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Essere felici fa bene, ma non ovunque

Che chiunque desideri essere felice è un assunto che diamo per scontato. Certo, a nostre spese abbiamo imparato che il concetto di felicità è molto più articolato e complesso di come ce lo figuravamo da bambini. No, non si tratta di una linea retta che comincia a un certo punto della linea del tempo e si allunga per l’eternità (“e vissero per sempre felici e contenti”), ma di un insieme disordinatissimo di frammenti sparsi abbastanza casualmente per la nostra esistenza. In realtà, come riporta un articolo di The Cut, la situazione è ancora più complicata: la felicità, infatti, è semplicemente un costrutto culturale e non è da considerare un obiettivo di tutti.

La riflessione prende forma a partire da alcune ricerche condotte per determinare il legame tra felicità e salute. Pochi mesi fa il New York Times ha riportato uno studio che identificava un collegamento tra il sentirsi felici e l’essere sani. Ma una recente ricerca ha dimostrato che la percezione culturale dello stato mentale più auspicabile può influenzare i suoi effetti sul nostro stato fisico. Lo studio, pubblicato il mese scorso nella rivista Psychological Science, riporta che se negli Usa le sensazioni positive sono legate a un miglioramento della salute fisica, lo stesso non avviene, ad esempio, tra le persone di cultura giapponese.

Ai partecipanti è stata chiesta la frequenza con la quale negli ultimi 30 anni hanno provato dieci differenti emozioni e campioni di sangue sono stati prelevati per misurare i livelli di salute generale. «Gli americani che hanno vissuto tante emozioni positive avevano profili di salute buoni», ha raccontato la ricercatrice Jiah Yoo, «la stessa relazione tra felicità e benessere non era identificabile tra i giapponesi. La discrepanza suggerisce che l’effetto positivo delle emozioni sulla salute non è completamente dovuto dalla loro natura intrinseca, ma dipende anche dal contesto culturale».

La concezione occidentale della felicità è legata all’esperienza di emozioni forti e alla realizzazione individuale. Il goal è sentirsi al massimo, entusiasti, pieni di energia. Nella cultura asiatica, invece, si tende a ricercare sensazioni più vicine alla calma, alla riservatezza e alla condivisione. Forse, conclude Jiah Yoo, se la nostra cultura iniziasse a considerare anche le sensazioni meno positive come sentimenti accettabili la nostra salute fisica e mentale generale potrebbe migliorare. D’altra parte quando ci condanna a un’instancabile, stressante ricerca di uno stato di benessere impossibile da raggiungere, il mito della felicità può addirittura rivelarsi nocivo.

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