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Il ragazzo e l’airone, la fantasia finale di Hayao Miyazaki

Esce oggi nelle sale italiane il nuovo film dello Studio Ghibli, romanzo di formazione, avventura fantastica e, soprattutto, autobiografia dell'uomo che ha cambiato la storia dell'animazione contemporanea.

di Francesco Gerardi

Quando Hayao Miyazaki ha iniziato a lavorare sul Ragazzo e l’airone, era convinto di essere in punto di morte. L’animatore Takeshi Honda ha raccontato che nelle primissime fasi di pre-produzione Miyazaki gli fece una telefonata per convincerlo a lasciare il suo lavoro dell’epoca – animatore presso lo Studio Khara di Hideaki Anno, in quel periodo impegnato sull’ultimo film della tetralogia Rebuild di Evangelion, serie alla quale Il ragazzo e l’airone fa diversi rimandi estetici – e passare allo Studio Ghibli. «Non mi resta molto tempo, nessun Miyazaki è mai sopravvissuto fino agli ottant’anni, quindi devi per forza venire a lavorare a questo film». Era il 2013 quando Honda accettava la “proposta” di Miyazaki. Il 5 gennaio Miyazaki compirà 83 anni: festeggerà lavorando al suo prossimo film, un nuovo progetto al quale pare abbia cominciato a pensare il giorno dopo la fine della post produzione del Ragazzo e l’airone. La pensione è rimandata anche questa volta («perché mi va così», la risposta a chi gli chiede perché non si gode il meritato riposo), l’intenzione è essere il primo Miyazaki a sopravvivere fino ai novant’anni.

Non che mentisse quando diceva che questo sarebbe stato il suo ultimo film, Miyazaki. Il ragazzo e l’airone contiene tutte le parti che una fantasia finale dovrebbe contenere: morale, lezione, commiato, testamento. Nella “solita” cornice isekai –  quel particolare romanzo di formazione in cui il/la giovane protagonista trova la via all’età adulta grazie a un’avventura vissuta in un mondo parallelo fantastico, un altro di quei mondi perduti che Miyazaki sostiene tutti desideriamo da svegli e tutti viviamo nei sogni – Miyazaki fa la cosa che non ha mai fatto in passato (o che ha fatto sempre, però mai così esplicitamente): parla di sé, di fatto in prima persona. Il produttore Toshio Suzuki ha detto che Il ragazzo e l’airone è il film più personale che Miyazaki abbia mai fatto (oltre che il più costoso mai realizzato in Giappone, tanto che potrebbero non bastare gli altissimi incassi in patria e negli Usa a coprire le spese): il protagonista Mahito Maki è, più che un surrogato, un ricordo. Il film comincia con una scena – splendidamente animata da Otsushi Okui – di fuoco e fiamme in cui Mahito scopre la guerra (siamo a ridosso della battaglia di Saipan) e perde la madre: «I miei primi ricordi sono città bombardate», ha raccontato Miyazaki. Mahito ha un padre affezionato ma indecifrabile, arricchitosi grazie alla guerra che ha ucciso la moglie: fabbrica aerei – sempre gli aerei – proprio come il padre di Miyazaki durante la Seconda guerra mondiale. Mahito legge avidamente E voi come vivrete?, romanzo moralistico pubblicato da Genzaburo Yoshino nel 1937 nella speranza di ricordare ai giovani la differenza tra bene e male in un Paese ormai irrimediabilmente militarista.

Tra i giovani salvati da quel libro ci fu anche Miyazaki, che lo leggeva e rileggeva in continuazione (il pacifismo è diventato così per lui un’ideologia politica, un’idea di mondo che in passato lo ha spinto a prendere posizione anche contro l’allora Primo ministro giapponese Shinzo Abe, colpevole di voler riformare la costituzione pacifista del Giappone). E voi come vivrete? divenne il suo libro preferito nonostante la censura, ed è rimasto tale fino a oggi ed è tornato utile quando si è trattato di scegliere il titolo della sua “autobiografia” cinematografica: in giapponese è E voi come vivrete?, appunto. Che è il titolo giusto, al contrario del favolistico Il ragazzo e l’airone, traduzione italiana di quello scelto per la distribuzione americana. E voi come vivrete la perdita, il lutto, la morte, chiede il regista. Il ragazzo e l’airone all’inizio doveva essere un altro film: una biografia romanzata non sua ma dello Studio Ghibli, cioè sua, di Toshio Suzuki e di Isao Takahata. Quest’ultimo è morto però nel 2018 a causa di un cancro ai polmoni, e Miyazaki si è trovato a 78 anni a chiedersi ancora una volta come avrebbe vissuto.

