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03:35 mercoledì 10 dicembre 2025
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.
Dopo il furto dei gioielli, ora il Louvre è nei guai a causa delle infiltrazioni di acqua e degli scioperi dei dipendenti Le infiltrazioni hanno danneggiato 400 documenti della biblioteca del Dipartimento delle antichità egizie, confermando i problemi che hanno portato i lavoratori allo sciopero.
Le cose più interessanti dei Golden Globe 2026 sono The Rock, i film d’animazione e i podcast Più delle candidature per film e serie tv, queste categorie raccontano come sta cambiando l’industria dell'intrattenimento oggi.
Quentin Tarantino ha detto che Paul Dano è un attore scarso e i colleghi di Paul Dano hanno detto che Quentin Tarantino farebbe meglio a starsene zitto Tarantino lo ha accusato di aver “rovinato” Il petroliere, definendolo «un tipo debole e poco interessante».
Già quattro Paesi hanno annunciato il boicottaggio dell’Eurovision 2026 dopo la conferma della partecipazione di Israele Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato la loro intenzione di boicottare questa edizione se davvero a Israele verrà permesso di partecipare.
Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.

Il cowboy operaio

I 501 compiono 140 anni. Perché i jeans tornano sempre, non cambiano mai e spesso sono gli unici a convincere circa il concetto di unisex.

19 Marzo 2013

Si è giustificato anche a Woody Allen l’aver indossato jeans dall’improbabile vita altissima e zampa tanto enorme da anticipare il passo successivo. John Travolta, invece,  prima dei brevetti aerei incontrava l’ossessione per quel minuscolo paio con fondoschiena scolpito da tasche squadrate. Esempi, questi, di come non ci sia necessariamente bisogno di grandi icone della sensualità cinematografica per rendere omaggio ai jeans.
Loro, i jeans, l’omaggio se lo fanno da soli da più di un secolo. Che sia Allen o Travolta il jeans nasce per essere democraticamente bello, saggiamente sensuale, rispettosamente economico.

Chiunque lo indossi può prendersi i meriti di portarlo bene, anche chi lo indossa “casual friday” in orario d’ufficio; tutti sono perdonati quando a muovere un acquisto improbabile è la necessità di un nuovo paio di jeans. I jeans sopravvivono alle mode cambiando aspetto ed estremizzandone i capricci. E quindi enormi zampe d’elefante o striminzite caviglie zippate a seconda di come tirino i tempi (di crisi non se ne parla, per il denim).

Ben Affleck, poi, insegna: in un film come Argo, coperto di Oscar, politicamente “preciso”, anche i costumi di scena dovevano concorrere al ruolo da “americano molto teso”, ovvero la camicia di jeans sdrucita ma non troppo con il colletto sgualcito e i bottoncini di metallo madreperlati.
Era da un po’ che il denim non impregnava uno schermo cinematografico.

Oversized, skinny, hot pants inguinali:  in molti devono la loro carriera a quelle pezze di tessuto nato per la working class e poi diventato – per assurdo – simbolo del tempo libero, lontanissimo da fabbriche e timbrature. Ma, nonostante la pioggia di seconde linee nate in seno a grandi maison per giustificare fatturati dorati per il tempo libero, pochissimi modelli hanno centrato l’obiettivo di insinuarsi nei guardaroba quotidiani per diventare rispettabili “pezzi sotto” di blazer e camicie.
L’emblema che supera qualunque selezione e giudizio è il 501, meglio se nero. Raro trovare altrove un passpartout simile, capace di restare discretamente al suo posto e, contemporaneamente, concedere comfort per dodici ore di fila. Forse la perfezione di questa formula (numero+colore) risiede nel fatto che il 501 non ha un’epoca di riferimento. Per quanto abbia 140 anni.

Nel 2013 infatti Levi’s festeggia i 140 anni di quel pezzo da novanta che ha continuato a macinare esemplari nonostante le ondate di skinny grigio fumo di Londra (altamente richiesti per le troppe comparsate di Kate Moss), oppure in grado di restare nell’ombra quando i diabolici anni Zero erano ossessionati dalle forme enormi e vite bassissime. La nascita di un mito è in pochi atti: il 501 deve il suo nome al lotto con cui erano distinti questi pantaloni da lavoro dopo che Levi Strauss e il sarto Jacob David ottennero l’U.S. Patent and Trademark Office. E per anni non ci fu brevetto più longevo.
Il gioco è basico, forse perché nato per semplificare la vita delle persone: vita che si “appoggia” sui fianchi, gamba dritta, ma davvero, passanti per cinture da cowboy, ma non così vistosi in caso nessuno frequenti più il rodeo. E poi le cinque tasche, inutilizzate ora, usatissime quando le monete finivano in quella più piccola, oggi meandro sconosciuto. Un modello che non conosce le epoche neppure quando si trova a diventare simbolo blockbuster nella scena cult di Ritorno al Futuro.

Un jeans che vestiva Ted Kennedy e Jim Morrison contemporaneamente. Oggi può metterlo Obama ed essere indossato da Ryan Gosling senza alcuna differenza sostanziale e di forma. Non è un caso che Time lo dichiari, semplicemente, il capo del secolo.

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