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La lotta per diventare il primo partito in Europa

Al di là delle coalizioni transnazionali, è importante capire quale partito nazionale otterrà il maggior numero di seggi: potrebbe trattarsi della Cdu, ma anche della Lega.

di Lorenzo Monfregola

Berlino, maggio 2019: un manifesto per le elezioni europee della Cdu con Manfred Weber (Michele Tantussi/Getty Images)

Nel Parlamento europeo, si sa, contano gli europartiti transnazionali. Questo, però, non significa che diventare il partito nazionale con più seggi a Bruxelles-Strasburgo non abbia un valore. In un Parlamento che si preannuncia più frammentato e frastagliato che mai, la distribuzione dei seggi può diventare cruciale in un gioco di realpolitik in cui i singoli Paesi e le varie aree geografiche si muovono trasversalmente ai classici gruppi politici.

Per le prossime elezioni europee dovrebbe essere la Cdu tedesca,  che si presenta per la prima volta con un programma unico assieme al suo storico alleato, la Csu bavarese, a piazzarsi al primo posto, con circa il 30% dei voti tedeschi per l’Europa e un primato di 29 seggi  sui 751 del Parlamento dell’Unione.

Se Cdu+Csu non dovessero riuscire a raccogliere il risultato previsto, però, il partito con più seggi in Europa potrebbe diventare la Lega di Salvini, attualmente data capace di ambire a 26 seggi sui 73 a disposizione dell’Italia. A dire il vero, gli ultimi sondaggi italiani hanno registrato un calo di Salvini e i suoi, il che dovrebbe garantire ai cristiano-democratici tedeschi di potersi piazzare al primo posto. A Berlino c’è chi spera intensamente che vada a finire così. Se la Cdu, che è stata protagonista nel bene e nel male della gestione delle due principali crisi europee – quella economica e quella dell’immigrazione – venisse superata da un partito sovranista, anti-austerity e anti-immigrazione come la Lega, la debacle simbolica sarebbe più che evidente. Dall’altra parte, se la Lega dovesse mai diventare il primo partito in Europa, Matteo Salvini conquisterebbe un potente elemento retorico da utilizzare per i prossimi cinque anni.

Lo scacchiere dei seggi
Con 96 seggi su 751, la Germania ha il maggior numero di seggi a disposizione nel parlamento Ue. Un primato che permette (o permetteva) alla politica tedesca di essere sempre strutturale (o egemone) nel Ppe (Partito popolare europeo), nel Pse (Partito socialista europeo) e, anche, nel gruppo Verdi/ALE, dove quest’anno i Grünen tedeschi puntano a portare circa 18 seggi (di gran lunga la maggioranza relativa nel raggruppamento ambientalista).

Non che la politica tedesca sia sovrarappresentata in Europa: la Germania ha una rappresentanza in seggi proporzionalmente simile a quella dell’Italia (96 seggi per 82,7 milioni di abitanti contro 73 seggi per 60,5). L’assegnazione dei seggi al parlamento Ue, del resto, non avviene per vie matematicamente vincolate alla demografia, ma sulla base dei trattati europei e del principio del “proporzionale digressivo”, una discriminazione positiva che dà più importanza a Paesi che avrebbe altrimenti un ruolo minimale a Bruxelles-Strasburgo (come ad esempio Cipro, Slovenia, Lussemburgo). Malgrado la non completa proporzionalità demografica, tuttavia, restano ovviamente i quattro maggiori paesi (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) a eleggere una buona fetta dei parlamentari europei.

Già nel 2014 la Cdu non riuscì a essere primo partito in Europa, superata dall’effimero exploit sempre italiano del Pd di Matteo Renzi, che collezionò allora ben 31 seggi. Ma cinque anni fa la Cdu e la Csu non correvano completamente insieme e la somma dei seggi dei due partiti (29+5) era comunque superiore a quelli conquistati dai democratici italiani. Non solo: l’inedita alleanza monoprogramma tra Cdu e Csu bavarese si basa questa volta sul sostegno di entrambe a Manfred Weber, lo Spitzenkandidat del Ppe alla presidenza della Commissione Europea. Uomo della Csu bavarese, ma anche politico radicato da 15 anni a Bruxelles, Weber potrebbe diventare, 60 anni dopo Walter Hallstein, il secondo tedesco a guidare la Commissione. In altre parole, il centrodestra tedesco non si è mai esposto così apertamente in Europa come quest’anno. E se l’alleanza tedesca che sostiene un candidato tedesco a Presidente non riuscirà a diventare il primo partito nel parlamento in cui è la Germania ad avere il maggior numero dei seggi, per i cristiano-democratici tedeschi non sarà certo un buon inizio, anzi.

Dietro alla Lega, intanto, si prospetta l’avanzata di altre forze che, al di là dei classici europartiti, indicano l’importanza dei rispettivi Paesi. Il Brexit Party, al momento non affiliato a nessuno, riuscirà forse a prendersi 22 seggi dei 73 a disposizione del Regno Unito. Il partito del Presidente francese Macron La République En Marche!, che in Europa si presenta con la lista “Renaissance”, punta a circa 21 seggi sui 74 a disposizione della Francia e diventerà probabilmente il partito più forte di un gruppo che comprenderebbe l’Alde e altri liberali. In Europa Macron potrebbe avere i numeri per rilanciare, almeno narrativamente, la grandeur euro-francese di una presidenza che sembra invece in crisi in patria. La compattezza di alcune maggioranze nell’Europa orientale renderà inoltre importanti partiti di paesi con meno seggi a disposizione, come Fidesz di Viktor Orbán, che forse conquisterà ben 15 seggi dei soli 21 a disposizione dell’Ungheria e, soprattutto, il PiS (Diritto e Giustizia) polacco, che punta a 22 seggi sui 51 a disposizione della Polonia. Il PiS sarà forse il partito più forte degli ECR-Conservatori e Riformisti Europei. Dopo le elezioni si capirà davvero se l’ECR continuerà a esistere o confluirà più o meno integralmente nel blocco sovranista sognato dalla Lega.

