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Le cose che conosco sull’estrema destra a Milano

La scuola e la cultura politica di Fratelli d'Italia vista dal capoluogo lombardo.

di Davide Coppo

Il Ministro della Gioventù Giorgia Meloni partecipa alla cerimonia di premiazione "La Meglio Gioventu" al Festival Internazionale del Film di Roma all'Auditorium Parco della Musica il 22 ottobre 2009 a Roma (Foto di Elisabetta Villa/Getty Images)

Il saluto cosiddetto gladiatorio si fa stringendosi a vicenda, con la mano, l’avambraccio destro, a metà strada tra il gomito e il polso. Non ne conosco l’origine, ma è il saluto più tipico, da diversi decenni, negli ambienti del neofascismo italiano. Un saluto di riconoscimento, più discreto di quello romano. In un video girato con una telecamera nascosta da un giornalista di Fanpage, nella prima puntata dell’inchiesta “Lobby Nera”, se ne vedono diversi. A farli, i diversi protagonisti del video: Roberto Jonghi Lavarini, faccendiere conosciuto anche come Barone Nero, e poi Carlo Fidanza, eurodeputato di Fratelli d’Italia, e altri partecipanti a un cosiddetto aperitivo elettorale per la candidata al consiglio comunale Chiara Valcepina. Jonghi Lavarini, che ha una voce squillante ed è allegro, gioioso, la chiama «patriota fra i patrioti». Dopo dice: «Potremmo usare un altro termine al posto di patriota».

La rilevanza penale dell’inchiesta, in questa prima puntata, gira intorno a dei presunti finanziamenti in nero che il Barone gestirebbe a favore di Fidanza e della campagna elettorale del centrodestra di Milano che sostiene, senza nemmeno troppa convinzione, il pediatra Luca Bernardo. Le dichiarazioni politiche, invece, si stanno concentrando sulla cornice simbolica, per così dire, di quei primi 15 minuti di girato: i saluti romani, le battute sull’affondamento di barche cariche di migranti, i riferimenti goliardici a Hitler e meno goliardici a un reale apparato “informale” che il Barone, dice lui stesso velatamente, manovra per influenzare l’intero centrodestra italiano, composto da nazisti, ex militari, servizi segreti, massoni. Curioso che, in mezzo a questo allegro ostensorio, si mascheri, con la parola «patriota», un termine così abusato (anche a sinistra) come fascista.

Che Fratelli d’Italia sia un partito che affonda le fondamenta del proprio immaginario nel fascismo e nel neofascismo degli anni Settanta è lampante da diversi episodi di cronaca che, con una cadenza quasi regolare, affiorano alla luce del sole. Nessuno, dentro il partito, si è mai definito antifascista. Dopo la pubblicazione del video Meloni ha ribadito che «dentro Fratelli d’Italia non c’è spazio per razzisti, antisemiti e paranazisti», senza nessun riferimento a chi invece si ispira direttamente al fascismo. La scuola di formazione politica di Fratelli d’Italia, e prima di Alleanza Nazionale, ha un’impronta smaccatamente nostalgica. Forse non tanto del Ventennio, ma certamente di una destra comunque estrema cresciuta nel Dopoguerra grazie a figure che il fascismo lo fecero e lo vissero. Non sono, i protagonisti di questa video-inchiesta, esponenti di una destra muscolare, poco alfabetizzata, priva di riferimenti ideologici e dedita a becere reazioni istintuali. È invece, questa, una destra che a Milano ha una storia lunga, celebre negli anni Settanta, ma cresciuta soprattutto negli Ottanta e nei Novanta intorno a via Mancini, in zona Risorgimento: la sede, un tempo, del Fronte della Gioventù, e successivamente del movimento giovanile di Alleanza Nazionale, Azione Studentesca. In questa scuola si formò Giorgia Meloni, fianco a fianco a Carlo Fidanza. In via Mancini, per diversi mesi, poco meno di due anni, mi è capitato di vederli, ascoltarli, parlare con loro. Fare saluti gladiatori.

