Cultura | Fumetti
George Sprott, un Quarto potere a fumetti
L'ultima opera del fumettista canadese Seth (edita in Italia da Coconino) riprende tutti i temi a lui cari: identità, ossessione, nostalgia, in un racconto che gli è valso paragoni con W.G. Sebald, Alice Munro e Orson Welles.
Seth è il fumettista della nostalgia, un sentimento che riesce a scrivere e disegnare come nessun altro. Ci riesce perché la nostalgia è parte della sua vita quotidiana, la parte più grande delle sue giornate. La scrive e la disegna, ma non solo: la indossa, la legge e la ascolta. Porta completi eleganti ispirati alla moda maschile degli anni Quaranta, legge vecchi numeri di Plastic Man e le edizioni originali di Little Lulu e ascolta soltanto oscuri dischi jazz. Si chiede sempre perché gli uomini non indossino più il cappello: lui ne ha una collezione intera e in casa ha montato diverse cappelliere per tenerla in ordine di stoffa, foggia, colore. La sua casa di Guelph, piccola città a circa un’ora di macchina da Toronto, è un luogo a metà tra l’installazione artistica e il museo: tutti i giornalisti che ci sono stati per intervistarlo hanno sempre raccontato l’esperienza come un viaggio all’indietro nel tempo, destinazione la prima metà del Novecento. Nel seminterrato di casa sua, Seth ha costruito una città in miniatura fatta dei luoghi della sua fantasia: si chiama Dominion e chi ha letto It’s a good life, if you don’t weaken e Clyde Fans ci si orienta con facilità. Negli ultimi anni, Dominion si è ingrandita, strade, edifici e quartieri si sono aggiunti via via che, tra il settembre del 2006 e il marzo del 2007, Seth pubblicava sul New York Times Magazine le strisce di George Sprott: 1894-1975. Tutte quelle strisce sono state poi raccolte in un volume unico, da poco arrivato anche in Italia grazie a Coconino.
George Sprott: 1894-1975 racconta gli 81 anni di vita di George Sprott. O meglio: racconta le ultime tre ore di vita di un uomo di ottantuno anni chiamato George Sprott. Un tempo, George era il volto più noto di una tv locale che oggi non guarda più nessuno. Prima ancora, un autodefinitosi «avventuriero gentiluomo», esploratore e cronista del Great White North canadese. In gioventù, un seminarista che aveva sentito la chiamata di Dio proprio nel momento in cui cominciava la Prima Guerra Mondiale. All’inizio delle ultime tre ore della sua vita, George Sprott è un uomo triste e solo, malinconico e nostalgico: gli restano le abitudini e i ricordi. Ma mentre i minuti passano e l’infarto che porrà fine alla sua vita si avvicina, George comincia a dubitare di tutti quei ricordi: era convinto di essere molto legato a sua madre, e all’improvviso si rende conto che prima che lei morisse aveva trascorso due anni senza mai andare a trovarla. Nel momento in cui George comincia a dubitare della traccia di sé che ha lasciato nel mondo, Seth comincia a fare il suo lavoro. Inganna il lettore con gusto, fingendosi narratore inaffidabile ma lasciando ovunque indizi della sua onniscienza. Manipola lo spazio, il tempo e le percezioni, per ribadire il messaggio che tiene assieme tutte le sue opere: l’identità è una costruzione difficilissima da mettere assieme e facilissima da smontare. Nessuno la sa meglio di Seth, d’altronde: «Ho cominciato ad ascoltare jazz solo perché mi sembrava la musica che si abbinava meglio ai completi che avevo deciso di indossare», ha detto una volta.
George Sprott: 1894-1975 è valso a Seth il paragone con autori fondamentali del canone contemporaneo. C’è chi lo ha accostato a W.G. Sebald, per quel modo di raccontare il tempo, e il passato in particolare, come un pozzo, una vertigine, «un’inquietudine dell’anima». Altri lo hanno paragonato ad Alice Munro, per quella malinconia che “cola” da ogni tavola: fuori dalle linee spesse del disegno, dalla griglia stretta di comic strips che si assemblano, dalla palette cromatica ispirata all’inverno dell’Ontario. Ma, se un sosia di George Sprott esiste nella cultura contemporanea, probabilmente sta nel cinema ed è Charles Foster Kane di Quarto potere. Come Welles, Seth spezzetta una vita straordinaria fino a ridurla alle minuzie che diventano le ossessioni della vecchiaia: per Kane era lo slittino Rosebud, per Sprott è la tuba che suo padre gettò a terra, all’improvviso, la prima volta che manifestò i segni della demenza. Proprio come in Quarto potere, George Sprott: 1894-1975 è un tentativo di spiegare un’esistenza attraverso quello che di essa rimane: i ricordi propri e altrui, le parole e le opere, i luoghi e gli eventi. Per scoprire poi che i ricordi sono inattendibili e contraddittori, le parole e le opere si dimenticano, i luoghi si demoliscono e gli eventi si cancellano. E alla fine tutto quello che resta sono le ossessioni. Se It’s a good life, if you don’t weaken era dedicato alle ossessioni della gioventù (Seth e i suoi cartoon) e Clyde Fans a quelle della maturità (i fratelli Matchard e la loro fabbrica di ventilatori da salvare), George Sprott rappresenta la chiusura di una trilogia, un terzo e finale capitolo riassunto alla perfezione da una frase − una delle poche sincere − pronunciate dal protagonista eponimo in una stupenda pagina-confessione: «Ho provato a vivere senza farmi condizionare dal passato. Ma la vecchiaia ha la capacità di riportare tutto alla memoria. E con una potenza completamente inaspettata».