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Fallisci ancora, Friedkin

Il regista dell'Esorcista compie ottant'anni. Vita di un uomo di cinema i cui fallimenti sono interessanti quanto i successi.

di Federico Bernocchi

A pagina 501 del suo bellissimo libro autobiografico Il buio e la luce. La mia vita e i miei film, edito da Bompiani Overlook, il regista William Friedkin parla della preproduzione di uno dei suoi film, Regole d’Onore e racconta di uno dei primi incontri con il produttore Scott Rudin, uno di quegli uomini di cinema di cui è pieno il libro di Friedkin; uno il cui nome è legato a pellicole come Non è Un Paese per Vecchi, The Truman Show, Sister Act o In & Out. Friedkin lo descrive come persona intelligente, testarda e caustica. Aggiunge anche: «Spesso i suoi fallimenti sono interessanti quanto i suoi successi». Si parla di un’altra persona, ma dentro questa frase, a ben vedere, si nasconde il segreto della vita e della carriera di William Friedkin.

Ma chi è William Friedkin? Certo, è il regista de L’Esorcista. Sicuro, è quello che ha vinto l’Oscar per Il Braccio Violento della Legge. Ok, è quello che ha contribuito a rilanciare Matthew McCounaghey con il suo bellissimo Killer Joe. Ma è molto altro. Parliamo di un uomo che ha cominciato a lavorare nel mondo dello spettacolo poco più che ventenne, occupandosi della regia dei vecchi spettacoli televisivi in diretta per la Wgn di Chicago. Un ragazzo che, folgorato poi dalla visione di Quarto Potere di Orson Welles e da La Sagra della Primavera di Stravinskij, è riuscito in breve tempo a diventare una delle figure cardine del cinema statunitense. E la cosa incedibile è che tutto questo l’ha fatto sbagliando, prendendo degli abbagli, sottovalutando situazioni al limite o sopravvalutando le sue capacità critiche. Forse anzi, il film che meglio ce lo racconta è proprio quello che ha rischiato di distruggerlo, Il Salario della Paura del 1977. 

LA Screening Of "The Exorcist" Re-Release

Dopo un esordio tutt’altro che facile, tra documentari per la televisione e qualche piccolo film passato inosservato dal pubblico, Friedkin riesce a diventare uno dei registi più importanti del mondo. Certo, qualche soddisfazione se l’era già tolta: aveva diretto in maniera quasi del tutto amatoriale un documentario potente e innovativo come The People vs. Paul Crump; era stato chiamato a mettere la sua firma sull’ultimo episodio dell’ultima serie di Alfred Hitchcock Presenta; aveva anticipato in qualche modo il linguaggio dei video musicali con Good Times, film con protagonisti gli allora famosissimi Sonny & Cher; aveva dato prova di essere uno con le idee più che chiare con Festa di Compleanno,  trasposizione cinematografica dell’opera di Harold Pinter Il Compleanno. Ma anche se gli studios sembravano credere in lui e nel suo talento, quella che mancava era un successo commerciale. Le cose non migliorarono con i successivi Quella Notte Inventarono lo Spogliarello e Festa per il Compleanno del Caro Amico Harold. Dopo quattro flop al botteghino, molto registi avrebbero gettato la spugna o, ancora più facile, sarebbero stati allontanati da Hollywood come degli appestati. Friedkin invece riesce a mettere a segno un colpo che forse neanche lui sapeva di avere.

Nel 1971 realizza Il Braccio Violento della Legge. Cinque Oscar per un poliziesco ancora oggi teso come una corda di violino che riscrive le regole del genere, lancia attori del calibro di Gene Hackman e Roy Scheider e contiene una sequenza di inseguimento ancora oggi considerata tra le più efficaci e spettacolari di sempre. Un film girato in maniera quasi carbonara, andando contro ogni regola produttiva, rubando intere scene girate di nascosto in strada, creando ingorghi stradali tali da paralizzare New York senza avere uno straccio di permesso. Il Braccio Violento della Legge sconvolge Hollywood con il suo montaggio folle e arrogante, con una storia vera, documentata da atti e dichiarazioni della polizia, trasformata in un manuale perfetto di sceneggiatura. Si vede che il regista viene dal documentario ma è in grado di incollare lo spettatore alla sedia con una personaggi, temi e figure che da allora non abbiamo mai più abbandonato. Il film successivo sarà quello che consacrerà per sempre la sua fama.

