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00:44 domenica 24 agosto 2025
Daniel Day-Lewis non recita più ma ha fatto un’eccezione per il film d’esordio di suo figlio  Sono passati otto anni dalla sua ultima volta, ha interrotto il pensionamento per fare il protagonista nell'opera prima del figlio Ronan.
Il rebranding dell’Eurovision per il 70esimo anniversario non sta andando per niente bene Il nuovo logo, soprattutto, non piace né ai fan né ai graphic designer, che già chiedono di tornare alla versione precedente.
L’organizzazione che monitora la sicurezza alimentare nel mondo ha confermato per la prima volta che a Gaza c’è una carestia Secondo l'Integrated Food Security Phase Classification, organizzazione alla quale si affida anche l'Onu, a Gaza la situazione è di Carestia/Catastrofe umanitaria.
Il nuovo trailer del Mostro conferma che la serie di Stefano Sollima è uno dei titoli imperdibili della Mostra del cinema di Venezia Dopo la prima a Venezia sarà disponibile su Netflix a partire dal 22 ottobre.
L’ultimo film della saga di Mission: Impossible è stato trasmesso gratuitamente su YouTube, ma ha potuto “vederlo” solo chi conosce l’alfabeto Morse E il pubblico sembra aver molto apprezzato l'iniziativa, a giudicare dai commenti che si leggono su YouTube.
A Maiorca quest’anno ci sono molti meno turisti a causa delle proteste contro l’overtourism Addirittura il 40 per cento in meno rispetto al 2024, secondo gli allarmatissimi balneari, ristoratori e albergatori locali.
Un sacco di gente è andata a vedere un concerto di Justin Bieber a Las Vegas senza accorgersi che sul palco non c’era lui ma un sosia Ci è voluta una canzone intera (una non eccellente interpretazione di "Sorry") prima che qualcuno cominciasse a sospettare.
È uscito il primo trailer di Good Boy, l’horror raccontato dal punto di vista di un cane Chi il film l'ha già visto dice che è bellissimo e che il protagonista, il cane Indy, meriterebbe un premio per la sua interpretazione.

Dagospia, 20 anni di potere pop

Il 23 maggio del 2000 nasceva il sito di gossip più letto e influente del Paese: ne abbiamo parlato con il fondatore, Roberto D'Agostino.

22 Maggio 2020

Solamente due anni fa, quando il sito di gossip (espressione in realtà assai riduttiva) più chiacchierato d’Italia raggiunse i suoi primi diciott’anni, commentò l’avvenuta maturità con poche ma esaurienti parole: «È maggiorenne, può cominciare a fottere». Ora che Dagospia si appresta a raggiungere il traguardo dei primi 20 anni di vita (23 maggio), il suo fondatore, Roberto D’Agostino, per molti pochi più di un pettegolo “lookologo” (definizione risalente ai tempi di Quelli della Notte), per altri un genio del marketing applicato al cafonal, abilissimo a sfruttare italiche debolezze, si lascia inavvertitamente sfuggire note malinconiche: «La triste realtà è che in un paese decente Dagospia non esisterebbe». Sfortunatamente abbiamo il Paese che ci meritiamo e Dagospia sembra godere di ottima salute, come evidenziano i numeri durante il lockdown: ben cinque milioni di pagine visitate e oltre cento news giornaliere sapientemente suddivise tra hard gossip, declinato in tutte le sfumature possibili, e racconti sul sottobosco e le magagne del nostro meraviglioso piccolo universo politico-economico-finanziario, due mondi che, solo apparentemente, non potrebbero essere più diversi. Ma siamo pur sempre a Roma, un luogo dove, aveva sentenziato sconsolato il buon Alberto Arbasino dopo il suo primo soggiorno capitolino, «non esiste mai una via di mezzo immaginabile tra l’abbacchio al cartoccio e il renard argenté».

