Attualità

Igor il russo: una storia orale

L'uomo che ha terrorizzato il ferrarese visto e raccontato da chi ha lasciato la provincia. Un racconto in cinque atti.

di Francesco Bolognesi

Questo ritratto di Igor Vaclavik, noto anche come “Igor il russo”, fa parte di “Studio estate”, serie di ritratti di personaggi e di luoghi da scoprire e riscoprire durante le vacanze d’agosto. Potete leggere gli altri articoli della stessa serie qui. 

Prima 

Ho il braccio steso lungo un tavolino, da un ago e poi da un tubicino sta passando il mio sangue. È diretto in tre fiale per delle analisi preoperatorie. Di fronte a me c’è Elisabetta, capelli sotto il mento, neri perlopiù con qualcheduno bianco nei ciuffi che si aprono sulla fronte, un sorriso ampio; di fianco a me, con il viso coperto da una scatola che sta reggendo con due mani, una sua collega. Elisabetta dice: «Mari, prova a indovinare dove ho prenotato per il giorno di pasquetta? Noi sei, così per andare a mangiare fuori».

«Non lo so».

«In un agriturismo nelle Valle di Campotto. Non credo sia proprio una buona idea ora».

Elisabetta mi guarda, io dico: «Ci sono stato, si mangia bene».

Lei dice: «Sono andata proprio a cercarlo, mi sono studiata tutto. Ho un bambino piccolo e volevo fargli prendere un po’ d’aria». Stacca l’ultima fiala e l’ago dal mio braccio. Mentre mi ferma il cotone idrofilo con dello scotch mi dice: «Ma tu ti dove sei? Premi qui». Si gira, guarda nella cartellina e legge: «Consandolo. Ah, proprio al centro di tutto. E com’è la situazione lì?». Io dico che sono appena tornato da Milano e che in paese sembrano tutti tranquilli, che ci sono tanti posti di blocco lungo la strada che porta da Molinella al mio paese, coppie di carabinieri con un auto, due mitra, i giubbotti antiproiettile. Dico che mi hanno raccontato che la tensione si è sentita davvero sabato, quando sembrava che lo stessero per prendere. «Si sentivano gli elicotteri in cielo, tu-tum, tu-tum, tu-tum. Le sirene spianate lungo le strade vuote, che non percorreva nessuno, auto una dietro l’altra. Sembrava di essere in un film».

Le persone che abitano sull’argine, chi ha potuto, si sono spostate giù in paese per dormire, o sono andati a Ferrara. L’argine è quello del compianto fiume Sandolo che ormai non esiste più da tempo e che ha dato il nome al paese, Caput Sandali. Fin da bambini lo percorriamo in bicicletta, ogni volta un pezzo in più fino a quando quella strada non diventa troppo breve e andiamo oltre, raggiungiamo la passerella, un ponte stretto che attraverso un altro fiume, il Reno, più avanti sulla strada e pedaliamo fino ai paesi vicini. Lungo l’argine ci sono case tutte isolate, tra i campi e i boschi della pianura, spesso si trovano dove un tempo si trovava il fiume e per raggiungerle bisogna scendere dall’argine, per stradine sterrate o ghiaiate. Nessuna ha un recinto o mura attorno. Da tutti i punti in cui si raggiunge l’argine sono stati posizionati dei posti di blocco, se uno percorre quella strada viene fermato, viene controllata l’auto, aperto il bagagliaio. E scendendo da queste strade si vede lontano alzarsi lentamente un mitra e puntarti fino a quando non si è riconosciuto che non sei Igor o Ezechiele o Norbert.

