Attualità
Ossessione Soros
Non è l'unico miliardario a investire i suoi soldi in cause e organizzazioni, ma George Soros è il chiodo fisso di complottisti di destra e di sinistra. Perché?
George Soros al party per Too Big To Fail al Four Seasons di New York, il 16 maggio 2011 (Michael Loccisano/Getty Images)
«Se George Soros non esistesse, sarebbe necessario inventarlo», ha scritto il giornalista Nick Cohen sul Guardian. Orfani della sua inconsueta figura di miliardario di sinistra e di finanziere filantropo, complottisti rossobruni vecchi e nuovi, giornalisti, politici o semplici internauti, andrebbero infatti subito alla ricerca di un sostituto. Non sarebbe un’operazione facile però, perché George Soros sembra cucito su misura per i cospirazionisti di ogni risma. Già l’idea che uno degli uomini più ricchi del mondo possa elargire soldi a pioggia per il sostegno di cause progressiste e finanche per la difesa di minoranze, comunità sottorappresentate e categorie sociali discriminate, genera immediate dissonanze cognitive. Se poi aggiungiamo l’origine ebraica del magnate ungherese naturalizzato americano, ecco che l’immaginario collettivo potrà attingere all’intramontabile filone della congiura pluto-giudaico-massonica. Prima di mischiare, per ottenere la ricetta perfetta sarà necessario rivolgersi a un passato con alcune zone d’ombra. Soros infatti non è né diavolo né acqua santa: la sua attività imprenditoriale lo ha visto coinvolto (tra molti altri finanzieri come lui) in alcune speculazioni che, nel 1992, hanno causato una svalutazione della sterlina prima e della lira poi.
A suo carico ha una condanna per insider trading legata all’acquisizione di alcune azioni di una banca francese. Più in generale, è un multimilionario che ha le sue idee politiche e che promuove un modello di società aperta e liberale che può essere legittimamente guardato con riprovazione da anti-capitalisti e anti-globalisti di qualsiasi estrazione. Quando però si vuole fare di Soros l’oscuro burattinaio di una rivoluzione mondiale, quando lo si ritiene il manovratore occulto di qualsiasi protesta contro i governi autocratici in ogni parte del mondo, ecco che la critica si trasforma in una grottesca psicosi complottistica, amplificata dall’odierna proliferazione di fake news. Il fenomeno, da qualche anno, ha raggiunto anche il nostro Paese. Basta guardare le reazioni sguaiate al colloquio tra Soros e Gentiloni avvenuto lo scorso 3 maggio a Roma: ci si trovava nel pieno della polemica su Ong e migranti, e proprio quel giorno il procuratore di Catania Zuccaro veniva ascoltato alla Commissione Difesa del Senato. Soros, è bene ricordarlo, è accusato tra le altre cose di promuovere una sorta di invasione islamista dell’Occidente, per il semplice fatto che, attraverso la sua fondazione, finanzia organizzazioni non governative che si occupano di rifugiati, richiedenti asilo, e perché da anni è impegnato nella difesa delle minoranze etniche in varie parti del mondo. Ecco allora che dopo l’incontro con Gentiloni il Cinque Stelle Danilo Toninelli twittava: «Scoppia il caso #Ong e stranamente #Soros va a parlare con #Gentiloni. Come mai???». Stessa linea per Beppe Grillo e Matteo Salvini. Il leader della Lega dichiarava ai media: «Sono sempre più convinto che sia in corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli… Non c’entrano guerre, diritti umani e disperazione, è semplicemente un’operazione economica e commerciale finanziata da gente come Soros».
L’attività di Soros si divide sostanzialmente in due tronconi: da una parte ci sono le donazioni che il magnate elargisce a titolo personale, come i finanziamenti diretti alle campagne elettorali di Barack Obama e Hillary Clinton. Dall’altra, ci sono i soldi stanziati dalla sua fondazione, la Open Society Foundations, che si rivolge esclusivamente a organizzazioni indipendenti a cui offre supporto per la promozione di una serie di cause come la libertà di stampa e i diritti civili nei Paesi a basso tasso di democrazia, i diritti degli omosessuali, delle minoranze etniche, la legalizzazione delle droghe leggere e dell’eutanasia, la lotta contro la discriminazione razziale e di genere, e molto altro ancora. Tutte battaglie che rimandano ad una visione progressista e libertaria della società, motivo per cui lo stesso Soros, negli anni Settanta e Ottanta, finanziò i movimenti di opposizione al comunismo in diversi Paesi dell’ex blocco sovietico, tra cui in particolare Solidarność in Polonia. La famiglia di Soros dovette subire l’ondata antisemita dell’Ungheria degli anni Trenta e sfuggì miracolosamente ai rastrellamenti successivi all’occupazione nazista del Paese. Nel 1947 Soros si trasferì in Inghilterra, si laureò alla London School of Economics e, dopo aver lavorato in alcune banche d’affari, diede vita ad alcuni fondi di investimento che, dall’inizio degli anni Settanta in poi, cominciarono a fare la sua fortuna fino a renderlo uno degli uomini più ricchi del mondo.
