Attualità

Smantellare l’ordigno fine di mondo

Haarp, grande protagonista di molte teorie cospiratorie, sarà smantellata in queste settimane. La storia di una grande antenna e del tempo atmosferico inteso come arma (da Jonathan Swift a Tom Clancy).

di Pietro Minto

John Jacob Astor IV, della potente famiglia Astor, fu un eminente businessman, un valoroso soldato nella guerra ispano-americana, un fortunato fondatore di alberghi, uno scrittore e il più grande meteoropatico del mondo. Nel 1894 pubblicò A Journey in Other Worlds, romanzo ambientato nel 2088, era in cui l’umanità è riuscita a ribellarsi e dominare i capricci del tempo atmosferico tramite apposite esplosioni ad alta quota (un qualcosa che ricorda quanto fatto in Cina in occasione delle Olimpiadi del 2008), oppure utilizzando gli aerodotti, lunghissimi tubi attraverso i quali l’aria umida viene trasportata verso l’alto. Al fine di debellare definitivamente i climi rigidi, Astor immaginò anche un “riallineamento” dell’asse terrestre, idea che balenò anche al Verne di fine Ottocento.

Tanta avversione al gelo e ai limiti da esso imposti al progresso umano si concluse in farsa: il potente Astor IV morì il 15 aprile 1912 nelle gelide acque del mare del Nord. Era il passeggero più ricco del Titanic.

L’ambizione di poter controllare il tempo atmosferico è antica, un desiderio primordiale di salvezza (dal gelo, dall’aridità, dalla fame) e un nuovo orizzonte di possibilità belliche: avere il potere di far piovere o soleggiare significa diventare Dio, uno Zeus vendicativo e sempre armato di saette. Ogni epoca ha dato forma a questo sogno: i Vichinghi pensavano che i finlandesi fossero in grado di manipolare il tempo e per questo si rifiutavano di ospitarne nelle loro traversate; alcune streghe scandinave vendevano “vento in bottiglia”, mentre sono innumerevoli i riti utilizzati dalle varie civiltà per modificare il tempo. Ma nessun manufatto umano è stato in grado di attirare incubi, paranoie e folli progetti come Haarp, il sistema di antenne poggiato sulla neve di Gakona, in Alaska.

La fine di un incubo, dirà qualcuno. Tutto un imbroglio, tanto ci pensano le scie chimiche, dirà qualche scettico. La fine di un bel carrozzone pubblicco, possiamo invece dire

Acronimo di “High Frequency Active Auroral Research Program”, si tratta di un’enorme insieme di antenne dall’estensione di 14 ettori, costruito in circa 20 anni e costato 300 milioni di dollari. Immane e bizzarra se osservata dall’alto, la struttura è finita al centro di innumerevoli teorie cospiratrici; eppure, sta per essere smantellata. Lo scorso maggio, nel tipico silenzio generale che si registra quando una bolla si sgonfia, la struttura è stata chiusa e la sua demolizione – «pezzo per pezzo» – fissata per l’estate è in corso. La fine di un incubo, dirà qualcuno. Tutto un imbroglio, tanto ci pensano le scie chimiche, dirà qualche scettico. La fine di un bel carrozzone pubblico, possiamo invece dire noi.

La familiarità che la sigla Haarp sembra avere con l’inconscio collettivo non è casuale e anzi è alla base del progetto, nato negli ultimi anni della Guerra Fredda per studiare nuovi e sicuri mezzi di comunicazione tra sottomarini. Nell’assilante paranoia propria del conflitto tra Usa e Urss, queste speciali imbarcazioni divennero cruciali nel silenzioso botta e risposta tra superpotenze, capaci com’erano di nascondersi dai nemici. Tanta segretezza aveva però un caro prezzo: le comunicazioni tra la base e queste imbarcazioni erano difficili, lente e poco chiare. Urgeva trovare una soluzione, così Nicholas Christofilos, fisico del Lawrence Livermore National Laboratory, California, propose di sfruttare un tipo di onde radio particolare, chiamato Elf (Extremely Low Frequency). Vennero costruite due enormi stazioni nel Michigan e nel Wisconsin per studiarne i meccanismi e subito nacquero i primi problemi: quelle enormi antenne rivolte verso l’alto erano potentissime, immense e misteriose e il progetto così segreto che gli abitanti cominciarono a chiedersi a cosa servissero, scivolando presto nel dilemma fondamentale del XXI Secolo: “CHE COSA C’È SOTTO?!?!!!!11”.

«Una volta che umani controllano il tempo atmosferico, possono anche militarizzarlo» – Ben O’Loughlin

La danza tra l’uomo e la ionosfera è fatta di sgambetti: cominciarono a circolare le prime teorie cospiratorie sui possibili fini bellici del tutto; teorie in parte esatte poiché Haarp è nato a fini bellici, pur non essendo un cannone in grado di desertificare la Siberia come a qualcuno piace sostenere. Il tempo atmosferico come arma di distruzione di massa trova riscontri sia accademici (Peter Sloterdijk, Terrore nell’aria) che letterari: ne I Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift troviamo l’isola di Laputa, che galleggia nell’aria sfruttando il magnetismo ed è abitata da scienziati e letterati; i Laputiani sono in perenne scontro con gli abitanti dell’isola sottostante, Balnibarbi, che minacciano di coprire per sempre con la loro ombra. «Una volta che umani controllano il tempo atmosferico, possono anche militarizzarlo», ha scritto (Pdf) Ben O’Loughlin, professore di relazioni internazionali all’università di Londra, motivando l’allure apocalittico che “l’arma-tempo” ha avuto e continua ad avere. Il rischio d’altronde c’è, e il caso delle Olimpiadi del 2008 a Pechino sembra confermarlo – ma la possibilità tecnica di farlo?