Quello che si vede in lontananza, muovendosi per queste strade, è la differenza più grande, la prima cosa che ho notato. Si vedono queste grandi macchie nere che cambiano completamente il paesaggio, l’atmosfera, il clima di questa terra. Cambiano l’orizzonte, che qui è di solito riempito da case, alberi da frutto o campanili, che adesso è pieno di carabinieri armati. Sembra davvero di essere in un film, di essere sotto attacco da parte di un solo uomo o di non essere nello stesso posto di sempre. Quando tutto ha avuto inizio, il primo omicidio, il secondo e tutto quello che da lì è cominciato io ho seguito le vicende da lontano, a Milano, informandomi tramite i miei parenti e i telegiornali, con i loro inviati a riprendere le terre in cui sono cresciuto. La prima cosa che facevo la mattina era accendere il televisore e controllare se c’era stato qualche novità importante, qualche avvistamento, poi chiamavo casa e chiedevo cosa si dicesse in paese, quale fosse la situazione, come stessero loro: ero preoccupato e mi dispiaceva essere lontano da loro e non potergli essere d’aiuto. Allo stesso tempo però mi lamentavo che l’unica volta che succedeva qualcosa di rilevante, di negativo, sì, ma che era da raccontare, io mi trovavo lontano da tutto e non potevo farlo.

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Seduti all’interno di un bar:

«Quello che non capisco è che cosa vuole fare. Può scappare, nascondersi, ma poi?»
«Vuole sopravvivere.»
«Io non capisco perché non l’abbiamo ammazzato, fossimo negli Stati Uniti sarebbe già morto.»
«Lui è un superuomo, è addestrato.»
«Ho capito che è addestrato, ma è da solo.»
«Il problema è l’Italia.»
«L’offesa deve essere uguale alla difesa.»
«Ma ora che uno dice: Butta a terra l’arma, questo ti ha già fatto fuori cinque uomini.»
«Perché non usano i satelliti e mappano tutta la zona?»
«Può vivere di sole radici e erbe.»
«La palude è il suo ambiente naturale.»
«La palude è l’ambiente naturale dell’anguilla.»
«Fanno bene a posizionarle, ma è impossibile che passi per la strada.»
«Basta che rubi una macchina, ora che lo prendi è già in Puglia.»
«Non si fa problemi a farti fuori.»
«Sull’Adriatica c’era un uomo, alto e grosso, con un berretto di lana in testa e un borsone in spalla che camminava verso la città.»

Per Pasqua muovendoci verso la Romagna sdrammatizziamo avvistando Igor ovunque, ad ogni incrocio, chiunque sia in bicicletta, chiunque cammini solo, vicino a una strada.

«Guarda, c’è Igor!»
«No, aspetta è quello!»
«Secondo me è quello là!”

Anche io con loro.

immagini.quotidiano

 

La troupe di Pomeriggio 5 che intervista mio nonno si è piazzata all’esterno dei garage dove sono chiusi i trattori. Aspettano la linea da Barbara D’Urso che nella sua classica posa di lato, con la luce puntata in faccia a lisciarle la pelle, dice: «Tra poco sentiremo il racconto di un contadino che è stato rapinato da Igor anni fa, il signor Bolognesi». Provano a collegarsi, ma qualcosa non funziona. «Ci sono dei problemi nel collegamento con Consandolo». Mio nonno aspetta di fianco a questa giornalista bassa e bionda con il microfono in mano. Due faretti puntano su di lui. Il cameraman e il fonico sono dietro a questi. Dall’immagine della camera si vedono le due figure e dietro una strada sterrata che porta alla campagna. Il collegamento non funziona ancora e la scaletta va seguita e l’argomento va lasciato alle spalle.

Vengono avvisate le forze dell’ordine per porte di edifici vicino ai filari o di fianco alla ferrovia che porta a Bologna che prima erano chiuse e poi improvvisamente aperte. Loro si muovono con due pattuglie, arrivano sgommando, parcheggiando con i musi in diagonale. Scendono tutti armati e «come quelli delle squadre speciali americane, si muovono strisciando contro i muri, calciando le porte, dicendo: Libero!»

Uno di loro dice: «Abbiamo tantissimi casi di allarmismo».