I dieci anni necessari a finire Il ragazzo e l’airone non si spiegano soltanto con la solita maniacalità del regista, con l’ossessione per il disegno a mano che porta un gruppo di sessanta animatori navigatissimi alla produzione di appena un minuto di animazione al mese. Stavolta le lungaggini produttive hanno avuto a che vedere anche con il modo di Miyazaki di vivere la perdita, il lutto, la morte. Devastato dalla scomparsa dell’amico di una vita, non è riuscito a lavorare al suo storyboard – Miyazaki non scrive sceneggiature, disegna, inchiostra e dipinge un vero e proprio fumetto che poi gli animatori trasformano in film – per mesi. Quando ha ricominciato a farlo, ha buttato tutto il lavoro fatto nei cinque anni precedenti e ha ricominciato da capo. All’inizio il film doveva essere (soprattutto) la storia di Mahito e del prozio, il misterioso demiurgo del mondo parallelo in cui si svolge l’avventura del ragazzino. Il prozio è Takahata, il mentore al quale Miyazaki deve tutto. Dopo la morte di Takahata, il film che il regista aveva in mente era uno troppo doloroso da girare. E voi come vivrete? diventa così Il ragazzo e l’airone, la storia di Miyazaki e del suo mentore Takahata diventa quella di Miyazaki e del suo sodale Suzuki, trasfigurato nell’uomo-airone la cui immagine è stata l’unico sforzo promozionale di un regista mai così infastidito dalle meccaniche “hypistiche” dell’industria cinematografica.

Al Ragazzo e l’airone è stata fatta la critica solita che viene fatta ai film di Miyazaki: non si capisce niente, il significato finisce sepolto sotto strati e strati di simboli, virtuosismi, citazioni (la mia preferita di queste ultime: quella all’incubo di Guido Anselmi in 8 e ½). Che è paradossalmente anche la sostanza degli elogi che gli sono stati fatti: nessuno usa i simboli, “anima” lo schermo, rimanda a se stesso e agli altri come Miyazaki. Purtroppo è il destino amaro di ogni eccellenza, quello di essere ridotta sempre e comunque, nel bene e nel male a se stessa, privata di un contesto e di un’interpretazione che vadano oltre i propri confini. È vero però che Il ragazzo e l’airone è un film criptico, tanto di più questa volta in cui Miyazaki ha deciso di parlare di sé: d’altronde tutte le persone la cui storia personale è una storia che valga la pena raccontare si aspettano che il pubblico sappia, capisca.

Ma anche oltre la sua interpretazione simbolica e pure tralasciando la sua ricercatezza estetica, al Ragazzo e l’airone resta più che una storia da raccontare e un messaggio da dare. Il ragazzo e l’airone ha uno scopo – verrebbe da dire pedagogico – come ce lo aveva il romanzo che lo ha ispirato. Nella scelta finale di Mahito, nel suo rifiuto di un mondo altro che gli avrebbe risparmiato gli orrori di questo, Miyazaki mette la sua risposta alla domanda “e voi come vivrete?”. Non cercate i paradisi artificiali, nemmeno quelli che vi offro io, dice il regista. Rifiutate l’escapismo, che si travesta da intrattenimento o che si spacci per arte. Vivete il mondo e la condizione umana, per quanto deludenti e miserabili essi siano. Trovatevi un mentore e un amico, un mestiere e un sogno. Se deciderete di vivere così, per le distrazioni che vi portano lontani dalla realtà ci sarà sempre tempo, non vi preoccupate. Hayao Miyazaki sta già lavorando alla prossima, lui ha deciso che è così che vivrà.