Due anni più tardi, dopo una lavorazione che definire travagliata è poco, esce nelle sale di tutto il mondo L’Esorcista, un film la cui forza resiste ancora oggi, a distanza di più di quarant’anni. L’aura maledetta che pervade il titolo – gli incidenti sul set, il rapporto conflittuale tra il regista e l’autore del libro William Peter Blatty, gli attriti con la Chiesa – accresce a dismisura la fama del regista. Dopo quattro insuccessi, Friedkin sembra aver trovato la formula perfetta per Hollywood. Il suo successo è inarrestabile e, come ammette candidamente nel libro, si monta drammaticamente la testa. In poco tempo diventa, a suo dire, di rara arroganza e comincia a perdere di vista la situazione. Convinto di essere l’unico regista valido in attività, arriva a non voler partecipare alla produzione di Guerre Stellari, pensando che sarà un flop. Vede in anteprima Lo Squalo di Spielberg e lo trova poca cosa. Consiglia a Francis Ford Coppola di modificare il suo La Conversazione, che reputa piatto e poco interessante. Sbatte la porta in faccia a personaggi come Bernard Hermann, Lalo Schifrin,  Steve McQueen e ignora qualsiasi indicazione o consiglio degli executive della Paramount e della Universal.

Quattro anni dopo, nel 1977, Friedkin si mette in testa di girare il suo film definitivo. Sceglie di portare sul grande schermo il romanzo Le Salaire de la Puer di Georges Arnaud, già diventato un film nel 1953 col titolo di Vite Vendute per mano di Henri-Georges Clouzot, regista del culto totale I Diabolici. La storia è questa: quattro uomini disperati – un killer messicano, uno squalo della finanza francese, un rapinatore di Brooklyn e un terrorista palestinese – si ritrovano in un piccolo paese dell’America Centrale. Senza più nulla da perdere, scappati dalle loro vite, accettano di guidare due camion con all’interno della dinamite instabile per dei pericolosissimi sentieri nella giungla. Un’impresa disperata, titanica, folle, con la Morte che aleggia sopra di loro in ogni momento. Una sorta di Fitzcarraldo di herzoghiana memoria, con più testoterone.

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E così anche la lavorazione del film: Friedkin prima si impegna per mettere in difficoltà un cast perfetto composto dal già citato McQueen, Lino Ventura, Robert Mitchum e il nostro Marcello Mastroianni. Una volta incassato il rifiuto da parte di Mitchum e McQueen, che pure volevano fare il film ma non potevano venire incontro ad alcune richieste del regista, Friedkin si trova a dover ripiegare su quelle che lui considera delle seconde scelte: il povero Roy Scheider, Bruno Cremer, Francisco Rabal e Amidou. Successivamente comincia a esasperare i produttori del film esigendo di andare a girare in Ecuador e spendendo milioni di dollari in più del previsto per girare come voleva la sequenza in cui il camion attraversa un ponte traballante.  Pur con tutti i segnali del caso, gli avvertimenti di amici e produttori, Friedkin riesce a portare a termine il suo film ed è convinto del suo potenziale. Sfortunatamente però Il Salario della Paura è un bagno di sangue al botteghino e rovina quasi indelebilmente la carriera dell’Autore. Le cause sono molte: in primo luogo il 1977 è l’anno di Guerre Stellari, un film diametralmente opposto a Il Salario della Paura. Quanto quest’ultimo è pessimista, duro, violento e disperato, tanto il film di Lucas strega il pubblico con il suo ottimismo e senso del fantastico.

Eppure rivisto oggi, Il Salario della Paura, si rivela per quello che è sempre stato: un capolavoro. Un fallimento importante quanto, se non di più, di un successo. Un film diventato col tempo metafora della vita del suo creatore. Da quel momento Friedkin non è stato più lui. Certo, ha continuato a sfornare capolavori coraggiosi, cupi e intransigenti come Vivere e Morire a Los Angeles, Bug, il suo remake de La Parola ai Giurati o Killer Joe, ma Hollywood, che come sappiamo non perdona, gli ha definitivamente voltato le spalle. Eppure, dopo vari interventi al cuore, dopo tante porte sbattute in faccia, dopo che il telefono ha smesso di suonare, dopo tre divorzi e tanti fallimenti, William Friedkin è ancora lì a fare il cinema che vuole. Il 29 agosto compie ottant’anni. Nel fargli gli auguri, lo ringraziamo per aver reso il Cinema più bello. Anche con i suoi fallimenti.