Scorrazzava per queste terre già da tempo e anni fa rapinava le case con una balestra. Indossava una luce sulla testa e così, consapevolmente o no, le vittime non lo potevano descrivere bene. Lo presero comunque. A mio nonno scrisse con una bomboletta spray bianca su una mensola in bugadara, cioè come viene chiamata la lavanderia in ferrarese: “Ciao bello”. Mio nonno non l’ha cancellato. Ha raccontato che tornando a casa vide prima quella scritta, notò una bicicletta parcheggiata vicino al garage e pensò che fosse di uno dei suoi figli. Poi vide arrivare il rapinatore che nel frattempo era andato nella casa di fianco a vedere cosa poteva trovare, poi accortosi che mio nonno era tornato era andato da lui e l’aveva obbligato a tirare fuori dei soldi. Prima di andare chiese a mio nonno di contare e corse alla bicicletta e poi via per una strada di campagna, la stessa che fa da sfondo all’intervista non fatta di tanti anni dopo.

Han poi trovato un’altra scritta in questi ultimi tempi su uno specchio: «Vi amazero!!!!».  La scritta era in una zona lontana da quella in cui lo stavano cercando da almeno una settimana. C’era chi andava in gita a vedere com’era la situazione là, quante macchine dei Carabinieri ci fossero, cosa facessero e la descrizione che veniva data era sempre “sembra di stare in guerra”. Una guerra che per fortuna si è vista sempre e solo in televisione o nei film: pattuglie che in fila indiana perlustrano i campi, facce serie, dure. Alle pattuglie ferme, sotto il sole, vengono portati caffè e cibo da mangiare. «Mi dig che una volta che finisce questa storia avran preso dieci chili, con tutto il cibo che gli portano».

Ritorno a Milano senza che sia successo qualcosa, quello che era quando sono arrivato è rimasto uguale identico a quando me ne sono andato via. Gli eventi importanti erano accaduti prima e quello che potevo raccontare era quello che loro raccontavano a me. Me ne vado via quasi con la paura che non appena io sia di nuovo in città accada qualcos’altro di importante.

foto igor il russo

Ancora 

Le pattuglie sembrano diminuire, i carabinieri guardano il cellulare sempre più spesso; la notizie da nazionali diventano regionali, se ne discute solo nei programmi serali come “Quinta Colonna”. Igor ha perso il suo appeal, la sua importanza, oppure: è meglio non ricordarci che da più di un mese si sta cercando questo uomo, uno solo e che non lo si è avvistato più da quel sabato in cui sembra che lo prendessero, all’inizio di questa storia.

Torno per operarmi. Sono steso con indosso solo il camice a rombi blu su sfondo bianco. Attorno a me si muovono i dottori e due infermiere, mi applicano la flebo, mi prendono la pressione e vedo i miei battiti segnati su un monitor sopra di me: Bolognesi, Francesco, 100 pulsazioni al minuto. Mi dicono di stare tranquillo. Sopra di me posizionano la strumentazione per farmi la radiografia, mi sento ingabbiato, legato.

Adesso si consiglia di non lasciare le case vuote, che è meglio abitarle e di lasciare il cibo fuori così da poter segnalare il suo passaggio, se ne ha preso un po’, se è passato di lì. Come quando da bambini si sapeva che era passato Babbo Natale perché aveva mangiato la fetta di pandoro. In una casa della così definita zona rossa, sull’argine, alle due di mattina salta la luce. I proprietari chiamano i Carabinieri: «È saltata la corrente, il contatore è fuori dalla casa, so che c’è una pattuglia a 500 metri da qui se riusciste a fare un controllo sennò comunque non esco, non mi sembra sicuro.»

«Certo che se ci dovete chiamare ogni volta che dovete portare fuori il pattume allora non la finiamo più.»
«Non devo portare fuori il pattume, è saltata la corrente, non è saltata una volta negli ultimi due anni, mi sembra pericoloso uscire.»

Dopo trequarti d’ora arriva una pattuglia.

«Grazie che siete venuti.»
«Però signore se ogni volta che dovete portare fuori il pattume ci chiamate…»
«Ah, ve le passate proprio. Non devo portare fuori il pattume è saltata la corrente e abbiamo avuto paura.»
«Lei ha avuto paura che sta in casa? Si figuri noi che siamo fuori!»

Alzano la levetta dal contatore e senza controllare da nessuna parte se ne vanno via.

