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L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.
C’è un’associazione simile agli Alcolisti Anonimi che aiuta le persone dipendenti dall’AI Si chiama Spiral Support Group, è formato da ex "tossicodipendenti" dall'AI e aiuta chi cerca di interrompere il rapporto morboso con i chatbot.
I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
Il primo grande tour annunciato per il 2026 è quello di Peppa Pig, al quale parteciperà pure Baby Shark La maialina animata sarà in tour in Nord America con uno show musicale che celebra anche i dieci anni di Baby Shark.

Enrico Mentana, superuomo

La nuova nemesi del populismo sul web è sempre stato un lone ranger governato dalla sua volontà di potenza, oltre al giornalista che tutti conosciamo.

30 Agosto 2016

Enrico non è uno come tutti ma come tutti ha una zia, un’ottantenne del fenotipo sempre allegro. La zia ride, scherza e fa parte di un’associazione di volontariato che aiuta i profughi di guerra di passaggio a Milano. E, quando una zia chiama, il nipote, per impegnato che sia, deve rispondere: eccolo allora Enrico Mentana, nato il 15 gennaio 1955 a Milano, che posa in una foto di gruppo assistenziale finita su Facebook, in seconda fila e sprovvisto degli inseparabili occhiali, e quindi praticamente in incognito. Nello scatto sorridono tutti tranne lui, quasi a disagio e arreso alla situazione, la consueta smorfia alfa tramutata in un’espressione di resa condiscendente e, si direbbe, affettuosa.

Se c’è una cosa che Mentana sembra avere avuto ben chiara fin dall’inizio della sua lunga carriera, è più o meno ciò che Philip Roth scriveva in Ho sposato un comunista: «Non è l’essere arrabbiati che conta, è l’essere arrabbiati per le cose giuste». L’attualità di questi giorni, quella del terremoto nell’Italia centrale e dei dibattiti più o meno pretestuosi che ha generato, ha visto il direttore del TgLa7 nelle vesti di una nemesi dei social network, un personaggio pubblico diventato presidio permanente contro le banalità e la confusione para-cospirazionista dell’utente medio di Facebook. Prima del suo già mitopoietico «lei è un webete» di queste ore, il giornalista ex Tg5 si è costruito una seconda vita social fatta di risposte taglienti, personali e spesso commisurate alla maleducazione del “webete” di turno che lo contesta. E ha fornito così tanta materia prima da favorire la creazione di un sottobosco di pagine ironiche (“Enrico Mentana blasta lagggente” è una collezione pubblica di screenshot dei pungentissimi richiami al buonsenso del giornalista).

Enrico Mentana

Di «cose giuste» per cui inalberarsi Enrico ne trova sempre, perché non è esattamente uno capace di farsi scorrere addosso tutto. A maggio, all’assemblea annuale di Confindustria, un manifestante dei lavoratori di Almaviva che protestavano all’esterno del centro congressi gli ha rivolto un solitario e arrendevole «chi ti paga?»; altri avrebbero fatto finta di non sentire, ma lui è tornato sui suoi passi e, trattenuto a stento da un addetto alla sicurezza, ha risposto con una prossemica minacciosa: «Chi è che ha detto “chi ti paga”?». Enrico Mentana è quel genere di uomo che, se lo incontrassi in un vicolo buio nel pieno di una notte senza luna, con ogni probabilità ti spiegherebbe con dovizia di particolari perché non devi parlare di ciò che non conosci.

Milanese del Giambellino allora frequentato anche da René Vallanzasca, durante gli anni al liceo classico Manzoni per non sbagliare è già direttore, di Giovane Sinistra, il mensile della Federazione dei Giovani Socialisti, e dopo aver lasciato l’università a 25 anni approda alla Rai, nel 1980, entrando nella redazione Esteri del Tg1. L’anno dopo diventa l’inviato da Londra, un Caprarica ante litteram, ed è lui, già riccioluto ed energico, a raccontare nelle case degli italiani il matrimonio tra Carlo il principe di Galles e Diana Spencer. Nel 1987 comunque, nonostante la sua passata militanza politica, rifiuta l’offerta di Bettino Craxi di apparire in un messaggio televisivo di propaganda elettorale socialista accanto al claim «Forse un garofano starebbe bene anche a voi».

