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Grosso guaio a Hong Kong

Con la nuova legge sulla sicurezza nazionale, la Cina vuole tenere sotto controllo la metropoli. E i manifestanti sono tornati in piazza. Alcuni articoli per capire cosa sta succedendo.

di Studio

Giugno 2020, Hong Kong (Photo by Anthony Kwan/Getty Images)

Da mercoledì 1 luglio, con la legge sulla sicurezza nazionale promulgata a Pechino, la giustizia dell’ex colonia britannica di Hong Kong si è allineata a quella cinese, tanto che per la città stretta tra il delta del Fiume delle Perle e il Mar Cinese Meridionale, le cose adesso sono destinate a cambiare. E a pochi giorni dalla nuova normativa, pensata per tenere sotto controllo una megalopoli che nel corso della sua storia ha sempre prodotto pensiero critico rispetto al regime cinese, si vedono già le conseguenze. A Causeway Bay, distretto dello shopping di Hong Kong, sono infatti tornate in piazza migliaia di persone per protestare, con la polizia che ha cercato di fermare i manifestanti con cannoni ad acqua, cartucce urticanti e proiettili di gomma, replicando le stesse scene già viste dal 2014, quando è iniziata la cosiddetta Rivoluzione degli ombrelli, (e che l’autore Lele Saveri aveva fotografato per noi).

La norma, arrivata dopo anni di proteste, marce, scontri e incidenti, come spiega l’Atlantic copre quattro aree, «secessione, sovversione, terrorismo e complicità con potenze straniere», mirando quindi a ostacolare e punire molte delle tattiche utilizzate dai manifestanti: sabotare i sistemi di trasporto, o danneggiare gli edifici governativi, come spesso hanno fatto lo scorso anno, sono ora catalogati come reato di terrorismo e, nei casi più gravi, punibili con l’ergastolo. Le richieste di indipendenza e libertà da parte dei manifestanti cittadini dell’hub finanziario più importante dell’Asia sono infatti un anatema per i leader del Partito Comunista Cinese, che ora ha intenzione di “prevenire, fermare e punire” colori che protestano. Per questo, e per tutti quei diritti che ora saranno demoliti, si può facilmente ipotizzare che la nuova legge innescherà una diaspora da Hong Kong nel mondo, e che la città cambierà per sempre. Alcuni articoli per capire quello che sta succedendo e le reazioni internazionali alla vicenda.

In Hong Kong, Arrests and Fear Mark First Day of New Security LawNew York Times
Vivian Wang e Alexandra Stevenson hanno raccontato sul New York Times com’è stato il primo giorno di applicazione della nuova legge di Pechino a Hong Kong, lo scorso primo luglio. Raccogliendo diverse testimonianze, le giornaliste hanno descritto il clima che si respira nella megalopoli: nonostante le autorità cinesi insistano che la legge punirà solo un ristretto gruppo di dissidenti politici, assimilati a terroristi, sono in tanti a preoccuparsi. L’emozione dominante è la paura: «Un museo che commemora il massacro di Piazza Tiananmen del 1989 si sta precipitando per digitalizzare i suoi archivi, temendo che i suoi manufatti possano essere sequestrati, i librai guardano nervosamente i clienti, preoccupati che possano essere spie del governo, molti giornalisti hanno chiesto ai loro giornali di cancellare i loro vecchi articoli, per paura che i vecchi post possano essere usati contro di loro».

Dopo l’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale per l’ex colonia britannica, che rischia di mettere a tacere le organizzazioni pro-democrazia, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato misure volte a punire i gruppi che minano l’autonomia della città e limitano le libertà degli abitanti, tra cui le unità di polizia, che hanno duramente represso i dissidenti, i dirigenti del partito comunista e le banche che li finanziano. Come riporta Frank Tang in questo articolo del South China Morning Post, in cui attraverso una serie di voci autorevoli prova a delineare una sintesi dell’attuale situazione politica ed economica, la Cina ha assicurato che è pronta ad affrontare le sanzioni e che continuerà a rispettare l’accordo commerciale siglato con gli Stati Uniti a gennaio, in base al quale ha accettato di acquistare altri 200 miliardi di dollari americani di beni e servizi per due anni rispetto ai livelli del 2017. Tuttavia, gli acquisti cinesi finora sono ben al di sotto dei livelli stabiliti dall’accordo.