Il dottore, un uomo con i capelli grigi e stempiato, si presenta, si chiama Antonio. Vedo che prende in mano una lametta e decido che è meglio chiudere gli occhi, non voglio che il mio cuore acceleri perché vedo cose che non so se sono pronto a vedere. Poi sento il rumore di una lametta contro qualcosa che immagino sia un contenitore. Percepisco che mi stanno infilando qualcosa dentro il corpo; sento qualche strattonata.

Il dottore mi dice che la parte più dolorosa è passata. Apro gli occhi e vedo la mia pancia a raggi x, in evidenza c’è una vena leggermente più scura del resto, dello sfondo, in questo caso il mio corpo. Il dottore tramite un tubo di un diametro minuscolo inserisce una piccola spiralina, più lucida sullo schermo rispetto a tutto il resto: rimarrà dentro di me. Poi mi dice che abbiamo finito e che sono stato bravo. Riguardo il monitor, adesso il mio cuore batte 80 volte al secondo.

Di nuovo a Milano mi chiedono: «Da dove vieni?»
«Da Consandolo.»
«Dov’è?»
«Dove c’è Igor, il russo… Dai, quello che ha ammazzato due persone ed è in fuga. Ci sono tantissimi carabinieri a cercarlo e pure il caccia che vede il calore umano.»
«Ah, sì, sì, capito! Quindi non l’hanno ancora preso?»

A un posto di blocco un camioncino viene fermato, al signore alla guida vengono chieste la patente e la carta di circolazione, poi: «Cos’ha dietro?»

Il signore risponde: «Igor.»

I carabinieri lo rimproverano, gli dicono di non dire scemenze, che non è il caso di scherzare; lo invitano a scendere e a mostrare cosa sta trasportando. Il signore scende dal camioncino, gli gira attorno e apre gli sportelli: un cane grande e beige, con la lingua fuori. Il signore lo indica e dice: “Ecco Igor.”

Scrivo questo da Milano, di notizie non se ne hanno, nessun media ne parla più. Ogni tanto da casa mi raccontano che gira voce che la polizia è vicinissima, che sanno che lo prenderanno, lo stanno accerchiando sempre di più e ormai ci sono, ma già il fatto che giri la voce non è un buon segno e infatti non succede nulla.

igor

Poi

Se non lo dovessero prendere che succederà? Ci si dimenticherà che esiste, diventerà parte del territorio, ci sarà un patto tacito tra lui e noi, tra loro e lui: che ci si li lasci stare a vicenda? O si vivrà con l’ansia che da un momento all’altro mentre si è in bicicletta potrebbe saltar fuori e farti bu o spararti?

Di certo non smetterà di riempire i racconti e le discussioni nei bar e il racconto verrà tramandato per chissà quante generazioni e ampliato, modificato, ingrandito, sarà raccontato da un punto di vista specifico; ognuno di loro, di noi, avrà la sua storia da raccontare a riguardo, i suoi aneddoti.

L’orizzonte incomincerà a tornare quello di sempre o questo orizzonte diventerà il nuovo orizzonte per sempre?

Infine 

Le forze speciali dopo tre mesi vengono richiamate. Io ritorno a Consandolo e nelle strada le pattuglie di Carabinieri sono comunque presenti, molto più di prima che i fatti avessero inizio. Indossano il giubbotto antiproiettile, prima non lo facevano; come se adesso questa zona fosse ufficialmente considerata pericolosa o come se questa fosse la normale prassi che prima non veniva rispettata.

Igor da fuggitivo è diventato latitante. Il paese sembra tornato quello di sempre, al bar non se ne parla più: gli avvenimenti sono diventati ricordi. Quello che ho potuto fare è stato registrare quello che mi raccontavano i miei genitori, mio fratello, i miei parenti, quello che sentivo nelle chiacchiere degli anziani davanti al caffè. Ho l’impressione di essermi perso qualcosa, ma forse è la giusta conseguenza di una scelta che ho preso anni fa, quando ho deciso di andare a studiare via. Forse questo è l’unico racconto che potessi fare.