I giochi restano molto aperti, data anche la presenza di numerosi partiti non allineati, come nel caso del M5S italiano (che punta a circa 19 seggi). C’è poi il Psoe spagnolo, che potrebbe raccogliere 17 seggi sui 54 a disposizione della Spagna e andrebbe così a limitare i danni della scarsa performance degli altri partiti socialdemocratici o democratici del Pse, come il Pd italiano (previsto intorno ai 18 seggi, 13 in meno del 2014), la Spd tedesca (15 seggi circa, 12 meno del 2014) e il Partito socialista francese (che nel 2014 vinse 13 seggi e ora probabilmente resterà sotto la soglia di sbarramento, non arrivando nemmeno a Bruxelles-Strasburgo).

Csorna, Ungheria, un manifesto di Fidesz, il partito di Orban, per le europee con scritto “Il programma di Orban ferma l’immigrazione” (ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)

Un ruolo primario sarà invece coperto dal Rn-Rassemblement national (ex Front National) di Marine Le Pen, che potrebbe portarsi a casa 22 o più dei 74 seggi francesi e dovrebbe diventare la seconda, fondamentale, forza della nuova entità guidata da Matteo Salvini. Dalla relazione del Rn francese con la Lega e con altri partiti sovranisti passeranno gran parte delle criticità della cosiddetta internazionale dei nazionalismi. Se da un lato c’è un progetto che vuole mettere da parte la mera distruzione dell’Unione europea in nome di una sua radicale mutazione in senso euro-identitario e anti-liberale, dall’altro permangono potenziali (o forse irriducibili e inevitabili) conflittualità tra le agende estremamente nazionali della Lega Italiana, del Rn francese, dell’Afd tedesca, della Fpö austriaca e di altri attori minori.

Narrazioni europeiste, strategie nazionali
Il rischio di crescenti divisioni sulla base di rivendicazioni nazionali, del resto, è sempre più presente anche negli europartiti che non sono sostenuti da sovranismi e sciovinismi. Lo stesso Ppe con Cdu-Csu tedesche (e Forza Italia, i Les Républicains francesi, i popolari spagnoli, e così via) sembra destinato a particolari ambiguità, che dimostrano come non tutti gli europeismi siano uguali. I popolari europei sembrano alla ricerca di un collante transnazionale quando si tratta di sicurezza, immigrazione e difesa dei confini esterni dell’Unione, ma sono molto meno uniti su temi economici e finanziari. Perché è facile decidere chi non far entrare tramite il Mediterraneo o la rotta balcanica, ma non è facile decidere come mantenere l’unità dei 27 (o dei 28) quando ci sono di mezzo i bilanci di ciascun stato. Contro questa tendenza all’incoerenza del Ppe sembra andare formalmente il programma del Pse. Durante la sua campagna, il candidato dei socialisti, l’olandese Frans Timmermans, ha mostrato un certo attaccamento ai principi di coesione e solidarietà intraeuropea, anche sui temi economici e finanziari, che restano decisivi per passaggi chiave come una politica estera europea che sia davvero comune. Ma i socialisti sembrano raccogliere poco consenso sul tema immigrazione e anche nel PSE ci sono differenze tra la narrazione europeista complessiva e quello che i singoli partiti sono davvero pronti a fare di fronte ai propri elettorati di riferimento. Lo stesso, del resto, vale anche per la nuova alleanza liberale di Macron, dove dovranno convivere le richieste di flessibilità d’ispirazione francese e la razionalità finanziaria della Fdp tedesca: un altro esempio di come i prossimi europartiti potranno essere attraversati da concrete contraddizioni (geo)politiche.

Il risultato delle urne del 23-26 maggio sarà quindi solo l’inizio. I popolari potranno molto probabilmente decidere con chi scegliere il successore di Jean-Claude Juncker e formare una maggioranza: è probabile che gli europartiti manterranno ancora la loro centralità in un parlamento che avrà un ruolo per certi versi rafforzato. Ma l’imprevedibilità e l’incertezza la faranno da padrone: si prospettano cinque anni dalle possibilità eterogenee, dove i classici raggruppamenti saranno sempre più fluidi e orientati verso alleanze temporanee e dove il multilateralismo dell’Unione sarà sempre più spesso sostituito dal bilateralismo tra i singoli stati e dalle dialettiche tra varie aree geografiche (a partire dagli assi nord-sud ed est-ovest). Uno scenario di aperta realpolitik in cui, appunto, anche i seggi conquistati dai partiti di ciascuna nazione potranno rivelarsi decisivi. Se la comunicazione di tanti player resterà europeista, la tattica e la strategia saranno sempre più spesso nazionali. A meno che, dalla mattina del 27 maggio, qualcuno non riesca a dare improvvisamente nuovo slancio e nuova linfa alla visione europea.