimentando altre strade: dal punto di vista dell’animazione s’era deciso di investire in Taron e la Pentola Magica, forse il più grande (e ingiusto) insuccesso della casa di produzione e per quanto invece riguardava i film live action, si da spazio a Murch e alla sua folle idea di dare un seguito a Il Mago di Oz. Il budget è importante e si vede, lo sforzo produttivo c’è tutto, ma è anche evidente che si tratta di una pellicola totalmente fuori target. All’epoca avevo otto anni e passavo tutto il mio tempo libero al glorioso Cinema Arti di Milano, all’epoca Nuovo Arti – Casa Disney, una sala dedicata alla programmazione per bambini con un contratto esclusivo con la casa di produzione americana. Ovviamente non mi lasciai sfuggire quel film e addirittura mi feci comprare da mia madre uno di quei libri dove viene raccontato a mo’ di fotoromanzo, grazie a delle fotografie della pellicola. E ancora oggi lo ricordo, visto che si stratta di uno dei film più terrorizzanti che abbia mai visto. A rivederlo oggi fa impressione pensare che all’epoca uscì pubblicizzato come un prodotto per bambini con tanto di merchandising e benestare della Disney. Se cercate in rete troverete un bel po’ di pagine dedicate al film e tutte lo indicano come uno dei film più inquietanti del periodo.

Tutto è putrescente: Dorothy si risveglia nel Deserto della Morte, la famosa yellow brick road è una strada dissestata fatta di mattoni rotti, la città è piena dei vecchi pietrificati vivi e tutto quello che un tempo era sfavillante oggi è opaco e ricoperto di polvere. Come se l’immaginazione di Dorothy (e la nostra) si fosse bloccata, fosse deperita.

La storia è questa: Dorothy, qui interpretata da quella Fairuza Balk che poi ritroveremo cresciuta in film come Giovani Streghe, American History X o nell’orrido L’Isola Misteriosa, è tornata dal suo viaggio ad Oz e si trova in Kansas, nella casa della vecchia zia Emma (Piper Laurie). La casa è diroccata a causa della tromba d’aria che la devastò nel primo film e nell’aria si respira una tristezza senza precedenti. I vecchi studi di Hollywood del primo film sono sostituiti da esterni spogli e deprimenti, lo zio di Dorothy non ripara la casa perché passa le giornate (presumibilmente ubriaco) seduto su una sedia a dondolo e, quel che peggio, tutti considerano la bambina una povera pazza. D’altra parte come reagireste voi se la vostra nipotina, dopo essere svenuta a causa di un tornado, parlasse solo di una terra magica in cui gli animali parlano, esiste una strega cattiva e strani esseri come L’Uomo di Latta o lo Spaventapasseri? Non sapendo più come comportarsi, gli zii decidono di spedire la bambina in un ospedale dove, a soli due mesi dall’inizio del 1900, si comincia ad utilizzare l’elettroshock come cura per i disturbi mentali. E qui succede l’inaspettato. Proprio mentre la bambina si trova legata a una barella, con due elettrodi applicati alle tempie, un fulmine colpisce la clinica, spegnendo tutti i macchinari. Dorothy, accompagnata da una misteriosa bambina bionda che nessun altro sembra vedere, riesce a scappare dall’ospedale e finisce a bordo di una zattera improvvisata in un fiume durante una terribile tempesta. Si risveglierà, in compagnia di una gallina parlante, nel Regno di Oz. Solo che gli anni sono passati anche a Oz e la splendente Città di Smeraldo è oggi una rovina totalmente fatiscente che odora di morte lontano un miglio. Tutto è putrescente: Dorothy si risveglia nel Deserto della Morte, la famosa yellow brick road è una strada dissestata fatta di mattoni rotti, la città è piena dei vecchi abitanti di Oz pietrificati vivi e tutto quello che un tempo era sfavillante oggi è opaco e ricoperto di polvere. Come se l’immaginazione di Dorothy (e la nostra) tra il 1939 e il 1985 si fosse bloccata, fosse deperita. Oz non è più un mondo felice, fantasioso, dove anche gli aspetti più oscuri o spaventosi hanno una loro perversa allegria. In questa nuova versione, Oz è un posto macabro, che ricorda un vecchio Luna Park che sta per essere dismesso. Gli unici abitanti della Città di Smeraldo sono gli inquietanti “ruotanti”, dei pagliacci con braccia e gambe dotati di rotelle, al soldo della Strega Cattiva. E se già i rotanti mettono paura, quest’ultima è evidentemente uscita da un film dell’orrore: vive da sola in un enorme castello pieno di specchi e ha una stanza enorme dove conserva tutte le sue teste. Già, la Strega Cattiva è solo un corpo che deambula alla cieca, ma che ha poi la possibilità di “montarsi” una testa quando vuole. La cosa più orribile è che queste teste, che vengono conservate in piccole teche di cristallo, sono vive anche quando sono a riposo. Insomma, il tono come abbiamo detto è funereo e orrorifico. Ma non è tutto qui.

Come dicevamo prima, per il lavoro fatto da Raimi sul testo e sull’immaginario di Baum, la tecnologia, l’effetto speciale rimane a servizio della narrazione. Anche per Murch è così: adattando molto liberamente dei racconti di Baum (il racconto Ozma, Regina di Oz e il libro The Marvelous Land of Oz: Being an Account of the Further Adventures of the Scarecrow and the Tin Woodman), si riempie il film di effetti speciali meccanici o visivi (ovviamente non c’è nulla di digitale), ma tutti funzionali e a servizio alla storia. Ed è qui che Nel Fantastico Mondo di Oz diventa ancora peggio di quello che abbiamo detto fino ad ora. Quello che viene suggerito nel vecchio film di Fleming, ovvero che Oz sia una facile trasposizione della fantasia della bambina dove la vicina di casa cattiva e brontolona diventa la Strega Cattiva, qui si osa di più. La fantasia non è solo un terreno di gioco, ma una autocensura del cervello per delle serie patologie mentali. Anche se il finale sembra non aver trovato il coraggio di arrivare fino in fondo, quello che appare chiaro a una visione più smaliziata del film è che Dorothy è in grado di crearsi un mondo artificiale dove riesce a far confluire tutte le sue ossessioni e paure. L’elettroshock c’è stato eccome, ma il cervello di Dorothy l’ha salvata all’ultimo, riportandola nel suo mondo fatato per evitare di fare i conti con la tragedia. La sua follia l’ha portata in un luogo altro in cui tutto, anche le cose peggiori, assumono contorni e forme fiabeschi. Lo sdoppiamento della mente della bambina è poi evidente nel momento in cui incontra Ozma (la bambina bionda che nessuno sembra vedere) nello proprio riflesso allo specchio: una bambina dal volto triste che chiede aiuto per poter tornare “dall’altra parte”. Insomma, Nel Fantastico Mondo di Oz è un film realmente multilivello che non ha nessun timore nel toccare temi piuttosto profondi, camuffandoli in una pellicola per bambini. Recuperatelo appena potete. Perché, anche se ne uscirete distrutti, vale (per tutti e tre i film) quello che dice la didascalia posta all’inizio del vecchio film del 1939: «Questa storia ha reso un buon servizio a tutti i giovani di cuore. E il tempo non è riuscito a far sfiorire la sa garbata filosofia. A tutti coloro che continuano ad amarla e ai giovani di cuore, noi dedichiamo questo film».

 

Immagine: una scena de Il Grande e Potente Oz (2013)