Trump Administration Freezes Funding Intended to Benefit Hong Kong ProtestersTime
Sin dall’inizio, la presidenza degli Stati Uniti ha appoggiato le proteste dei pro-democrazia che hanno infiammato le strade di Hong Kong. Eppure, proprio in questo momento, l’amministrazione Trump ha congelato i finanziamenti intesi ad aiutare le persone di Hong Kong a sfuggire alla sorveglianza da parte del governo cinese. Tutte le iniziative dell’OTF, l’Open Technology Fund con sede a Washington che finanzia i progetti e le campagne per la libertà in rete in tutto il mondo, sono quindi state bloccate. In questo articolo, il Time ne ha rintracciato i motivi.

China is breaking Hong Kong treaty with UK, says Boris JohnsonGuardian
Uno dei primi leader internazionali a prendere una decisa posizione nei confronti della Cina e di quello che sta succedendo a Hong Kong è stato Boris Johnson. Mercoledì primo luglio, il primo ministro britannico ha denunciato l’imposizione cinese della legge sulla sicurezza, definendola una violazione «chiara e seria» della Dichiarazione congiunta sino-britannica, firmata nel 1984 e volta a facilitare la transizione quando il territorio fu restituito alla Cina nel 1997. Johnson ha inoltre promesso di introdurre un visto di cinque anni su misura per i 2,9 milioni di cittadini di Hong Kong in possesso di un passaporto britannico. Come ha spiegato il Ministro degli esteri Dominic Raab, il Regno Unito onorerà il suo impegno nei confronti del popolo di Hong Kong: «Concederemo un permesso limitato di cinque anni ai possessori di passaporto britannico per rimanere, con il diritto di lavorare o studiare. Dopo questi cinque anni, saranno in grado di fare domanda per ottenere uno status consolidato».

Joshua Wong’s Long Campaign for the Future of Hong KongNew Yorker
Joshua Wong, diventato per molti un vero e proprio eroe, è il volto di una generazione in rivolta. «L’ho incontrato per la prima volta in un pomeriggio buio e piovoso in agosto. Un giovane uomo gracile, “leggero” e senza pretese, con pantaloncini larghi e uno zaino, mi ha ricordato un timido adolescente in attesa di essere prelevato dal club di scacchi. Entrammo nel ristorante, dove Wong non guardò neanche il menu prima di dire: “Io voglio tutto, tu?”». È questo il racconto che il New Yorker ha fatto sulla vita di Wong, intervistato nel 2019. Nonostante la sua giovane età (oggi ha 22 anni), è già un politico, attivista, immortalato anche sulla copertina del Time.

Silenzio su Hong KongIl Foglio
E l’Italia? Come hanno notato tutti gli analisti politici, il silenzio del nostro governo sulla questione Hong Kong è stato a dir poco imbarazzante. Se all’opposizione qualcuno ha tentato di esprimere dissenso, in maniera tardiva, come spiega Giulia Pompili sul Foglio il silenzio più assordante è stato quello del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, rappresentante del partito, il M5S, più “vicino” alla Cina. «Dopo aver magnificato gli aiuti cinesi all’Italia (che aiuti non erano) durante la pandemia, Di Maio, finora, si è guardato bene dal commentare situazioni più complicate: “Non vogliamo interferire nelle questioni altrui” è la posizione. Rinnovata mercoledì dal suo fedelissimo sottosegretario, Manlio Di Stefano, che ad Agorà ha detto in un discorso particolarmente confuso: “C’è un principio di autodeterminazione che va tutelato”. Vuol dire: la Cina può fare quel che vuole di Hong Kong».