Attualità | Coronavirus
Il culto di Franco Locatelli
Ritratto del presidente del Consiglio superiore di sanità: un professore che ha il magico potere di tranquillizzare chi ascolta.
Luminare, termine che in archeologia designa un’apertura scavata nel tufo delle catacombe per dare aria e luce ai cubicoli: così è il Professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità. Un’entità luminosa che trapassa lo schermo e irraggia i nostri tinelli nel momento più atteso e temuto della giornata, la conferenza delle 18, che ormai più che un appuntamento è un rituale coi suoi sacerdoti. Si attende con impazienza che compaia a fianco di Borrelli e ci si sente delusi se al suo posto c’è il comunque competente Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, che pure è educatissimo, a volte addirittura sorride, o Giovanni Rezza, Direttore del Dipartimento Malattie Infettive. Di Angelo Borrelli, a capo della Protezione Civile, apprezziamo il suo essere uomo pratico, dai modi spicci, che velocemente snocciola i numeri della pandemia, mettendo in fila i guariti, i dimessi, i nuovi contagiati, i deceduti del giorno. Ma è a Locatelli che noi chiediamo il punto della situazione su diagnosi e terapia: sta funzionando? Miglioriamo? Peggioriamo? Stiamo guarendo? Non guariremo?
Fisicamente, è il classico medico dal viso imperturbabile, le mani intrecciate, la calma olimpica durante l’ascolto anamnestico del paziente, che in questo caso siamo noi e le nostre vite sospese. Il Professore ha il magico potere di tranquillizzare immediatamente chi l’ascolta, senza paternalismo, senza nascondere la realtà. Scivola dritto sul tempo a disposizione, cesellando frasi piene di coordinate e subordinate, terminologia medica e prosa aulica. I giornalisti in platea e noi a casa rimaniamo ipnotizzati da una voce che non scandisce ma scolpisce, da una cadenza che più che bergamasca pare quella di un assistente vocale di un impianto domotico. «Non volevo scotomizzare la domanda», e un brivido ci corre lungo la schiena. Con le lacrime agli occhi ringraziamo di avere uno come lui seduto su quella poltrona, in questo momento. Il dizionario locatelliano prevede un’ouverture con ampio uso di avverbi: ovviamente, francamente, violentemente, ardentemente. E poi una sinfonia di “situazione emergenziale”, “pertenere”, “rinunziare”, “sieroprevalenza”, “silvicoltura”, “scenario applicativo”, “prospettiva temporale”, “decisore politico”, “gestione intensivistica”, “nella maniera subottimale”. Nel lessico di Locatelli riusciamo concretamente a vedere le bordate dell’umanità al misterioso virus.
Su Twitter intanto si è formato un fanclub devoto al Presidente del Css, che ha come capo ultras Filippo Sensi (@nomfup), che spiega questo innamoramento così: «Locatelli risolve problemi, come mister Wolf. Addomestica l’imprevisto, riporta l’insopportabile dentro l’orizzonte di una razionalità distesa, ci trasporta a quel professore per il quale abbiamo scelto di fare quella facoltà e non un’altra, a quell’incontro che ci ha cambiato la vita, dicendoci “tranquillo, andrà tutto bene”». E ancora: «Locatelli ha questa virtù comunicativa: la capacità acustica, sonora, prima ancora che argomentativa, di rallentare il tempo dell’emergenza, un’abilità di straniamento, tutt’altro che ingannevole, che ci trasporta nell’altrove e dove ognuno di noi, ora, vorrebbe stare. Abbiamo bisogno non tanto di uomini, ma di fidarci. Abbiamo bisogno della parola, della sua virtù di dire e nascondere, di isolare ciò che cerchiamo e di celare ciò che non vogliamo sentirci dire. La lingua di Locatelli, la sua gestualità impassibile, la prossemica, la circolarità del suo eloquio fiorito, sono quello che, in uno stato di eccezione, ci consegna a una impossibile normalità».
Prima che anche Twitter scoprisse il talento comunicativo del Professor Locatelli, Facebook era già pieno di gruppi, post e commenti dedicati a lui. Il grande pubblico l’aveva già incrociato: è lui che ha operato e guarito il piccolo Alex, affetto da malattia genetica rara e non curabile per i medici inglesi; il bambino la cui storia aveva tenuto col fiato sospeso il mondo e scatenato una corsa alla donazione di midollo osseo. Perché Franco Locatelli prima di essere eletto presidente del Css è stato Primario di Oncoematologia pediatrica e medicina trasfusionale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Cioè: Locatelli è uno che ha salvato tanti bambini da malattie dai nomi terribili, come la leucemia e il neuroblastoma. In campo medico, è più che un luminare, è una star che ha raggiunto risultati definiti “eccezionali” dalla stampa di settore, un’eccellenza totalmente italiana e in più di un’umiltà abbacinante. Nelle vecchie interviste, lo si vede sempre ascoltare impassibile il giornalista di turno che elenca i suoi successi. Pazientemente risponde che il merito non è suo ma della ricerca scientifica, della sua équipe, del Sistema sanitario nazionale italiano che loda da molto prima che diventasse Presidente del Css: «Dovremmo smetterla di spararci sui piedi – dice in un’intervista dell’anno scorso – Di eccedere con il vittimismo e con l’eccesso di autocritica. Il nostro Paese è assillato da molti problemi, nessuno lo nasconde, ma è anche molto ricco di pregi. L’Italia è rimasta una delle poche nazioni al mondo dove cure sofisticate e costose sono a disposizione di tutti, indistintamente».
Sulla pagina Facebook del Bambin Gesù, al post dove viene data la notizia della sua investitura a capo del Css si contano dodicimila Like e centinaia di commenti di persone riconoscenti, che lo ringraziano per aver salvato la loro vita o quella di un figlio o di un nipote. Altro che Bimbe di Giuseppe Conte, qui ci sono i bimbi di Franco Locatelli, classe 1960, di Bergamo, con un fratello gemello, senza neanche una pagina Wikipedia dedicata. Un compagno di classe delle medie in un’intervista a un giornale locale bergamasco lo ricorda così: «Anno scolastico 1971-’72, scuola media, classe seconda. Compito in classe di matematica, tempo a disposizione: due ore. Io lo consegno sul filo di lana. Franco, il mio compagno di banco, dopo 25 minuti. Naturalmente prende 10». La tentazione di farlo santo è forte, d’altronde il miracolo postmoderno ha la forma del protocollo sanitario. Al medico ci rivolgiamo piangenti e dolenti ponendo la fatidica domanda: Guariremo? Sogniamo l’ultima conferenza delle 18:00, quella in cui finalmente il Professor Locatelli si toglie gli occhiali, disintreccia le dita, allarga le braccia e dice: Andate. La conferenza è finita. Potete uscire dalle vostre case.