La Open Society Foundations, da lui fondata nel 1979, è una sorta di organizzazione ombrello sotto cui operano altre società satellite. Una sola di queste, la Open Society Policy Centre, è considerata a livello legale una società di lobbying, ed è sottoposta quindi alle specifiche leggi previste negli Stati Uniti per quel tipo di attività. Tuttavia, anche come semplice fondazione la Osf deve sottostare a rigide regole di trasparenza, che la obbligano a rendere pubblici tutti i fondi stanziati. La Osf ha poi una serie di sedi al di fuori degli Stati Uniti che sono sottoposte alle leggi dei singoli Paesi, e una ventina di entità semi-indipendenti che ricevono la maggior parte dei fondi dalla casa madre pur essendone giuridicamente distinte. Come è evidente, l’attività della Open Society Foundations, pur rivolgendosi esclusivamente a organizzazioni indipendenti, serve anche ad esercitare pressioni indirette sulla politica degli Stati, nell’ottica di promuovere determinate riforme o, nei casi più estremi, di generare nella società civile una progressiva presa di coscienza che possa portare nel tempo al sovvertimento di regimi anti-democratici. Tuttavia, una cosa è dire che Soros finanzia, ad esempio, organizzazioni per la difesa dei diritti civili in Russia, altra cosa è dire che le proteste per i diritti civili in Russia siano orchestrate da Soros o che egli paghi i manifestanti per scendere in piazza. È proprio questo tipo di salto logico che ha reso Soros una presunta eminenza grigia che, fomentando scientemente l’opposizione ai governi anti-democratici, starebbe in realtà tentando di rimuovere gli ostacoli per il dominio della finanza mondiale e dunque di se stesso (versione di sinistra), o che starebbe cercando di costruire un ordine globale in cui vengano distrutti valori tradizionali come quelli di nazione, famiglia naturale, identità culturale (versione di destra).
Ecco allora che Nikola Gruevski, primo ministro della Macedonia dal 2006 al 2016 e non esattamente un simpatizzante della democrazia, ha invocato a suo tempo una “de-sorosizzazione” della società, suggerendo che dietro tutte le proteste contro il suo governo autoritario ci fosse la longa manus del magnate ungherese. La gente scende in piazza in Romania contro la corruzione delle classi dirigenti? Tutti pagati da Soros, secondo il governo rumeno. La rivoluzione arancione in Ucraina? Orchestrata da Soros. Le primavere arabe? Una manovra degli Stati Uniti col sostegno dei soldi di Soros. Fino alle bufale conclamate provenienti dal web: il sito di estrema destra Breitbart ha accusato Soros di aver pagato i manifestanti del movimento Black Lives Matter per le proteste di Ferguson nel 2014 che fecero seguito all’uccisione del 18 enne afroamericano Micheal Brown da parte di un agente di polizia. Facendo un giro sul sito ultracattolico Osservatorio Gender, emerge che Soros verserebbe «una strabiliante quantità di denaro nelle casse dei principali soggetti impegnati in tutta Europa nella promozione dell’immigrazione, dei “diritti” Lgbt e di tutte le maggiori istanze rivoluzionarie», e che in questo modo il magnate «rende possibile l’attività delle principali organizzazioni impegnate nella distruzione dell’ordine naturale e cristiano».
