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C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

È finita l’era degli chef-star?

Da artisti dei fornelli a testimonial di se stessi. Ma la guida Michelin vorrebbe farli tornare in cucina.

20 Novembre 2017

«L’interesse intorno ai cuochi è recente, prima c’era la cucina della nonna e della mamma: una cultura in cui il motto era fare di necessità virtù, non fare scena». Così l’altoatesino Norbert Niederkofler, l’unico nuovo cuoco italiano tristellato della guida Michelin 2018, spiegava la filosofia della sua cucina in occasione dei vent’anni del suo ristorante St. Hubertus dell’Hotel Rosa Alpina di San Cassiano, in Val Badia. Quasi uno slogan – «Il mix tra la cucina della mamma e la mia curiosità ribelle» – che sembra rispecchiare in pieno la tendenza degli austeri recensori della guida francese, il cui invito ai cuochi potrebbe essere riassunto così: tornate in cucina, meno show e più spettacoli.

Non a caso sui media italiani a fare notizia è stata soprattutto la perdita di una stella da parte di Carlo Cracco, passato così da due a una, per il suo ristorante milanese di via Victor Hugo (stessa sorte è toccata a un altro storico due stelle milanese, Claudio Sadler). E, sull’onda dei social, è scattato immediato l’accanimento contro lo chef-star, l’uomo che passa più tempo in tv che al suo locale, il testimonial di patatine e “zone living”. Insomma, Cracco è diventato il bersaglio perfetto dopo il declassamento Michelin. Ma sul giudizio della Guida sul ristorante di Cracco – che a gennaio si trasferirà da via Victor Hugo alla Galleria in uno spazio di oltre 1.000 metri quadrati – pesano giudizi sulla cucina più che sul personaggio, come ha ammesso lo stesso Michael Ellis, direttore internazionale delle Guide Michelin, che ha parlato di «qualche disparità di livello tra i piatti», senza negare «imprecisioni ravvedute dagli ispettori della guida», in particolare «la cottura degli ingredienti». Non si è trattato quindi di una punizione allo chef fattosi brand. Ma certamente, al di là di facili banalizzazioni, il caso Cracco ci rivela qualcosa di interessante.

Chef Hendrik Otto works on a zander menu

È ormai irreversibile la mutazione degli chef, da lavoratori dei fornelli attenti alla cura dei piatti e poco alla socialità a testimonial della propria cucina, della propria azienda o della propria filosofia culinaria.  E non potrebbe essere altrimenti. Perché un ristorante di alta gamma ha costi difficilmente sostenibili. È vero che, secondo una stima della società di ricerca Jfc, una stella Michelin vale in media 708mila euro di fatturato, mentre con due stelle si sale a 1,1 milioni di euro e con tre stelle la cifra supera il milione e mezzo. Ma d’altra parte, se il fatturato di questi locali è spesso alto, in molti casi lo sono anche le spese e, così facendo, i guadagni si assottigliano. Un piatto apparentemente caro nasconde spesso un investimento continuo. Ecco che gli chef tendono a integrare gli incassi del ristorante con attività esterne: consulenze, grandi eventi privati, televisione.

Cracco ha tentato di fare bene entrambe le cose, il lavoro di sperimentazione con il grembiule sporco e gli show televisivi, ma ora sembra pagarne un po’ il prezzo. C’è chi sceglie un’altra via, ad esempio Mauro Uliassi, due stelle sulla spiaggia di Senigallia, che rivendica la sua fortuna di cuoco stagionale: «D’inverno posso chiudere e fare altro, magari un tour in Asia o in Russia, ma anche pensare i piatti della stagione che verrà. Se stai aperto tutto l’anno, la faccenda si complica. In Italia, solo Massimo Bottura può permettersi di far camminare il ristorante sulle sue gambe. Ma la sua brigata è unica».

Inoltre per molti anni ci si è concentrati soprattutto sulla tecnica, meno sul prodotto finale. Anche la cucina nordica ha saputo superare il problema di una mancanza di cultura tradizionale puntando sulle nuove tecnologie e tecniche, così le cucine sono diventate come sale operatorie. Alla vigilia dell’assegnazione delle nuove stelle Michelin, Fausto Arrighi, per una vita e fino al 2012 direttore della Guida, aveva lanciato un avvertimento: «Che la tradizione venga rivisitata, come si dice spesso, è solo un’idea astratta. Noto, per esempio, che i giovani guardano molto all’aspetto decorativo e poco al sapore. La cucina che fanno non ha futuro perché non ha passato. I nostri cuochi non dovrebbero perdere d’occhio le materie prime italiane e la loro diversità territoriale, invece seguono le mode spagnole, danesi o sudamericane cercando spesso prodotti esteri poco saporiti».

FRANCE-LIFESTYLE-GASTRONOMY-MICHELIN-CAHAGNET

Resta il fatto che a pagare alla fine è il prodotto, e la cucina italiana si dimostra essere un ottimo prodotto, con chef che vedono riconosciuto il laro lavoro di sperimentazione in cucina, al di là dell’esposizione mediatica. Lo dimostra il fatto che il nostro Paese si è confermato sul secondo gradino della Guida Michelin 2018, dietro la Francia, con 356 ristoranti segnalati, tra cui nove con tre stelle, tre nuove due stelle e 22 una stella. Si torna così al nuovo tristellato Niederkofler che rivendica la sua «cucina di montagna, la semplicità degli ingredienti e il successo di un percorso virtuoso. Nel mio ristorante vige la filiera corta: andiamo personalmente dal contadino a scegliere le materie prime di stagione. Utilizziamo nell’arco dell’anno più di 250 ingredienti, ma ad esempio mai agrumi perché non sono autoctoni. E per creare l’acidità? Lavoro sulla fermentazione, un’antica tecnica che è ritornata attuale. In ciascuno dei miei piatti ormai ci sono solo due o tre cose e devono essere sempre perfette: ho capito che se ce ne metti dieci ti stai solo complicando le vita». In poche parole: semplificare e lavorare sulla qualità.

Per chi è in cerca di altri segnali di cambiamento, da segnalare che Antonia Klugmann, futuro giudice di Masterchef in sostituzione proprio di Cracco, ha deciso di chiudere il proprio locale L’argine di Vencò (una stella Michelin) a giugno e luglio, per poter registrare il programma senza perdere di vista la sua cucina.

Foto Getty
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