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Per il Times, nel suo nuovo libro Elena Ferrante si dimostra incoerente

Michiko Kakutani, la critica letteraria del New York Times, ha pubblicato sul quotidiano americano una recensione marcatamente negativa di Frantumaglia, il titolo americano con cui a novembre verrà presentato oltreoceano La frantumaglia, una raccolta di lettere, saggi e interviste originariamente pubblicata in Italia da E/O nel 2003. Il libro, uno sguardo dietro le quinte a ciò che il suo editore definisce «il laboratorio di Elena Ferrante», è stato definito dalla critica di origini giapponesi «un’impresa enormemente sbagliata da parte tanto dell’autrice quanto di chi la pubblica».

Il senso della stroncatura del Times è già chiaro nel titolo della recensione: “Elena Ferrante Wants Privacy. Her New Book Implies Otherwise”. Nonostante l’autrice sia nota per esprimere il principio secondo cui «i libri, una volta che sono scritti, non hanno bisogno dei loro autori», il contenuto di La frantumaglia punta in un’altra direzione; la Ferrante sostiene spesso che lo scrittore farebbe bene a tenersi in disparte e lasciare che il testo faccia il suo corso, ma «la decisione stessa di mettere insieme questo libro», obietta Kakutani, è una negazione dell’assunto secondo cui la letteratura dovrebbe esistere in uno scrigno lontano dai bisogni dei media e dal volere del mercato.

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In una lettera inedita scritta a un giornalista nel 1995, Ferrante scrive: «Perché, nonostante lei abbia letto il mio libro un anno fa, e nonostante lo ammiri come dice, ha maturato l’idea di mettersi in contatto con me solo ora?». E in altre parti del libro, continua la critica del New York Times, l’autrice napoletana «suona pretenziosa e tronfia» – come quando racconta com’è tornare alla vita di tutti i giorni dopo aver pubblicato un’opera – o pare «giocare al gatto e il topo con la stampa, apparendo al tempo stesso falsamente modesta e passivo-aggressiva».

La stroncatura della Kakutani definisce en passant La frantumaglia «un libro di interviste e riflessioni spesso noioso», ma dichiara di non voler con questo fornire una giustificazione all’inchiesta di Claudio Gatti, che poco tempo fa ha individuato nella traduttrice Anita Raja la vera identità della Ferrante (e citato proprio quest’ultimo libro tra le ragioni che l’hanno convinto a esporre la scrittrice). Eppure, definisce «ironico» che le convinzioni di Elena Ferrante e l’immediatezza dei suoi personaggi siano rappresentati da questa raccolta.