Enrico Mentana Facebook

Nel 1991 lascia la Rai, e a gennaio del 1992 va in onda la prima, storica edizione del Tg5, che batte il Tg1 di Vespa di seimila spettatori e, surfando sull’onda Mani Pulite, segna l’inizio di un dominio a mezzobusto che venticinque anni dopo non solo non accenna a tramontare, ma è più che mai entrato nell’immaginario nazionale grazie a maratone, sfuriate virali e, per l’appunto, scontri epici con il peggio del web. Mentana è anche l’emblema di una mai approfondita terza via del berlusconismo: aziendalista Fininvest sia per natura che per educazione, quando Berlusconi si pronuncia sull’imminente voto comunale romano alla fine del ’93, la rimozione del coperchio di un vaso di Pandora di dichiarazioni politiche, il direttore segna il punto: «Se qualcosa sta cambiando, ne trarremo le conseguenze». E nel giorno in cui Indro Montanelli viene allontanato dal suo Giornale, il Tg5 lo fa parlare in diretta per difendere le sue ragioni. Siamo ad anni di distanza dai lunghi editoriali su La7 per difendere l’amico Gad Lerner da telefonate a sorpresa del presidente del Consiglio, ma il piglio è già inconfondibilmente quello del lone ranger.

Enrico Mentana

In seguito – finita anche l’epopea Fininvest, in modo brusco come si conviene a una persona facile all’arrabbiatura – arrivano Urbano Cairo e La7, i nuovi record di ascolti, un telegiornale plasmato a immagine e somiglianza del “Mitraglia”, usando il nomignolo inventato da qualche detrattore che più che l’eloquio indomito ne contesta una sedicente arroganza da superuomo. Amante convinto della bellezza femminile forse per tendenze superomistiche più dannunziane, si è sentito un racconto di sue avances a un’affascinante impiegata dell’editoria libraria, oltre alle note accuse su Twitter dell’ex moglie Michela Rocco di Torrepadula, madre di due dei suoi quattro figli, di averla lasciata a casa a lavare i piatti mentre lui se la «spassava».

Ma non importa, perché Enrico Mentana ormai è un eroe, e se gli eroi non sono tutti giovani e belli, di sicuro sanno tutti come rispondere a tono a chi crede che lo Stato sistemi i richiedenti asilo in alberghi a cinque stelle. La pagina Facebook di Mentana è un rifugio accogliente in cui chiudersi e dirsi che va tutto bene, che il populismo becero strillato sui social è solo un incidente di percorso e per giunta marginale, da superare con un’ironia condivisibile e rassicurante. Ma quanto durerà? Uno dei discussi tweet inviperiti di Michela Rocco suona, anni dopo, come un sinistro monito: «Chi di social network ferisce, di Facebook e Twitter perisce». E poi, un superuomo consapevole della sua volontà di potenza è in grado di non cambiare prospettive? Nel 2009, dopo la querelle che aveva portato al suo addio a Fininvest, lo stesso ex direttore editoriale Mediaset rivelava a Vanity Fair, ancora una volta comprensibilmente su di giri:

Dopo aver irriso per oltre un decennio le accuse di chi dipingeva Mediaset come una dépendance di Forza Italia, avevo assistito a una scena che avrebbe fatto esultare i teorici del conflitto di interessi; Mediaset si era trasformata in un comitato elettorale, dove i dipendenti festeggiavano per il buon lavoro, portato a termine non tramite la giusta informazione o gli ascolti, ma basandosi sulle preferenze accordate dagli italiani a Silvio Berlusconi

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