Nella seconda metà degli anni Ottanta, a Guerra Fredda ormai ridimensionata, il Pentagono cominciò a chiudere centri di ricerca nati per intercettare i missili sovietici diretti verso gli Usa. Uno di questi si trovava a Gakona, in Alaska. Per una coincidenza fortuita, proprio lì, sul cielo di Gakona passa un elektrojet (un insieme di correnti di particelle cariche d’energia che salgono fino alla ionosfera). Il luogo era perfetto: qui gli Usa potevano provare a usare l’intera ionosfera come un’antenna, aprendo nuove frontiere di studio. Fu così che sotto l’egida del professore Dennis Papadopoulos, cominciarono i lavori. E i problemi.

Ted Stevens è stato senatore repubblicano dell’Alaska dal 1968 al 2009: è l’uomo che ha per primo definito Internet come «una serie di tubi», opponendosi così alla net neutrality. È stato inoltre grosso sostenitore della tesi che vuole l’effetto serra un fenomeno non causato dall’uomo. È morto nell’agosto 2010 e gli è stato dedicato un aeroporto nello stato Usa. Ma molto prima che ciò succedesse, nel 1990, andò a una conferenza a spiegare come come Haarp fosse in grado di crea aurore boreali (fatto vero) e di «risucchiarle a terra per catturarne l’energia» (fatto squisitamente falso). È a questo punto che la paranoia da Guerra Fredda che aveva cullato l’invenzione dal suo primo giorno si unì a un complottismo che la credeva in grado di qualsiasi cosa.

Risucchiare aurore borali? ✓

Scatenare terremoti? ✓

Scatenare temporali, inondazioni? ✓

Siccità on demand? ✓

Il Doomsday device definitivo? ✓

Come una maledizione, l’approccio anti-scientifico ha perseguitato HAARP da tutti i fronti: quello interno (le dichiarazioni di Stevens) ed esterno (il proliferare di teorie e storielle assurde sul “vero” fine della struttura). Usare la fantasia – magari facendosela prestare da una mente paranoica – è una reazione comune quando si analizza una materia così complicata come lo studio della ionosfera. È difficile capire a cosa serve Haarp perché le conoscenze sulla materia sono ad uso di pochi e la tentazione di allargare il quadro alla ricerca di una verità più grande (e nascosta) sembra irresistibile. D’altronde è anche gratis.

E nel 1999 ci si è messo pure Tom Clancy con il romanzo Net Force in cui «una macchina chiamata Haarp» sembra in grado di far impazzire la gente e va quindi fermata

Così il sito è diventato una macchietta da B movie e nel 1999 ci si è messo pure Tom Clancy con il romanzo Net Force in cui «una macchina chiamata Haarp» sembra in grado di far impazzire la gente e va quindi fermata. E questa macchina deve aver funzionato davvero bene se oggi, cercando su Google la famigerata sigla si trovano più 2,6 milioni di risultati, un mare in cui è piuttosto difficile trovare contributi rigorosi senza imbattersi in deliri su scie chimiche e altre panzane da dissociati.

Il fascino della struttura ha colpito anche Papadopoulos, tra i padri di Haarp: intervistato da Npr ha detto che demolirla «è come bruciare la Libreria d’Alessandria». A poco serviranno le parole di Chris Fallen, altro scienziato che sta difendendo l’impianto dalla demolizione, cercando si pubblicizzare i molti meriti scientifici della struttura. È qui, per esempio, che Fallen ha dimostrato il cosiddetto “Luxembourg Effect” per cui due segnali radio che rimbalzano sulla ionosfera a frequenze differenti, vengono “mescolati” naturalmente, «essenzialmente mixati nello spazio».

 

 
Anche questa volta lo stato dei fatti si rivela essere più noioso del previsto: Haarp nasce con il magna-magna di fondi militari degli anni ’80, l’ultimo rush di dollaroni prima della fine della guerra fredda; è una “grande opera” che doveva migliorare la comunicazione tra sottomarini e che oggi, in tempi di droni, non serve più a niente. Quanto allo studio della ionosfera, oggi disponiamo di altri sistemi più economici e piccoli.

Nonostante tutto, c’è da giurare che il fascino morboso del suo nome saprà rieccheggiare per anni nei manuali dell’Apocalisse facile come una ferita, l’ennesima, nella lotta tra l’uomo e il tempo atmosferico. La leggenda sopravviverà, nonostante tutto: anche smantellato, questo ammasso di ferraglia in disuso rimarrà agli occhi di molti il demonio.

 

 

Illustrazione “Antenne, Ghiaccio e Morte dal Cielo” di Jacopo Marcolini