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Nessuno è come David Cronenberg

Oggi a Cannes è il giorno di Crimes of the Future, il ritorno del regista canadese dopo otto anni, l'ultimo capitolo di una carriera che ha cambiato la storia del cinema e spostato in avanti i limiti dell'immaginazione umana.

di Francesco Gerardi

David Cronenberg in posa davanti a una famosissima immagine del suo film Scanners (Foto di Tiziana Fabi/Afp via Getty Images)

Tutti pensano che David Cronenberg sia ossessionato dal corpo, invece lui non pensa ad altro che ai soldi. Oggi a Cannes viene presentato in anteprima Crimes of the Future, sono passati otto anni da Maps to the Stars e chissà quante cose interessanti ci sarebbero da raccontare di questo ritorno alla regia del cineasta canadese. Lui però ogni volta, in tutte le interviste, si mette a parlare di soldi. Sono anni che sta lavorando a questa sceneggiatura, quando ha cominciato aveva in mente di girare a Toronto, quando ha finito si è reso conto che non sarebbe stato possibile per il solito motivo: i soldi. A questo punto comincia il giro di telefonate che Cronenberg ha raccontato essere la sua vera specialità, altro che body horror e «gloria e vita alla nuova carne»: quello a potenziali investitori e possibili produttori che lo aiutino a fare il film. Per Crimes of the Future è finito in Grecia, in mezzo a una pandemia, a un’ondata di calore che ha fatto segnare fino a 45 gradi all’ombra e a una serie di incendi che hanno trasformato il Paese in una approssimazione dell’inferno. Ma lì il governo sta facendo di tutto per convincere i produttori cinematografici a girare in Grecia, arrivando a coprire fino al 40 per cento delle spese di realizzazione di un film. E quindi girare in Grecia è stato «un piacere».

Ci si immagina che i soldi siano un problema minore per un regista della fama di Cronenberg. Chi non vorrebbe finanziare il nuovo film di uno dei registi fondamentali del Novecento, autore di opere che hanno superato limiti e confini del mezzo cinematografico? Le piattaforme di streaming, per esempio. Cronenberg ha raccontato di aver proposto Crimes of the Future sia a Netflix che ad Amazon, e di aver ricevuto in risposta un gentilissimo ma convintissimo no. Secondo il regista canadese, questa è la dimostrazione che i produttori rimangono sempre uguali: fondamentalmente dei «conservatori», secondo lui. Conservatori loro, dunque, avanguardia lui, sempre. In una stupenda intervista concessa nel 1988 a Spin in occasione dell’uscita di Inseparabili, si faceva il riepilogo di tutte le volte che Cronenberg era stato costretto ad arrendersi di fronte al conservatorismo altrui. Dopo il successo de La zona morta, Dino De Laurentiis insistette perché la sceneggiatura di Atto di forza fosse affidata a lui. Gliela fece riscrivere tredici volte, alla quattordicesima Cronenberg decise di lasciar perdere e rinunciò così a un lavoro che gli era costato tre anni di vita e che gli aveva portato zero dollari nel conto corrente. Sperava di riprendersi con l’idea che gli era venuta nel frattempo: una commedia basata sulla scoperta di un insetto caraibico che a mangiarlo provoca una fortissima dipendenza. Il working title era Six legs, ma a Hollywood trovarono più convincente lo slogan coniato da Nancy Reagan per convincere i giovani americani a «just say no» alla droga, compresi immaginari insetti caraibici. Un’altra delusione seguita da un’altra possibilità: Hbo lo contatta perché vuole dargli i soldi per realizzare la serie più «strana» mai vista sulla tv americana. Cronenberg ci pensa un po’ e scrive un pitch in cui «Miami Vice incontra William Burroughs»: la serie non sarà mai realizzata e Cronenberg dovrà aspettare il 1991 per portare al cinema la sua passione per Il pasto nudo.