Ho frequentato questa destra semiestrema milanese nei primi anni del millennio, i primi del mio liceo, prima di partire, ideologicamente, per lidi per così dire lontani. Era un momento in cui per la prima volta, dalla Liberazione dal nazifascismo, l’Italia esprimeva un Consiglio dei ministri con ben quattro esponenti di una destra di ispirazione dichiaratamente missina. Oltreché un vicepresidente, Gianfranco Fini, che di lì a pochi giorni seguirà il massacro del G8 direttamente dalla sala operativa della Questura di Genova. Oggi, esattamente 20 anni dopo, siamo tristemente abituati o assuefatti a un Ministro dell’Interno che parla un linguaggio violento ed elementare, che ammicca a CasaPound e twitta “Molti nemici, molto onore”, ma allora gli anticorpi democratici erano più forti, oppure meno usurati. Il loro indebolimento iniziò anche con quel governo, fatto di un ex Repubblichino come Mirko Tremaglia a capo di un ministero e, nel 2004, l’istituzione del Giorno del ricordo che nell’estate 2021 è stata così violentemente dibattuta. Cosa ci facessi io lì, perché ci sia finito e con che apparato critico vivessi quel momento è un’altra storia, e la racconterò, forse, in un altro momento. Per ora basti dire che c’ero, e qualcosa conosco, e qualcosa, dopo quel video, ho riconosciuto e ricordato.

La destra giovanile in cui sono cresciuti Meloni e Fidanza è innanzitutto politicamente furba, perché da un lato è destra di governo, con una faccia pulita per le telecamere, e dall’altro con ancora le croci celtiche appese al muro. È poi una destra sociale, economicamente con tratti socialisteggianti, anti-liberista e anti-capitalista. Una destra con il mito di un’Europa forte, riassunto nello slogan di allora “Europa Nazione”, e quindi fortemente anti-americana e anti-imperialista. Poi filo-palestinese, e affascinata da un certo Islam – come lo fu, d’altra parte, il nazismo, che in chiave antiebraica lavorò con il Gran Muftì di Gerusalemme alla creazione della divisione musulmana “Handschar”, scimitarra, delle Ss. Ricordo ancora una delle canzoni più celebri della cosiddetta Musica Alternativa, sorta di folk di destra italiano, si chiama “Settembre Nero”, ed è una celebrazione della resistenza anti-israeliana in cui è facile individuare, tuttavia, il riflesso antisemita. A titolo di puro esempio, una parte del testo recita: «Troppo ci pesava portare sulla schiena / il dominio di una razza di mercanti. / Se con l’oro hanno comprato la mia casa e la mia terra / la mia libertà si paga con il sangue».

È una destra con un pantheon letterario fatto naturalmente di Ezra Pound e J.R.R. Tolkien, una destra che ha adottato come simboli l’eroismo di Jan Palach e la lotta indipendentista dell’I.R.A. Una destra che ogni anno ricorda il camerata Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi, la strage di Acca Larentia, l’orribile rogo di Primavalle. Che segue, insomma, tutta la liturgia dei suoi morti, ignorati invece da quella più centrista. Una destra che si chiama vicendevolmente camerata. Una destra di saluti romani che non sono mai mancati. Quelli di ogni 29 aprile al cosiddetto “presente” per Ramelli, in cui passavano esponenti politici di primo piano come Romano La Russa, fratello di Ignazio, a lungo consigliere regionale in Lombardia e nel 2004 eletto, come Carlo Fidanza pochi anni dopo, al Parlamento europeo. Non è fango, e non è nemmeno nulla di segreto: è il dna di questa destra, nata con AN ma con radici piantate nel Msi, che è da un lato centro e dall’altro estrema, e in questa ambiguità cresce robusta, sapendo benissimo il fatto suo. Mi è capitato di cercare su Facebook, per pura curiosità, alcune vecchie conoscenze di quegli anni, come si fa con i compagni delle medie o delle elementari. Non succede spesso, con i compagni delle medie, di imbattersi in poster di Robert Brasillach in salotto.

Sì, ogni tanto spuntano consiglieri che ostentano un estremismo grottesco, macchiettistici o poco furbi, come il friulano Vaccarin, beccato vestito da nazista nel luglio 2020, o la veneta Elena Donazzan che cantò “Faccetta nera” in diretta radio e “commemorò” il 25 aprile in una foiba dove erano stati giustiziati 14 soldati nazisti. Ma il resto dell’immaginario diciamo meloniano, e finiano ancora prima, è più educato, discreto, organizzato. Non per questo però moderato, e non per questo liberal-conservatore. Soprattutto è da sempre di pubblico dominio, conosciuto da decenni e decenni di tradizione politica, e mai nascosto. Per questo mi stupisce lo stupore e l’indignazione, sia del pubblico che quella, ancora di più, degli avversari politici di centrosinistra.