Utilizzando Media Cloud, uno strumento messo a punto dal Mit di Boston, il sito Vocativ ha scoperto che nei siti complottisti di destra e di sinistra il nome di Soros ricorre in media quasi quattro volte di più che su altri siti e tra i media mainstream. Questi ultimi però, specie negli Stati Uniti, sono stati tutt’altro che irrilevanti nella diffusione del mito di Soros come incarnazione di un potere occulto operante su scala mondiale. Fox News, il network di proprietà di Rupert Murdoch e vicino ai Repubblicani, qualche mese fa diffuse un report in cui si affermava che le donne scese in piazza lo scorso marzo negli Stati Uniti per difendere i loro diritti e protestare contro Trump lo avrebbero fatto solo per intascare del denaro da Soros. Come ha verificato il sito di fact checking Politifact.com, questa affermazione si basa sul salto logico descritto in precedenza: poiché Soros è da decenni impegnato per la lotta alle discriminazioni di genere, alcune associazioni che avevano preso parte alle proteste per i diritti delle donne erano state da lui finanziate in passato per alcuni progetti, il che ovviamente non significava assolutamente che Soros avesse dato loro dei soldi per scendere in piazza contro Trump (lo stesso discorso può essere fatto per le associazioni che lottano contro la discriminazione razziale e le proteste di Ferguson). La stessa Fox News, tra il 2007 e il 2010, accusò più volte Soros in alcune trasmissioni e show serali di aver ordito un complotto per imporre un nuovo ordine mondiale, nonché di essere a capo di una malefica organizzazione che farebbe capo alla galassia delle organizzazioni di sinistra. Le teorie su Soros, quindi, rimbalzano tra l’informazione tradizionale e il sottobosco del web, trovando spesso sponde anche tra i politici: durante le elezioni del 2016 il repubblicano Sean Duffy affermò che alcune dei macchinari per il voto erano stati forniti dalle compagnie di Soros, e che quindi potevano essere truccati. La fonte? «Articoli che ho letto» – disse poi Duffy – «ma che in effetti non ho verificato».
Di recente, persino il giornalista Gabriele Del Grande, liberato dopo una detenzione di 14 giorni in Turchia, ha dovuto smentire le voci secondo cui il suo lavoro sarebbe portato avanti grazie ai soldi di Soros (Del Grande ha soltanto beneficiato di una donazione di 37 mila euro dalla Open Society Foundations nel 2011 per i progetti legati al sito Fortress Europe, circostanza di per sé tutt’altro che disonorevole visto che la fondazione elargisce fondi sulla base della qualità e del valore sociale dei vari progetti). La psicosi complottistica, soprattutto a destra, ha prodotto anche alcuni goffi tentativi di smascheramento. Il più noto è quello avvenuto a marzo 2016, quando un attivista repubblicano di nome James O’Keefe chiamò la sede della Open Society Foundations e lasciò un messaggio in segreteria spacciandosi per il presidente di una fantomatica fondazione che voleva collaborare con la Osf. O’Keefe però non riattaccò bene il telefono, e nel messaggio fu possibile ascoltare anche un “fuori onda” in cui, parlando con una terza persona, l’attivista repubblicano spiegava che lo stratagemma era quello di infiltrare qualcuno nella fondazione per realizzare dei video e trovare informazioni compromettenti su Soros e sulle sue cospirazioni.
L’attività di Soros, in realtà, non è particolarmente diversa da quella di altri miliardari di destra come Charles e David Koch o Robert Mercer, che da molti anni spendono cifre ingentissime per finanziare cause più o meno direttamente collegate al partito Repubblicano. Secondo Timothy Melley, autore del libro Empire of Conspiracy: The Culture of Paranoia in Postwar America, è proprio l’insolito binomio tra un ricco uomo d’affari e il sostegno a cause progressiste a creare un cortocircuito che rende Soros l’oggetto del complottismo sia di destra sia di sinistra (in uno scenario politico, aggiungiamo noi, in cui la contrapposizione prevalente è ormai quella tra società aperta e rifiuto della globalizzazione). Per Mike Fenster, professore di diritto all’Università della Florida e autore del libro Conspiracy Theories: Secrecy and Power in American Culture, non va sottovalutato l’elemento antisemita, che nella classica versione del complotto pluto-giudaico viene spesso mascherato dietro l’accusa di controllare la ricchezza mondiale e il movimento dei capitali impoverendo le masse.
L’unione dei complottisti di tutto il mondo contro il nemico comune George Soros è quindi dovuta a una serie di fattori che fanno del suo personaggio un unicum: Soros è impegnato a finanziare proprio ciò che spaventa a tutte le latitudini autocrazie e populisti, ovvero le principali fabbriche di fake news che in alcuni casi dal web rimbalzano sull’informazione mainstream e nelle dichiarazioni di politici ed attivisti, per poi tornare nella rete con una parvenza di autorevolezza. Soros ha 86 anni, ma la sua fondazione continuerà a operare anche dopo la sua morte, con un patrimonio gestito dai figli del magnate. Chissà però se una un’organizzazione acefala non spingerà la marea cospirazionista a rivolgersi verso un nuovo obiettivo comune. Morto un Soros, in fondo, se ne può sempre fare un altro.