Nella sua casa museo in pieno centro, talmente kitsch da oscurare in quanto a stravaganze anche la celeberrima Jungle room di Elvis, il momento più alto dello stile Presley, D’Agostino rinuncia ai bilanci, «li lasciamo agli altri», ma accetta di ripercorrere la sua avventura da un mondo analogico ad uno digitale, senza però mai distogliere del tutto la visuale da un computer portatile dove, silenzioso, lavora il suo sacro algoritmo, una sorta di cuore pulsante che in tempo reale monitora i movimenti sul sito da parte degli utenti, indicandone le pruderie quotidiane. «Avevo una rubrica sull’Espresso, si chiamava Spia, una specie di zibaldone di cinque pagine di mondanità e cattiverie vare. Dopo una visita di Agnelli a Luna Rossa durante l’American’s Cup ad Aukland ebbi la sventura di scrivere, su suggerimento di quel maledetto toscano di Bertelli, che l’avvocato portava sfiga. Fu un attimo. Alain Elkann, per guadagnare punti, avvertì Agnelli, che a sua volta chiamò Caracciolo, suo cognato, che si precipitò a telefonare all’allora direttore Giulio Anselmi. Di fatto la mia storia con la carta stampata terminò quel giorno». Fu Barbara Palombelli, durante una di quelle cene romane in cui tutti i commensali pensavano di poter risolvere i destini del mondo, a consigliargli di lanciare un sito tutto suo. «Stiamo parlando del 1999, un’era pre-google, c’era molta diffidenza verso il digitale, quasi nessuno ne intuiva il potenziale. Mi ricordo ancora quello che mi disse Paolo Mieli: “internet e’ come il borsello, una moda stagionale”». Non esattamente la più lucida delle previsioni.

Dopo qualche piccola disavventura, «andavo in giro con il mio bigliettino di carta e l’unica  riposta che che ricevevo erano porte in faccia», il sito fu lanciato nel 2000 con un investimento di dieci milioni di lire e la diffusione di tre notizie al giorno, storie più o meno di costume che erano il risultato delle sue frequentazioni notturne, quando a Roma valeva ancora la pena bazzicare i cosiddetti salotti buoni, su tutti quello di Maria Angiolillo, allora noto come la “Quarta Camera”. Poi, dopo appena una settimana, arrivò senza preavviso il coup de théâtre a sparigliare le carte: «Un’amica mi raccontò che l’allora AD Enel, Franco Tatò, voleva acquisire Telemontecarlo, in realtà per piazzarci la sua compagnia e futura moglie». La notizia uscì con un titolo in perfetto stile Dagospia: “Sonia Raule, dal materasso alla rete”. «Alla fine l’assemblea bocciò quella proposta, con la notizia avevo bruciato l’operazione. Ma capii le potenzialità che un sito del genere poteva avere non per me ma per tutti gli altri». La definitiva simbolica consacrazione arrivò qualche anno più tardi, con la pubblicazione di alcuni report scomodi provenienti dal Vaticano. «Dopo una settimana», ricorda divertito D’Agostino, «il sacerdote che mi forniva le notizie fu trasferito. Era la dimostrazione che perfino la Curia leggeva Dagospia».

Nel variegato universo degli informatori che hanno contribuito, quasi sempre per invidia o vendetta, al successo del sito, definito dal suo fondatore come una grande «portineria elettronica che muore ogni sera e rinasce ogni mattina», merita un posto d’onore l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga. «Per me è stato molto più di un semplice informatore, ma una guida spirituale. Bussò alla mia porta che era già considerato pazzo, nemmeno l’Ansa gli passava più i comunicati, ma grazie a lui ho compiuto un apprendistato politico, imparai a convivere con un certo tipo di mondo e a conoscere il significato della parola potere, prima di incontrarlo non sapevo neanche chi fosse Enrico Cuccia». Ecco, il potere, parola misteriosa ma sempre evocata, soprattutto quando non ce ne sarebbe bisogno. «Non è quello che vedi, ma quello che sta dietro, il famoso “deep state”.Tutti mi chiedono sempre quali siano le mie fonti, ma io ho sempre preferito avere un rapporto stretto con un capo di Gabinetto piuttosto che con un ministro. La macchina è quella che conta, il pilota lo puoi sempre sostituire».

Sarebbe interessante capire come siano cambiati, in questi venti anni, i gusti degli utenti e quindi, di riflesso, anche gli italiani. Ma la risposta di Dago è giustamente tranchant: «E che so’ De Rita?». Resta allora la curiosità di chiedergli un commento sull’attuale politica nostrana e sopratutto sull’iniziale infatuazione per Beppe Grillo, ai tempi molto sbandierata, anche con toni non propriamente leggeri. «Per chi come me ha sulle spalle ideologie giovanili fallimentari, Grillo ha rappresentato una speranza. Ma quella fiducia si è persa. Non basta essere onesto se sei incapace, e purtroppo la classe dirigente pentastellata è totalmente inadeguata, altro che cinque stelle, non ne valgono mezza. Guardo Toninelli o l’Azzolina, il ministro dell’Istruzione che parla di imbuti da riempire, e mi domando in che mani siamo finiti. Oramai sogno Giuliano Amato e rimpiango Fanfani. Quando vedo Di Maio, un ministro degli esteri che non sa neanche l’inglese, mi vengono in mente le chiacchierate sulla politica estera che facevo con Gianni De Michelis. Lo consideravano una specie di avanzo di galera, ma era competente e aveva due palle cosi, oggi davanti a questi inetti sarebbe un gigante».

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