Attualità

Eurovegas

L'ottavo uomo più ricco d'America e la sua pazza idea di portare Las Vegas nel cuore della Spagna

di Nicola Bozzi

Madrid e Las Vegas, città della notte. In una nasce la Movida post-Franco, movimento sociale e culturale sostenuto ai tempi anche dall’alcalde Galván, nell’altra gangster di Chicago si mischiano a Elvis e Rat Pack. Entrambe baciate dal sole (l’una da quello che dà il nome alla sua piazza principale, l’altra da quello del deserto) e stroncate dallo scoppio della bolla immobiliare. Las Vegas è nota come un agglomerato che si espande a macchia d’olio nel deserto del Nevada, in tutte le direzioni, con un’economia che dipende da servizi e costruzioni. Con la crisi la botta è stata fortissima, pignoramenti e disoccupazione sono saliti a livelli vertiginosi. La situazione della Spagna la conosciamo tutti invece: fanalino di coda tra i grandi europei come il Nevada lo è degli Usa, nella sua capitale migliaia di persone si sono trovate a perdere la casa di proprietà, con l’aggravante che lì, se ti sfrattano, devi comunque finire di pagare il mutuo. Era proprio questo uno dei punti principali (e meno astratti) attorno al quale gli spagnoli si sono radunati il 15 marzo dell’anno scorso, ancora a Puerta del Sol, luogo di nascita della Movida. Si sono indignati tutti insieme in piazza e su Internet, e il loro esausto entusiasmo ha ispirato anche il movimento Occupy di Zuccotti Park. Irradiatosi poi, pensate un po’, fino a Las Vegas.

C’è però qualcos’altro a legare la Città del Peccato con quella di Almodovar, e sarebbe il miliardario americano Sheldon Adelson.

Ottavo in ordine di ricchezza in USA e sedicesimo al mondo, il tycoon ben rappresenta il mito del rags to riches: inizia vendendo kit per sanitari, diventa ricco organizzando fiere di computer e poi ricchissimo con i casinò (sono suoi gli allucinanti Palazzo e Venetian, quest’ultimo esportato anche in Cina, a Macao). Vita personale travagliata, ex democratico ora passato dall’altra parte, Adelson non apprezza nè Obama nè i sindacati, supporta invece Gingrich (generosamente) e Israele (a spada tratta). Da giocatore d’azzardo non s’è scoraggiato quando nel 2008 la crisi l’ha quasi mandato in bancarotta, recuperando i miliardi perduti e continuando l’espansione oltre i confini della Città del Vizio fino in Asia, dove nel 2010 ha aperto la Marina Bay Sands, una lussuosissima resort a Singapore.

Adesso il pecunioso magnate ha gli occhi sulla Spagna. L’idea è farci una resort con sei casinò, 12 hotel, nove teatri e tre campi da golf. Il nome? Eurovegas, così ovvio che forse cambierà perché già ne stanno aprendo uno in Ungheria quelli dell’Hard Rock Cafè. Perchè la Spagna? Sarà il bel tempo, ma anche l’alta disoccupazione che, in tempi di magra, rende il progetto molto più appetibile per il governo. Secondo Las Vegas Sands (la compagnia di Adelson) il resort costerà 16 miliardi di euro, ma sarà in grado di attirare 11 milioni di turisti all’anno, da sommare ai 57 che già visitano il paese di Cervantes. Per il momento Barcellona e Madrid si stanno contendendo l’affare, ma sembra che la capitale sia in pole position.

A parte l’entusiasmo delle autorità, però, non mancano le controversie e le proteste. Proprio ieri il miliardario ha visitato Alcorcòn, il comune vicino Madrid dove potrebbe sorgere il tutto, e la sua visita è stata contestata per motivi ambientali e di trasparenza. Anche a Barcellona l’impatto ecologico è una preoccupazione, dal momento che una delle quattro possibili location catalane scelte è vicina a un parco naturale (c’è comunque anche un sito di supporto, che “vanta” ben 31 like su Facebook). Ma l’aspetto naturale è solo uno dei tanti: secondo l’eurodeputato di Sinistra Unita Willy Meyer il sito rischia di diventare un centro di speculazione urbanistica e di prostituzione, una zona franca con scarso riguardo per i diritti dei lavoratori e le leggi locali. A questo punto si potrebbero citare alcune indagini su Adelson (che riguardano il suo presunto coinvolgimento in attività illecite come corruzione e connivenza con le triadi a Macao), ma è più semplice dare un’occhiata alle condizioni che il magnate pone alle autorità spagnole per l’avvio di Eurovegas. Tra gli sgravi fiscali notevoli e l’esenzione dal rispetto di norme su fumo e limiti di accesso ai casinò, infatti, oltre alla modifica delle leggi sulle assunzioni l’americano chiede anche di non pagare i contributi previdenziali dei lavoratori per due anni. Sicuramente le assunzioni più facili possono aiutare a raggiungere quei 260.000 posti di lavoro (diretti o indiretti) che la LVS promette di creare, ma tagliare i contributi agli stessi lavoratori non sembrerebbe nel loro migliore interesse. Ma mentre gruppi di cittadini si sono organizzati in piattaforme come Eurovegas No e Detengamos Eurovegas Alcorcòn, le autorità spagnole potrebbero trovarsi a considerare decisioni alle quali, in contesti meno disperati, non avrebbero neanche pensato. Intanto in borsa, nel corso degli ultimi tre anni, la LVS è andata anche meglio della Apple, nel caso Adelson si decidesse davvero entro un mese come dice, Eurovegas potrebbe portargli ancora più fortuna.

Se la seducente epica quasi tolkieniana delle piattaforme di cittadini spagnoli contro lo speculatore di Mordor può essere troppo semplicistica, quasi troppo perfetta nella sua dialettica per essere vera, aspettarsi che la formula Vegas salvi chi oggi affolla Puerta del Sol è quantomeno giocare d’azzardo.  Come non manca di far notare El Pais, il formato non funziona troppo bene nemmeno nel suo contesto natale, tranne forse per i proprietari di casinò come Adelson. La grandiosità e il costruzionismo recidivo del progetto, poi, sembrano davvero poco sostenibili e le sue soluzioni economiche troppo parziali. Staremo a vedere se la Spagna vincerà la propria scommessa.