Anche quando i suoi film sono stati dei successi commerciali e/o culturali, le modalità del successo lo hanno convinto di non aver mai davvero raggiunto «un pubblico composto da milioni di persone», un fallimento di cui la costante ricerca di denaro che precede ogni suo nuovo film è per lui la prova empirica (pare che ci abbia messo tre anni per mettere assieme i soldi necessari a girare Crimes of the Future, e questo nonostante potesse contare sin dall’inizio su Viggo Mortensen, Léa Seydoux e Kristen Stewart come protagonisti). C’è chi dice che il suo unico, vero successo non abbia niente a che vedere con i suoi meriti di regista: se La mosca è stato quel che è stato è perché nel 1981 era cominciata la pandemia di Aids e nel 1986 il pubblico vedeva nel disfarsi della carne di Jeff Goldblum una realtà che negli anni precedenti governi e media avevano fatto di tutto per negare, nascondere, minimizzare.

C’è chi dice che Cronenberg non sia mai stato aiutato da quel pezzo del mondo del cinema che non fa film ma che aiuta a farli: i critici. Quando si parla di questo, si parla sempre di quella recensione di Brood scritta da Roger Ebert il 5 giugno del 1979: «un film che riesce a disgustare nonostante la presenza di tanti attori molto famosi. Prima però si preoccupa di annoiarvi». Una stella, il voto più basso possibile. Anni dopo Cronenberg dirà che non era colpa di Ebert, che nel 1979 per certe cose era «troppo presto» e che dopo, avendo dei precedenti a disposizione, Ebert «capì». E in effetti, due anni dopo Ebert a Scanners diede addirittura due stelle: «È un horror nuovo, realizzato con mestiere e abilità tali da far pensare che avrebbe potuto essere un ottimo film». «Anche Kafka all’inizio non fu capito», ha detto una volta Cronenberg, che all’autore de Le metamorfosi deve l’esistenza del genere che lo ha reso famoso. Un debito che ha saldato scrivendo una prefazione alla nuova edizione e traduzione del libro curata da Susan Bernofsky, un breve saggio che comincia come la scoperta di Gregor Samsa: «I woke up one morning recently to discover that I was a seventy-year-old man».

E in effetti, il 1983 era troppo presto per il discorso sui media di Videodrome, e il 1999 non poteva capire che eXistenZ spiegava i metaversi che sarebbero venuti. Forse è proprio per provare a raggiungere finalmente il «pubblico dei milioni» che Cronenberg ha deciso di girare un nuovo film a otto anni dall’ultimo, di tornare al body horror dopo la parentesi «naturalista», come la chiama lui. Una parentesi che doveva essere un tentativo di raggiungere il «pubblico composto da milioni di persone» e che invece gli è valsa l’appellativo di “venduto” dei pochi che c’erano sempre stati. Sulla questione, Cronenberg disse la sua in un profilo del New York Times: «Erano anni che volevo vendermi».

A settantanove anni e dopo cinquantasei di carriera, vive come uno a cui resta solo l’ultima preoccupazione e tutto quello che viene prima è irrilevante. Non gliene importa niente se lo prendono per il culo per The Death of David Cronenberg, cortometraggio del 2020 in cui interpreta se stesso e il suo cadavere, una variazione persino più macabra sul tema di Inseparabili. Anche in quei 56 secondi parlava, come spesso ha fatto, di sé: se Brood raccontava il divorzio dalla prima moglie e l’ansia per il futuro della figlia Cassandra, The Death of David Cronenberg è l’ultimo saluto a Carolyn Zeifman, sua seconda compagna e montatrice di molti dei suoi film: «Quando è morta ho sentito che anche io ero morto, e lo sento ancora». E pazienza se non tutti riescono a fare il collegamento. Tanto più che lui li ha sempre odiati, quelli che «devono a tutti i costi fare il collegamento», come disse quella volta che intervistò Salman Rushdie. Pazienza anche se molti lo trattano come uno scemo per aver fatto di quel cortometraggio un Nft: per tutta risposta Cronenberg di non-fungible tokens ne ha poi fatta una serie intera, si intitola Kidney Stones and Inner Beauty e consiste in una collezione di foto dei calcoli renali di cui si è liberato nel corso degli anni.

A settantanove anni e dopo cinquantasei di carriera, però, a David Cronenberg resta ancora il piacere sottile e segreto e sadico che lo ha portato a diventare un regista. Quando gli chiedono cosa si aspetta di vedere durante la prima di Crimes of the Future a Cannes, lui risponde «la gente che si alza e se ne va». Perché la vita, quindi il cinema, «è sofferenza, e bisogna saperla sopportare», disse una volta, parlando però dei suoi calcoli renali.