Le attiviste che hanno lanciato la zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh hanno compiuto un gesto narrativamente perfetto ma che lascia un dubbio: si può discutere della crisi climatica compiendo azioni così radicali?
Gli abitanti di una cittadina in Ohio dicono di essere neri, ma sono bianchi
L’ultima volta che avevamo sentito di persone che si identificavano come “nere” pur essendo “bianche” era stato quando il caso di Rachel Dolezal è salito agli onori delle cronache internazionali. La donna, che si definiva attivista e performer ed è oggi coinvolta in una complicata vicenda legale per frode, è infatti diventata celebre perché sosteneva di essere afroamericana, nonostante la sua famiglia fosse bianca. E se n’è riparlato anche a proposito di tutte quelle influencer che, sulla scia delle sorelle Kardashian, sono state accusate di “blackfishing”, ovvero di vestirsi e fotografarsi sui social per sembrare nere, pur non essendolo.
La discussione sull’appropriazione culturale, però, che spesso viene derubricata a polemica da Millennial, va ben oltre chi per moda vuole farsi le treccine oppure utilizzare lo slang dei rapper famosi, soprattutto in America, dove è profondamente radicata con la stratificazione sociale ed economica del Paese. Lo dimostra la bizzarra storia di East Jackson, piccola cittadina in Ohio, che ha recentemente raccontato Khushbu Shah sul Guardian in un reportage accompagnato dalle belle foto di Maddie McGarvey. East Jackson, infatti, è nata a metà dell’Ottocento come “cittadina-ghetto” separata dalla vicina (e bianchissima) Waverly. «I funzionari di Waverly hanno creato East Jackson recintandoci dentro qualsiasi nuovo arrivato che ritenevano “nero”, o perché era afrodiscendente, quindi per il suo aspetto, o perché apparteneva a una classe considerata inferiore, come nel caso degli operai o delle governanti», spiega Shah. È nata perciò una comunità mista, di bianchi e di neri, dove però tutti secondo la legge erano “neri”, ma solo perché considerati cittadini di serie B. Con il passare del tempo, soprattutto a causa del fatto che Waverly è conosciuta per essere una città fortemente anti-black, la popolazione di discendenza afroamericana (e cioè con la pelle nera) ha deciso di trasferirsi altrove, lasciandosi alle spalle i concittadini di East Jackson che, di conseguenza, è diventata sempre più bianca.
Così quell’illogica e assurda divisione razzista, con tutte le sue contraddizioni, è arrivata fino a giorni nostri. Gli abitanti di East Jackson hanno infatti continuato a vivere nella loro piccola cittadina rurale sentendosi neri (perché così erano considerati dalla legge, perché sono cresciuti in una comunità in cui, almeno nel passato, una forte presenza di afroamericani c’era stata) e sebbene la società intorno a loro sia cambiata, ancora oggi rivendicano una discendenza che in molti casi è dovuta alla segregazione razziale più che alla genetica. Alcune fra le persone intervistate, soprattutto le più anziane, mostrano alla giornalista le foto di famiglia con orgoglio, come fossero prove che ne attestino la blackness: il più delle volte, però, gli antenati sono bianchi o “mixed race”, di etnia mista. Ma loro si sentono neri e ritengono di aver vissuto da neri e, come nel caso di Roberta Oiler, si rattristano che alcuni dei loro figli abbiano poi deciso di farsi registrare nei documenti ufficiali come bianchi: «Non rinnegherò mai la mia razza, quella in cui mia madre mi ha cresciuto e in cui mi riconosco, fino al giorno in cui lascerò questa Terra», dice in un video che vale la pena di vedere.

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.