Attualità

Discesa In Campo (video della)

Oggi sono 18 anni da quando un imprenditore apparve con uno storico annuncio: come è cambiata la tv

di Alberto Piccinini

L’Italia è il paese che amo. Adesso che il 26 gennaio 1994 l’abbiamo scampato come Festa Nazionale, parlandone da vivi insomma, era una cagata pazzesca. Diciotto anni fa esatti Berlusconi comparve alle 17.30 su Rete4, un mercoledì qualsiasi. Sospettosamente magro, circonfuso da una patina arancio-marron, vestito di scuro, dietro a una scrivania, davanti a una libreria carica di libri, soprammobili e foto di famiglia. Incorniciate. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti, disse (ma leggeva, sul gobbo elettronico, tenendo tra le mani un foglio decorativo).

Ci sono due motivi per i quali non mi ricordo dove ero e cosa stessi facendo allora, come in genere accade per tutti i giorni di svolta della Storia. Il primo è che il videomessaggio venne replicato su tutte le reti televisive per molte ore, forse giorni. Il secondo è che era semplicemente ridicolo, rispetto alla qualità media di gran parte delle pubblicità e delle immagini di allora. «Per le sinistre, Berlusconi in politica è un vantaggio», commentò a caldo in un Tg3 Mauro Paissan, ex direttore del manifesto, allora deputato. Sbagliava di grosso, ma interpretava l’idea di parecchi, colpiti dalla cialtronaggine di quella che tutt’al più sembrava una parodia del duca conte mega direttore galattico del primo Fantozzi (“vede io sono un medio progressista…”).

Berlusconi era solito fare gli auguri di Natale agli spettatori delle sue televisioni con spot appositi, utilizzando l’ospitata nei quiz di Mike Bongiorno o, quand’era di buon umore, la telefonata al Processo di Biscardi. Portava con sé qualcuno dei suoi figli, parlava del Milan, augurava buone feste, tanti auguri e ossequi alla signora. Il videomessaggio di 9 minuti, sulla discesa in campo, apprendemmo poco dopo, era stato realizzato come uno di quegli spot, dopo lunghe nottate di prove e tentativi dentro una scenografia costruita appositamente nel cortile di Villa San Martino, a Macherio.

Ho conosciuto personalmente insospettabili registi televisivi e cameramen milanesi che furono coinvolti nell’impresa. Ma neppure la mitologia che negli anni ha attraversato il videomessaggio si è rivelata esatta. «La calza non è stata mai utilizzata – ha raccontato una volta Roberto Gasparotti, il regista del videomessaggio – Piuttosto si è fatto ricorso ad un particolare tipo di luce e ad una preparazione tecnica della telecamera con toni morbidi, abbassando molto il dettaglio, per ottenere un’immagine migliore».

E allora perché?

Non lo so. Compilando, assieme a Massimo Coppola, l’Atlante illustrato della tv anni ’80, il freeze frame del videomessaggio della discesa in campo è finito in fondo al volume, preceduto da una paginata di nero. Non esistono, a quanto ne so, “foto di scena”, ma soltanto quell’immagine sgranata, fotografata da una tv sintonizzata su Retequattro (che di solito trasmetteva un po’ peggio delle altre, più sbiadita). Quindi: prima il colore garrulo dei cecchetti e dei pippi, delle cuccarine, delle heatherparisi, degli arbori e costanzi. Non solo. Ci abbiamo tenuto molto, per esempio, a trovare e pubblicare due foto del giovane Michele Santoro fasciato di Armani e di un Gad Lerner insolitamente cravattone. Perché stavano tutti dentro il grande scatolone, e noi con loro stavamo dentro il grande scatolone. Stacco. Nero. Poi arrivò Lui. E intorno si fece un gran buio.

In Eutanasia di un potere di Marco Damilano (Laterza), la più recente ricostruzione del passaggio tra Prima e Seconda Repubblica, si trova un’intervista a un’ispiratissimo Carlo Freccero: «L’Auditel, arrivato da poco come sistema di rilevazione degli ascolti, e tanto vituperato dagli intellettuali, significò al contrario la libertà assoluta per le tv commerciali». Direttore di Italia 1, inventore di gran parte dei trucchi di palinsesto coi quali Fininvest sterminò la concorrenza, Freccero aveva convinto Gianfranco Funari ad aprire in quei giorni segnati dagli sfracelli di Tangentopoli un programma mattutino di politica pop. «La finestra si chiude nell’estate del 1992 (…) Si arriva a una riunione dove Galliani mi chiede come condizione per restare di cancellare la politica dalla mia rete (…) La televisione dovrà mettersi al servizio di un progetto politico».

Quindi, riassume ancora Freccero, ecco il passaggio «dalla tele-democrazia alla telecrazia». Precisamente quello che tento di articolare ogni volta che rivedo quell’immagine sgranata della discesa in campo. E per quanto mi sforzi non riesco a farlo mai completamente. Perché, ora l’ho capito, quell’immagine cialtrona in realtà mi ossessiona, ma preferirei cancellarla piuttosto che percorrere tutte le implicazioni che porta con sé. Rubo alla critica musicale più avanzata i concetti di “pop ipnagogico” e di “hauntology” per dire che – anche a causa di quell’immagine – la nostra memoria collettiva di oggi non può ricostruire gli anni ’80-‘90 come quelli di un’innocenza perduta (così furono gli anni ’50 per i ’70, e i ’60 per gli ’80, e questo è un discorso troppo lungo), ma al contrario come quelli di un insano, agitato, dormiveglia.

La “discesa in campo” accenna a un lato oscuro nell’uso dei media che ci riporta a inquietudini antiche. «Il pubblico – recita infine un motto apocrifo attribuito a Berlusconi – è un ragazzo di dodici anni non troppo sveglio». Sembra un’idiozia, ma ha funzionato, e non si dovrebbe dimenticarlo oggi, iniziando a seppellire il berlusconismo, quando dentro l’ottimismo della Rete e dei social network si ripropone un poco lo stesso ottimismo della breve stagione televisiva primi anni ’90, con la Gente, il popolo dei fax, la tele democrazia. Scrivevano pensosi Adorno e Horkemeier nel 1947: «La maggioranza degli spettacoli televisivi oggi punta alla produzione, o almeno alla riproduzione, di molta mediocrità, di inerzia intellettuale, e di credulità, che sembrano andar bene con i credi dei totalitari, anche se l’esplicito messaggio superficiale degli spettatori può essere anti-totalitario». Il bello è che non avevano visto ancora niente, neppure Colpo Grosso.