Attualità | Coronavirus

Quanto eravamo scemi nel primo lockdown

Dopo gli arcobaleni, i webinar, le sessioni con amici e amanti su Zoom, ora proviamo solo un grande sconforto. E forse ha più senso così.

di Valeria Montebello

Roma, marzo 2020 (Photo by Antonio Masiello/Getty Images)

Le cose nuove sono eccitanti. Anche se milioni di persone muoiono con la testa chiusa in una bolla di plastica come se fossero i personaggi di un romanzo sci-fi, anche se la libertà di tutti è messa da parte per evitare, appunto, di trasformarsi in un personaggio di un romanzo sci-fi, a marzo 2020 il lockdown era una cosa nuova. Eccitante, quasi. L’assolutismo delle regole, le ronde, gli elicotteri che ti avvistavano se facevi una passeggiata al mare, gli scafandri, il brivido di dire “Sembra di essere in un film horror”. Per i mitomani: “Saremo nei libri di storia” o “Queste cose le racconteremo ai nostri nipoti”.

La prima ondata è stata l’apocalisse, un brivido lungo la schiena, una tempesta di domande senza risposta (ce la faremo non ce la faremo ma sì che ce la faremooo! e poi cosa faremo, salirà o scenderà). Una strana euforia si è impossessata della maggior parte degli italiani. La prima ondata è stata come il primo appuntamento. Piena di dubbi ma anche di slanci passionali – molti si sono sgolati sui balconi, hanno suonato, cantato, si sono battuti il petto, hanno continuato a flirtare su Zoom. Si sono anche sposati su Zoom, presi dalla frenesia. Aperitivi, cene, sesso a distanza. Solo perché non sei davvero a un matrimonio non vuol dire che non puoi sperimentare l’orrore di essere ad un matrimonio. Vale per tutto. Per gli aperitivi, le cene, le sedute porno. Ma senza nemmeno avere la possibilità di rovesciare un tavolo se ti annoi. Puoi solo spingere un pulsante. Durante la prima ondata si discuteva dell’outfit perfetto per questa pandemia, ci facevamo le maschere al miele e avocado, panificavamo con lo stesso sale che usavamo per fare lo scrub ai glutei.

La seconda ondata è un matrimonio finito, la passione è andata, il desiderio e la speranza pure. I piani per il futuro non ci sono più. Perfino le bimbe di Giuseppe Conte che erano così sessualmente entusiaste del premier oggi lo vedono per quello che è: un burocrate che recita una serie di regole impappinandosi senza sapere nemmeno lui bene cosa sta leggendo. Non abbiamo nemmeno più i sex symbol in questo secondo round. Se qualcuno ti chiede di fare un aperitivo o una sessione di cose porno su qualsiasi piattaforma cala la noia. Vedi solo un bicchiere pieno di vino davanti ad un pc, una luce abbagliante che ti dà fastidio fisico, agli occhi, solo un pezzo di carne penzolante che cambia forma in diretta. Ci siamo stancati. È diventato tutto improvvisamente vecchio. Non ci sono più i profeti del domani: come sarà? Il plexiglass in spiaggia? Uh, che cosa strana! La gente che fa sesso per strada, uh, che trasgressione. Perfino i sintomi del Covid-19 sono stati processati, anche se i morti non smettono di riempire i grafici questa malattia è diventata un cucciolo addomesticato, di cui abbiamo meno paura.

C’è chi ancora non ha capito e su Instagram fa video motivazionali (non li vuole vedere più nessuno): “Uso il mio reset mentale molte volte al giorno, bisogna mettere insieme inneschi di gioia. Potrebbero essere foto di persone che ami, animali domestici, citazioni, paesaggi, musica, un ritmo di respiro”. Forse al terzo lockdown smetteranno e se non smetteranno sono dei bot cinesi. “Uno. Siediti dritto sul pavimento o sul bordo di una sedia e metti le mani sulla pancia. Due. Mentre inspiri, piegati in avanti ed espandi la pancia. Tre. Mentre espiri, espira e piegati in avanti mentre ti pieghi all’indietro; espira finché non sei completamente vuoto. Quattro. Ripeti da 10 a 20 volte”. Piegati in avanti mentre ti pieghi all’indietro? Come? C’è davvero qualcuno che riesce a fare queste cose in quest’ordine senza sentirsi idiota? Qualche mese fa sembrava tutto finito ma era solo una pausa. Nessun finale catartico fra le bolle di uno schiuma party quest’estate, solo il Covid-19 che si sfregava le mani.

Non ci crediamo più a questo lockdown. Ok, se stiamo chiusi a casa due mesi magari potremo stare fuori altri due mesi, ma poi si torna al punto di partenza. Il tempo che prima sembrava una linea retta ora è un circolo. Anche l’annuncio dell’imminente vaccino non è riuscito ad eccitare gli animi. È tutto un “Vediamo dai” nichilista, “Speriamo che non ci trasformeremo tutti in zombie. E se succede ok, chi se ne importa”. Prima c’era la convinzione che si stava lavorando insieme per uno scopo che rendeva accettabili le misure estreme per combattere il virus. La seconda volta non è più facile perché l’abbiamo già vissuto prima. C’è una crisi, un periodo di transizione fra due periodi principali ma ad un certo punto inizi a pensare che la crisi stessa possa essere un periodo, un’età. L’età della crisi perpetua. Scrolli le foto del primo lock sull’iPhone: quella al fiore pieno di rugiada, del vicino che ti lascia un libro nella buca delle lettere, della torta che ti è uscita meglio di tutte le altre volte, del pene del tipo con cui ti stavi sentendo, della tua faccia dopo esserti truccata e spuntato la frangia con le forbicine per le unghie, ed è come vedere la vita di un protozoo. Tutta quella smania di fare dirette e podcast e webinar, di taggare ritaggare, di creare clan anche da una cella.

Vedere qualcuno sorridere, compiacersi della propria diretta mentre parla delle elezioni americane o dell’ultimo libro di qualche autore disperato è un po’ come morire. È un po’ come quando eravamo contenti di festeggiare il compleanno con quel sorriso ebete davanti alla torta con le candeline. Se vuoi proprio ridere puoi prendere in giro la te del primo lockdown. Prima bimbi ora adulti, il realismo prende il posto degli unicorni ed è meglio così. No arcobaleni disegnati tremolanti, nessun eroe, no presentarsi a una call truccata come un’ex velina. Abbiamo la possibilità di redimerci, di non essere ricordati come quelli con il sorriso ebete dei quattro anni appena compiuti, quelli dei webinar. Quelli che se lo fanno andare bene, quelli che sono pure contenti perché sono riusciti a dare un senso ai propri profili social. Non è per le restrizioni meno severe che lo sentiamo meno questo secondo lockdown, è perché è diventato parte della nostra routine, della nostra vita, lo portiamo addosso. Bisogna saperlo portare come un cappello che fa schifo ma tiene al riparo dal freddo. Ci vuole stile, sobrietà. Un sorriso alla webcam in meno, uno sguardo scazzato in più.