Di fatto, dal 1946 a oggi, la destra italiana è esattamente questa cosa qui. E sarebbe ora di considerare il liberalismo berlusconiano, che liberale non fu alla fine quasi mai, non come una svolta nel panorama conservatore del Paese, ma un’eccezione circoscritta e ormai da tempo terminata. Lo stesso Berlusconi flirtò con gli estremismi, talvolta normalizzandoli, credendo di poterli domare con le cariche istituzionali, talvolta servendosene per piccole percentuali di voto, come nel caso delle Regionali 2005, in cui la Casa delle Libertà si presentò appoggiata dalla coalizione neofascista di Alternativa Sociale di Fiore, Mussolini e Tilgher – prima di dividersi, a pochi giorni dal voto, in seguito alle polemiche di certe candidature cosiddette “impresentabili”.

Spesso, a sinistra o centrosinistra, negli ultimi anni, quelli del post-renzismo per così dire, sento parlare di disaffezione all’arte della politica, di una mancanza di ricambio e quindi di un coordinamento giovanile all’altezza delle stagioni precedenti, dell’indebolimento della scuola politica che fece grande prima il Pci, e poi il PdS e via via, sempre meno, tutte le sigle successive. A destra questo indebolimento non c’è mai stato: la scuola politica dell’ex Movimento sociale è proseguita solida decennio dopo decennio, “stando bassa” quando necessario, con sapienza e strategia, e raccogliendo invece al momento giusto. Anno dopo anno, ancora oggi dal 1998, si tiene in estate il congresso “Atreju”, organizzato dai giovani di AN, che in breve tempo diventa il più importante congresso di politica giovanile in Italia. Atreju, come il protagonista della Storia infinita, altro mito di questa parte politica. Perché Atreju? Leggendo la descrizione ufficiale pare di sentire l’eco del “rexismo” di Léon Degrelle, raccontato così bene da Jonathan Littell in Il secco e l’umido: «Il suo nome vuole incarnare l’esempio di un giovane impegnato nel confronto quotidiano contro le forze del Nulla, contro un nemico che logora la fantasia della gioventù, ne consuma le energie, la spoglia di valori ed ideali, sino ad appiattirne le esistenze». Ho ritrovato la stessa celebrazione del mito della “giovinezza” in una delle frasi con cui proprio Brasillach, lo scrittore collaborazionista giustiziato da De Gaulle dopo la Liberazione francese, descrive l’ammirato Degrelle, il capo dei fascisti belgi e fondatore della divisione Wallonie delle Ss: «Si può resistere a Léon Degrelle, alla sua presenza fisica, al suo cameratismo immediato, al ridere fanciullesco che s’impara da lui?».

Negli anni che ricordo Fidanza e Meloni, allora ventenni, sono di questo movimento gli enfants prodiges. Nel 2004 si sfidano per la presidenza nazionale di Azione Giovani, il movimento liceale di Alleanza Nazionale. Vince Meloni, ma i due rimangono uniti. Fanno politica, in Italia e in Europa. Non si bruciano. Oggi Fratelli d’Italia è il primo partito italiano. Il sorpasso al salvinismo non è casuale né può essere inaspettato, alla luce di tutto questo. Fratelli d’Italia non è un movimento cialtronesco come il carrozzone dei Borghi e delle Borgonzoni, e non a caso Meloni si è tenuta lontana da scivolosi accordi con il Movimento 5 Stelle o dal rischio di annacquarsi nella larghissima coalizione draghiana. È una destra che sa aspettare perché conosce l’arte di fare la politica e soprattutto di farla da outsider: essere outsider, soli e circondati, e da questa condizione trarre la propria forza, è un punto caratteriale fondamentale da sempre per l’estrema destra italiana, come dimostra anche il breve estratto di Atreju. Questa, e non la Lega nazionale, è una destra preparata, istruita, intelligente, con delle fondamenta ideologiche solide e antiche. Jonghi Lavarini ha dichiarato: «Nessuno faccia finta di non conoscermi». Ma per come conosco questa destra, non c’è pericolo di abiure o voltagabbanismi. Per tutti questi motivi, naturalmente, è ben più forte e pericolosa, politicamente parlando. Conoscerla, anziché stupirsene, potrebbe essere un buon punto di partenza per batterla.